Riflessioni

Rapporti facili (Come usare adeguatamente una bacchetta magica)

Conceptual photo of sexy elegant couple in the tender passion

Quando hai una vita mondana normalmente attiva, dove ogni week-end hai l’occasione di spostarti di poco (o di molto) dal tuo piccolo ambiente di provincia, vieni a contatto con realtà di ogni tipo.
Con il tempo ho incominciato a rendermi conto di quanto il mondo potesse mostrarsi come un ricco buffet di emozioni, storie di sguardi mal celati e sorrisi furtivi e carichi di infedeltà.
Per chiunque sia disposto a dedicare cinque minuti di sguardi all’ambiente circostante in cui si trova, anche solo una piccola realtà mondana di un comunissimo sabato sera può infestarsi di storie finite, o mai cominciate, di notti in bianco coperte da chili di fondotinta, o di desideri annegati in tre o quattro cocktail.
Avendo sempre avuto pochi amici di sesso maschile, ho avuto poche occasioni di chieder loro pareri sulle storie sentimentali, rimanendo così, ahimè, del tutto ignorante in fatto di “mentalità maschile”.
Decisa, una volta per tutte, ad abbattere questo muro di segretezza, mi sono ritrovata una sera a parlare con un mio amico di un argomento che a me piace definire come il “must della gioventù contemporanea”: ovvero, il sesso occasionale.
Parente della buona e spassosa “una botta e via”, che ai tempi dei nostri genitori era considerata un raro incidente di percorso ad opera di qualche rara benefattrice, (che già allora era parecchio in avanti con i tempi), il sesso occasionale sembra essere diventata ormai una pratica del tutto normale: che una persona possa poi essere single, fidanzata o sposata non sembra fare alcuna differenza per nessuno.
Prima ho parlato di mentalità maschile: a questo proposito, dopo aver ascoltato opinioni maschili e femminili sull’argomento, posso testimoniare quanto uomo e donna rappresentino il Polo Nord e il Polo Sud delle mentalità umane.
Per cui, mentre alcune mie amiche sostenevano che un rapporto fisico con un uomo sia spesso accompagnato da una sorta di interesse (anche minimo) nei confronti di quell’uomo, altri miei amici sembravano totalmente immuni da alcun interesse, che non fosse esclusivamente fisico.
Addirittura mi sono ritrovata ad ascoltare con puro divertimento quanto fosse facile per loro, suddividere le ragazze in due categorie: quelle con le quali passare il resto della notte insieme, e quelle alle quali dare una sonora bacchettata in testa per farle sparire.
E una volta pronunciata la formula magica alla Cenerentola (“Bibidi-bobidi-bù”), e una volta scoccata la mezzanotte, ognuno è libero di tornare alla propria vita, senza obblighi, legami o doveri verso quella persona.
So che, forse, non dovrei farla molto lunga su questo argomento (anche perchè è una cosa che fanno tutti, no?), però in tutto questo geniale meccanismo mi sfugge qualcosa di spaventosamente semplice: come può un rapporto così caldo a livello fisico essere anche così freddo a livello emotivo?
E, ancora: com’è possibile che questo rapporto sia in grado di sostituire, anzi di essere preferibile, ad un rapporto sentimentale completo e totale con una persona?
E, nonostante sia ovvio per un uomo preferire questo rapporto facile, come può esserlo anche per una donna, se le mentalità dei due sessi funzionano in modo così differente?
Forse il mondo e la realtà in cui viviamo sono stati così prepotenti da instillare in noi un comune desiderio di fuga di fronte a qualunque legame o sentimento che ci possa portare, in futuro, alla sofferenza. Allo stesso modo, anche sul fronte dell’apparenza non ci si può certo aspettare miracoli: gli stessi amici che mi hanno così fatto ridere all’idea di una fata turchina che prestasse loro la bacchetta magica per far sparire le ragazze dai loro letti, mi hanno poi sorpreso ancor di più con la loro regola del “La prima apparenza è la sola ed unica cosa che conti”.
A detta loro, sembra quasi che la miglior chiave femminile da usare per aprire il loro cuore di pietra sia la perfezione.
Non vi è spazio all’errore, al chilo di troppo, alle sopracciglia non perfettamente curate, o alle smagliature che s’intravedono tra i tatuaggi e la gonna di jeans: ma soprattutto non viene dato spazio e tempo ad una seconda occasione. Ogni fraintendimento è visto come un affronto personale al proprio smisurato ego, e la pena non può che essere la separazione definitiva delle due parti.
D’altronde, ormai ci sono Barbie e Ken da ogni lato per potersi accontentare di comuni mortali con qualche difetto di fabbrica non perfezionato.
La profondità di spirito è passata di moda: ora è in voga la superficialità d’animo.
La bontà di cuore è stata presa a calci in culo da una profonda e mediocre crudeltà umana, che di umano ormai non ha più nulla.
Alle farfalle nello stomaco che accompagnavano ogni singola telefonata del nostro lui/lei, ora ci accontentiamo di messaggi vocali che terminano sempre e solo con un “Io non voglio nulla di più da te”.
Forse sono stata, mio malgrado, troppo dura in queste ultime righe, o forse la sono stata in tutto l’articolo.
Credo che sia giusto godersi tutto ciò che la vita ha da offrire senza porci troppe domande, ma credo anche che in certe situazioni porsi qualche questione ci renda gli animali pensanti che dobbiamo essere.
Quello che credo è che, nonostante i nostri sforzi di seppellire i sentimenti in fondo ai nostri cuori, non riusciremo mai ad ignorare ciò che ci stiamo, inevitabilmente, riducendo ad essere: solo dei pallidi echi di un passato carico di valori, di anni di matrimonio e di fedeltà, dove portare una fede al dito significava davvero appartenere a qualcuno.

Martina Vaggi

Riflessioni

Quel giorno di Febbraio

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Quest’oggi mi sono soffermata a riflettere sul concetto di “completezza”, e a quanto spesso le persone ricorrano alla comune frase “Mi sento completo” per descrivere un loro attuale periodo di gioia e felicità.
Può essere, forse, che questa frase racchiuda in sè quello che è l’obbiettivo primario di ogni essere vivente, ossia il raggiungimento di una pienezza interiore, di uno stato di serenità con se stessi e con gli altri.
Se ci pensiamo bene, gli Americani avevano già introdotto questo concetto, inserendolo addirittura nella loro Dichiarazione di Indipendenza. Questo documento, che nel lontano 1776 aveva segnato la piena indipendenza delle tredici colonie britanniche dalla madrepatria, riportava nelle prime righe queste parole: “[…] che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità”.
Credo che effettivamente ognuno di noi possa ritrovarsi d’accordo nel considerare questi tre concetti come “diritti inalienabili” dell’uomo. Infatti, laddove la vita sia ovviamente necessaria, lo sono anche la libertà e la felicità individuale, affinchè si possa davvero affermare di vivere e non soltanto di sopravvivere.
E quindi arriviamo al concetto primario: sette miliardi di persone in questo mondo che cercano (e talvolta trovano) la libertà e la felicità in vario modo: chi nel lavoro, per potersi sentire indipendentemente libero; chi nella vera e disinteressata amicizia, per potersi affidare fedelmente a qualcuno; chi nel matrimonio, per poter avere ogni giorno qualcuno da amare e dal quale essere amato (nonostante per alcune donne questo simboleggi piuttosto la loro unione ad una carta di cretino ben fornita,,,).
Parentesi cinica a parte, concludo la mia lista aggiungendo anche i più ambiziosi, ovvero coloro che sperano di trovare la felicità in tutte queste situazioni.
Nonostante io creda che non sia possibile per tutti provare questo sentimento di completezza tutti i giorni della propria vita, c’è sempre un periodo in cui ognuno di noi l’ha provato.
Per me, per esempio, quel momento è arrivato il 18 Febbraio di quest’anno, il giorno in cui ho raggiunto il primo vero traguardo della mia vita: la laurea.
Essendo io stata una delle ultime tra le mie amiche a laurearmi, ne avevo sentito parlare da loro come uno dei giorni più belli, in cui l’ansia, lo stress e le notti insonni dovute agli esami, potevano finalmente trovare riposo in un attestato che avrebbe portato a sperare in un futuro ricco di successi.
Arrivato quel giorno, una volta ottenuto ciò che più volevo e sognavo da mesi, mi sono guardata attorno e ho potuto scorgere, forse per la prima volta, il vero significato della parola “felicità”.
Mi sono resa conto di quanto riuscissi a vedere quel traguardo perchè riflesso negli occhi di tutte le persone riunite attorno a me: negli occhi stanchi di mio padre, testimoni silenziosi di così tanti sacrifici; nel sorriso radioso di mia madre, che la rendeva ancora più bella del solito; nelle acclamazioni di mio fratello, con il quale avevo sempre avuto un rapporto turbolento, che quel giorno sembrava ancora più felice di me. Negli altri parenti vedevo ammirazione per un traguardo che loro non avevano mai avuto l’occasione di raggiungere, e nelle mie più care amicizie vedevo il mio cuore.
Non avevo nessun uomo da baciare quel giorno, nessun uomo che mi stringesse la mano, ma ricordo perfettamente che per la prima volta sentivo di non averne bisogno. Sentivo di avercela fatta, non solo per ciò che avevo conquistato, ma per avere vicino tutte quelle persone così vere, così care per me, tutti quei “sopravvissuti” al mio carattere difficile, alle litigate, alle più svariate situazioni che avevamo affrontato nel corso del tempo.
Non sapevo come avevo osato chiedere tanto alla vita, ma soprattutto non sapevo come avevo fatto ad ottenerlo.
J-Ax, conosciuto da molti come uno dei rapper italiani più noti, in una sua vecchia canzone disse: “E a un certo punto, finita la festa, vedrai tutti andar via.. Ti accorgerai che quel poco che resta ti basta ed ecco, quella sarà casa tua!”.
Credo che con questa strofa lui intendesse esattamente ciò che ora sto tentando di esprimere io: la festa era passata, il traguardo raggiunto, e tutti coloro rimasti in parte erano e in parte rappresentavano la mia famiglia.
Quel giorno io ho realizzato che la felicità non la si trova solo e necessariamente all’interno di se stessi, ma risiede anche nelle persone di cui ci si circonda.
Da quel traguardo, che aveva più i sintomi di una partenza, dalla mia determinazione, e da tutti coloro che mi erano sempre stati accanto, iniziava a formarsi la mia idea di completezza.
Essere completi significa nutrirsi del pensiero costante di potercela fare in un mondo deturpato dai se e dai ma, logorato da scadenze, ansie e stress continui.
Completezza è libertà da tutto questo, è avere qualcuno a cui appoggiarsi, un cuore vivo e pulsante suddiviso in ognuna delle persone che hai scelto di avere accanto.
E questo coincide davvero con il concetto di felicità: o, perlomeno, con il suo principio.

Martina Vaggi

Riflessioni

Settembre

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“Prima che il vento si porti via tutto
e che settembre ci porti una strana felicità
pensando a cieli infuocati
ai brevi amori infiniti
respira questa libertà!”
Jovanotti

É solo una delle tante sere di fine estate: sei seduta in giardino a leggere, quando una lieve brezza ti accarezza il volto. Alzi gli occhi al cielo e vedi enormi nuvole avvicinarsi minacciose: l’aria ormai profuma di pioggia e, nonostante siano solo le otto, il tramonto ha già tinto il cielo di rosso, segnando la fine di un’altra giornata.
Le elevate temperature estive sono sostituite (finalmente) da temperature umanamente più sopportabili. E non appena ti rendi conto di essere riuscita a sopravvivere per più di cinque minuti all’aperto, senza che nessuna zanzara cercasse di recitare con la stessa ferocia il ruolo di Dracula, sei pienamente consapevole che un’altra estate ormai si è conclusa.
L’arrivo di Settembre porta sempre con sé nuove consapevolezze, assieme agli stessi quotidiani ritmi di vita che dovremmo seguire per tutto l’inverno.
Per alcuni è tempo di rispolverare gli zaini lasciati a riposare per i tre mesi estivi; per altri è tempo di rincorrere l’ennesimo esame universitario che si vorrebbe solo rimandare; mentre per altri ancora le ferie finiscono, e ricomincia la solita così routine dominata dal lavoro e dalle responsabilità.
Settembre, il mese più odiato dagli studenti, e il più apprezzato da chi, come me, ama l’inverno e tutto ciò che lo precede: le foglie che cadono con eleganza dagli alberi, il tempo che diventa ogni giorno più uggioso, le giornate che si accorciano.
Settembre sembra essere il mese degli addii, in quanto si saluta tutto ciò che ha rappresentato l’estate e la libertà (esattamente come dice Jovanotti), ma io l’ho sempre trovato un mese di profonda rinascita.
Per me ogni anno, a Settembre, è un po’ come ricominciare da capo: anche se sembra di ritornare sempre alla solita, vecchia, routine, tutto in qualche modo può sembrare diverso, fresco e nuovo.
É il mese in cui si nutrono le speranze più disparate: speranze di un impegno duro e costante in palestra e nella dieta, (anche se, solitamente, si estinguono dopo pochi mesi), speranze di raggiungere obbiettivi nuovi; ed infine, la speranza che il tempo possa tramutarci in persone diverse, forse migliori.
Con Settembre è tempo ormai di dire addio alle esperienze di questa estate e, purtroppo, anche ad alcune persone. Nel frattempo, per sedare quell’amara malinconia che ogni tanto può farci visita, ci si può affidare ai buon vecchi ricordi: i soli a poterci permettere di rivivere certe emozioni, certi luoghi e certe persone, affinchè ci accompagnino e rimangano sempre parte di noi.

Martina Vaggi

Riflessioni

Attimi

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“«Cogli l’attimo, cogli la rosa quand’è il momento»”. Perché il poeta usa questi versi? Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare, diventerà freddo e morirà.”
L’attimo fuggente

A volte è proprio questione di un attimo.
Una svolta sbagliata, una scelta presa con superficialità, una parola giusta ma detta al momento sbagliato, un piede che spinge sull’acceleratore. Tutto può cambiarti la vita, anche solo in una minuscola frazione di tempo.
Si dice che tutto ciò che fai o che hai fatto nel tuo passato influenzerà in negativo o in positivo il tuo futuro. Ma chi dice questo spesso dimentica anche di dire che le cose che hai costruito nel tuo passato possono essere rovinate in un attimo dal tuo presente.
Basta solo un attimo.
Un attimo e la tua vita viene cancellata dalla faccia della terra.
Un attimo e tutto ciò che ti rappresentava (carattere, personalità, gesti) abbandona per sempre il corpo materiale e, con esso, tutto ciò che lo circondava: famiglia, amici, colleghi, luoghi.
In un attimo una serata divertente può trasformarsi in una tragedia.
Sono momenti incredibilmente intensi. In una frazione di secondo arriva quella chiamata che non ti saresti mai aspettato e ti piombano addosso mille emozioni, ricordi, gioie, dolori che hai condiviso con quella giovane vita.
Eppure le tragedie avvengono tutti i giorni in mille modi diversi, e in mille luoghi diversi della terra. Ma non penseresti mai che possa succedere a qualcuno che conosci, a qualcuno con cui hai condiviso una parte del tuo passato.
Che poi la vita sottratta sia giovane è un’aggiunta all’ulteriore dramma a cui sei costretto a partecipare.
E così mille pensieri iniziano ad affollarti la mente, mille paure, mille dubbi. Ne cito così alcuni, tipo: “Poteva e potrebbe succedere a me”; “Non è giusto che sia andata a finire così”, e poi c’è l’ultimo pensiero, il più terrificante: “Si vede che era destino”.
Il destino. Quello spaventoso concetto che toglie il dominio agli uomini sulle loro vite, per decidere lui stesso cosa farne.
Pensare che ogni cosa che farai nella tua vita possa essere solo in parte controllata da te, perchè, spesso, sembra proprio che non possa essere tu e decidere del tuo futuro.
Ma la giovinezza spesso se ne frega di questo concetto chiamato destino: la giovinezza è portatrice sana di spensieratezza, di follie fatte sul momento, di attimi fuggenti che devono essere a tutti i costi catturati.
La giovinezza, che è così tanto invidiata da coloro che giovani non lo sono più, porta con sè il costante pensiero di essere invincibile.
Credi che ogni sbaglio non conti perchè sarà sempre perdonato nel tempo. Ma questo concetto di “tempo” è fasullo nel momento stesso in cui ti rendi conto che non sempre possiamo avere il controllo di tutte le ore, minuti e secondi che passiamo su questa terra.
Vedendo da vicino tragedie come questa, in cui una tua coetanea perde così facilmente la vita, ti soffermi seriamente a riflettere.
Ti ritrovi così ad affidarti ai ricordi di un’infanzia condivisa insieme, tra la scuola materna, elementare e media, dove apprendere qualcosa di nuovo era facile, dove le giornate erano piene di scoperte e le ore trascorrevano felici, senza preoccupazioni, e noi eravamo del tutto ignare di ciò che il destino ci avrebbe riservato.
É da queste tragedie che capisci veramente quanto ogni persona sia unica ed insostituibile ed ogni attimo sia prezioso e debba esserlo.
In ricordo a ciò che è successo quel sabato notte su quella strada maledetta, complice di così tante vite spezzate, concludo affidandomi alle parole di un artista di fama, Francesco Guccini:

“Non lo sapevi che c’era la morte,
quando si è giovani è strano
poter pensare che la nostra sorte
venga e ci prenda per mano.
Non lo sapevi ma cosa hai pensato
quando la strada è impazzita
quando la macchina è uscita di lato
e sopra un’altra è finita.
Non lo sapevi ma cosa hai sentito
quando lo schianto ti ha uccisa
quando anche il cielo di sopra è crollato
quando la vita è fuggita. “

Martina Vaggi

Riflessioni

L’ultima sigaretta

Sigaretta

Inizia tutto in modo molto innocente.
La prima la provi a tredici anni, così, solo per gioco. Sembra uno di quei riti di passaggio adolescenziali che tutti devono provare almeno una volta da giovani, per dimostrare di essere all’altezza di quella difficile età, o forse già allora può sembrare la giusta via di fuga a qualunque tipo di problema.
A sedici anni poi continui fumandone qualcuna nel finesettimana, rubandole a chi allora già compra il pacchetto. A diciassette inizi a comprarlo anche tu, esaurendolo tutto sempre nelle due sere del finesettimana.
Forse a quei tempi c’era ancora il brivido del proibito, del nascosto, considerato che i genitori non lo sapevano, o comunque non volevano certo ritrovarsi una minorenne fumatrice in casa.
Ma poi anche questo brivido passa: inizi a non nasconderti più, a fumarne qualcuna anche durante la settimana, e costringi i genitori ad accettarlo.
Solo ora mi rendo conto che già a quel tempo l’abitudine a quell’infernale oggetto sottile si stava insinuando in me. Serpeggiava in ogni mio pensiero, si annidiava come un cobra pronto a colpirmi in ogni periodo di ansia e stress.
Io credo che il brutto dei vizi e delle abitudini sia questo: non ti rendi conto di essere caduto dentro a quella voragine, fino a quando non ne tocchi il fondo. A quel punto sai che l’unico modo per uscirne viva (laddove “viva” è un termine usato non casualmente) è accettare di avere dinnanzi a sé una parete da scalare: e l’unico modo per scalarla è rinunciare a ciò che ti ha trascinato fino in fondo a quella situazione.
E come arriva quel momento cruciale in cui l’amore per le sigarette inizia a sfumare in abitudine e dipendenza, arriva anche quel momento in cui sentirsi dipendente da quel ridicolo oggetto cilindrico significa guardarsi allo specchio e sentirsi anche ridicoli. Sopraggiunge così anche la voglia di disfarsene, di riappropriarsi della propria libertà, di riuscire di nuovo a controllare la propria vita, la propria mente e il proprio corpo.
Una spinta alla fatidica decisione di smettere può essere trovata nella via più semplice: basterebbe semplicemente cercare su Google “Effetti negativi del fumo” e aspettare che la parola CANCRO appaia sul monitor a caratteri cubitali.
Questo, forse, aiuterebbe a farsi un esame di coscienza di come si stia buttando all’aria la propria vita, quando invece al mondo ci sono persone che hanno avuto guai ben peggiori senza averli cercati.
Così, finalmente, puoi deciderti: prendi il pacchetto ancora mezzo pieno e lo butti nella spazzatura. Dici a te stessa che è l’ultima sigaretta, ma chi può dire se sarà vero?
Anche Zeno, il protagonista dell’opera più famosa di Italo Svevo, ci aveva provato con tutte le sue forze. Diceva: “Giacchè mi fa male non fumerò mai più, ma prima voglio farlo per l’ultima volta!”, ma ovviamente a quella sigaretta ne seguivano sempre altre.
In fondo, quando cerchi di combattere contro un vizio, ti ritrovi anche a dover combattere contro la parte più oscura di te stesso. Quella parte inconscia che quel vizio l’ha cercato, voluto e nutrito.
E vicerla non può essere certo facile…
Martina Vaggi