Riflessioni

Capisci ciò che vuoi e impara a chiederlo apertamente

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Qualche giorno fa una mia cara amica, con la quale ho condiviso dieci anni di rapporto oltre che una serie di delusioni sentimentali molto simili, mi ha dato una sua opinione sulla serie di “delusioni” amorose che in passato ci siamo trovate a condividere. Secondo la sua opinione, spesso e volentieri gli uomini con i quali ci ritroviamo di consueto a rapportarci ci portano a dubitare di noi stesse e del nostro valore. Questa cosa mi ha dato da pensare… Soprattutto quando mi sono accorta (con sorpresa) che non era una cosa vera.
Così mi sono ritrovata a pensare a tre anni fa, quando di fronte al (non molto gentil) sesso maschile non riuscivo a mostrarmi per com’ero realmente perché temevo in un giudizio o in un rifiuto: quando credevo che esprimere la voglia di condividere un’emozione, un sentimento, un abbraccio, o qualunque cosa riuscisse a farmi sentire viva, mi rendesse così sbagliata in un mondo dove l’esser freddi e distaccati è diventato uno stile di vita giusto e “sano”. Ho ripensato a quanto sono stata male allora, e mi sono resa conto che nel disperato tentativo di adattarmi agli altri per non mostrarmi debole, ho mancato di rispetto all’unica persona che realmente dovrebbe contare nella mia vita: me stessa.
E poi ho ripensato all’oggi. Ho ripensato alle risate, all’umorismo, ai tentativi che faccio oggi giorno per cercare di prendere con più leggerezza le cose. Ho pensato a quanto mi stia abituando a far cadere giù le maschere, quando lo reputo opportuno, e a quanto ci stia finalmente riuscendo. Ho pensato a quanto io stia imparando a capire ciò che voglio e a chiederlo senza avere paura. E nel pensare tutte queste cose, ho scoperto con gioia qualcosa che prima ignoravo del tutto: non sono sbagliata per il mondo. Non sono sbagliata per gli altri. Non più. Perché finalmente ora mi rendo conto di essere giusta per me stessa.
Questo non è il solito articolo cinico e deluso che mi ritrovo solitamente a scrivere quando parlo di uomini. Questo articolo parla solo di quanto è bello e liberatorio, finalmente, sentire che stai facendo tutto quello che puoi fare per essere davvero serena.
Capisci ciò che vuoi e impara a chiederlo apertamente. Sembra facile, e forse adesso lo è davvero. Chiedo ciò che voglio e cerco di ottenerlo. E se non ci riesco, cambio direzione. Ma lo faccio prima di tutto per me: perché so che è giusto farlo.
Lo faccio perché questa è la mia vita e so di avere il diritto di viverla come io reputo giusto. Di vita ne abbiamo una, non c’è nulla dopo. E viverla seguendo le intenzione, i desideri e le opinioni altrui la rende sprecata. Vivere non riuscendo appieno ad apprezzare la semplicità che scovi in persone molto rare da trovare significa sprecarla. A cosa serve cercare sempre di più, guardare troppo avanti, e aspettare sempre che arrivino le occasioni giuste che possono fare al caso nostro, se questo ti impedisce di goderti appieno le occasioni del presente? Credo, piuttosto, che ogni occasione possa essere quella giusta: resta solo a noi decidere se lo è oppure no.
E’ così sprecato il tempo speso a chiederci cosa non va in noi; sprecato come sono quelle parole che non portano da nessuna parte, quando tra uomo e donna ci sono così tanti bei posti in cui poter andare.
E’ sprecata questa vita, solo se si decide di viverla attraverso gli occhi altrui.
E’ preziosa, invece, se scegliamo ogni giorno ciò che reputiamo meglio per noi e impariamo a buttarci nelle cose senza averne paura.
Ed è proprio così che intendo vivere.

Martina Vaggi

Riflessioni

Amore e sesso occasionale: la felicità è nei due estremi?

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“Amore e sesso occasionale: paradossalmente sono i due estremi la soluzione migliore”. Non molto tempo fa mi sono imbattuta in questa frase che mi ha lasciato incredibilmente di stucco. La cosa che mi ha sconvolto di più è stato il sentire con le mie orecchie quanto l’amore rientrasse nei piani di una vita “migliore”, e sentirlo pronunciare ad alta voce da un uomo.
Con il passare del tempo sarò diventata sicuramente più cinica, ma in un mondo dove il concetto “la ricerca dell’anima gemella” sembra essere ormai datato e fuori moda, mi sorprendo sempre quando qualcuno trova ancora il coraggio di ammettere a se stesso, e anche agli altri, di sentire la necessità di provare qualcosa in questa realtà. Un qualcosa che ci faccia sentire più vivi, e più in linea con l’idea di una vita che valga la pena di essere vissuta.
Ma, più tardi, pensando a ciò che lui aveva affermato, mi chiedevo se, parlando della sfera sentimentale, la felicità la si potesse davvero trovare nei due estremi. In una realtà dove il sesso occasionale è ormai alla portata di tutti perché facile da ottenere e da praticare, in quanto libero da ogni vincolo di fedeltà e di impegno quotidiano con l’altra persona con cui lo si pratica, sarà davvero capace di rendere completamente felice una persona? Al giorno d’oggi sembra di sì, visto la facilità con cui viene… richiesto.
Oggi sembra che per gli uomini sia più facile e naturale chiedere a una donna di fare del sesso (“E sia ben chiaro che non voglio storie serie“) piuttosto che chiederle di uscire a prendere un caffè per conoscersi.
Ricordo ancora con chiarezza di un episodio che mi è successo in discoteca, dove un ragazzo mi ha chiesto di andare nel parcheggio a “fare qualcosa con lui” e ottenendo una risposta negativa mi ha domandato con una certa nonchalance: “Ma che problemi hai tu?
E la cosa veramente tragica è che non è stato l’unico caso
accaduto a me o ad altre persone di mia conoscenza.
Quindi oggi aspettarsi che un ragazzo ti chieda di andare a prendere un caffè invece di chiederti l’accesso facile e garantito alle tue grazie significa “avere dei problemi”? Siamo al limite del comico quasi.
Ormai sembra che ammettere di voler conoscere qualcuno stia diventando una pratica pericolosa, in quanto “anormale” per la realtà che ci circonda, basata spesso e volentieri su incontri casuali e superficiali, sguardi che non vengono neanche più notati, mani che si sfiorano ma solo per passarsi i cocktail o le sigarette.
A volte sembra quasi che l’amore stia passando di moda assieme all’umanità, quella pura e semplice, capace di portarti ad ammettere i tuoi sentimenti ad un’altra senza doverti sempre sentire un lebbroso, evitato e tenuto lontano da tutte quelle persone immuni da sentimenti.
Ma,
tornando alla pratica del sesso occasionale, per quanto comune e “facile”, non sembra essere immune da ricadute sentimentali: queste a volte possono andare a buon fine, provocando l’inizio di una storia d’amore, mentre altre volte… si rivelano un disastro. Forse i rapporti occasionali non fanno per tutti: esattamente come i rapporti stabili.
Forse ci sono
persone portate più per l’uno o per l’altro, e che ce ne sono altre (a mio avviso, le più fortunate), portate per entrambi.
Resta il fatto che i due estremi di cui lui mi ha parlato (amore e sesso) risultano essere entrambe due necessità di cui l’uomo ha bisogno. E se per i rapporti occasionali non tutti ne siamo portati, resta da dire che anche l’amore non è più così facile da trovare. Il mondo va a rotoli perché spesso e volentieri le persone di buon cuore chiedono amore a persone che non hanno tempo di ricambiarlo perché troppo impegnate a correre dietro a persone più “stronze”.
Oggi più che mai l’amore sembra somigliare sempre di più ad una partita a scacchi dove chi non sconosce le regole finisce, inevitabilmente, per perdere la partita.

Nell’evoluzione delle specie, quand’è che l’amore ha cessato di essere meraviglioso e ha iniziato a far paura?
E se ci fosse davvero da scegliere tra i due estremi (amore e sesso), quale sarebbe meglio intraprendere?
L‘amore non è forse più sacro, in quanto più difficile da trovare e da mantenere al momento?
Forse la vera felicità si manifesta nel nostro cuore quando troviamo quella persona che sa unire sesso e amore e sa condividerli solo con noi.
E’ questo il difficile, ma è anche qui dove comincia
il bello.

Martina Vaggi

Riflessioni

Immobili (mentre il mondo ci sta urlando di muoverci)

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Quando sei nell’età adolescenziale solitamente sei talmente spensierata da viverti la vita così come viene e accogli tutto ciò che ti capita, bello o brutto che sia: è solo nei ritagli di tempo in cui non sei impegnata a combinare qualche danno, che ti ritrovi a fantasticare su come sarà il tuo futuro. Un futuro che spesso immagini molto più radioso e fantastico di come sarà in realtà.
Ma sono gli anni a venire a rappresentare un vero e proprio mutamento. Quando arrivi ai vent’anni, infatti, inizi a renderti conto di quanto il futuro stia diventando sempre più presente: un presente che non è così roseo come te lo spettavi, e con il quale non sempre vuoi avere a che fare. Ma prendi ancora tutto ciò che la vita ti offre, spesso anche quello che capita, e ben poche volte ti fermi a chiederti cosa sia giusto per te.
Quando tocchi la soglia dei venticinque anni, poi, inizi a sentire con mano quanto il futuro sia davvero arrivato. Sono anni di cambiamento per tutti: c’è chi già si sposa e decide che è l’ora giusta per metter su famiglia, chi invece sta ancora studiando e non ha idea di come farà per trovarsi un lavoro, e poi c’è chi si sente perso, sperduto in un limbo tra ciò che è giusto fare e ciò che si dovrebbe fare. Molte cose ora ti appaiono diverse da come potevano apparirti a vent’anni. Tutto è destinato a cambiare, a volte anche a distanza di mesi: rapporti umani, relazioni sentimentali, vestiario, lavoro…
E in un mondo in continuo mutamento, il fattore “tempo” inizia ad essere sempre più presente nella tua vita: prima pensavi di averne così tanto per realizzare tutto ciò che volevi, ma adesso? Adesso credi ancora che il tempo stia ai tuoi comodi? O forse sei tu a dover correre per tenere il suo passo?
Il tempo: qualcosa di talmente sfuggente e vacuo, capace di rendere il passato subito presente, e di trasformare il presente in un immediato futuro.
E così avviene che inizi a dare importanza a certi momenti, in quanto pensi che potrebbero anche non ripetersi più: e inizi a capire con chi hai voglia di spendere il tuo tempo e con chi, invece, non vuoi più sprecarlo. Succede lo stesso quando si tratta di relazioni: in un mondo in continuo movimento e mutamento, dove ciò che più conta è trovare un modo per lavorare, produrre e guadagnare, capisci quanto anche le relazioni umane abbiano un loro prezzo sul mercato di anime che popola il mondo.
Venticinque anni è quell’età di mezzo dove vorresti davvero rischiare, ma in qualche modo gli errori commessi in passato ti bloccano dal farlo: c’è la voglia di tentare nuovi approcci che soppiantino i primi, fallimentari, ma il coraggio spesso viene a mancare. E in questo nuovo schema già di per sè contorto, c’è un nuovo elemento a farti compagnia: la paura. Il terribile fattore paura, che si insinua con l’avanzare dell’età e si manifesta con la più comune e diffusa sensazione: quella che si ha quando ci si vuole buttare disperatamente in qualcosa ma ci si sente ancorati al suolo, immobili.
Questo è il termine che userei per definire questa età, la mia: avere venticinque anni e scoprirsi immobili. Immobili in un mondo che cambia. Immobili quando tutto attorno a noi ci sta urlando che è necessario muoversi.
E se scoprire, finalmente, cosa è meglio per noi e cosa davvero vogliamo può rappresentare un grande traguardo, è anche vero che questo può rappresentare un grande limite. Un limite che ti porta ad essere sempre più selettiva verso le persone e a restringere il campo dei rapporti, specialmente quelli sentimentali.
Ma diventare selettivi, per quanto in certe circostanze diventi necessario, ha un suo prezzo… Un prezzo che, nel panorama sentimentale, prende il nome di solitudine.

Martina Vaggi

Riflessioni

Lettera a una nonna

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Vengo ancora al cimitero e piango sempre per te.
Inizio questa lettera così perché mi sembra l’unico modo possibile in cui poterla iniziare. Sono passati ormai quasi sette anni da quando te ne sei andata e io non so quanto piangere ho fatto quel giorno. Forse le lacrime sono state un modo per esprimere quanto io fossi rammaricata di non poter più vivere certe emozioni e traguardi con te.
Se potessi parlarti, in questo giorno dedicato alle mamme, giorno in cui le mancanze si fanno ancora più sentire, probabilmente ti direi di quanto tu mi sia mancata il giorno in cui ho preso la patente: un giorno che per te non sarebbe forse stato felice, perché avrebbe segnato l’inizio di ansie e angosce continue. Se potessi parlarti, probabilmente ti racconterei di quanto mi manca sentirti parlare della tua infanzia: ricordo di quando mi dicevi che da piccola volevi leggere a tutti i costi e stavi delle ore a consumare la candela. E i miei bisnonni ti sgridavano perché quella era l’unica candela che avevate a disposizione.
Io di candele non ne ho mai consumate, nonna, ma di luce ne ho usata molta: l’ho usate per le mille pagine che avevo da studiare per ogni esame, l’ho usata per le intere ore passate su quei libri, che mi hanno portato dritto ad una laurea della quale tu saresti stata così fiera. Ti ho pensata tanto quel giorno, e anche tutti i giorni spesi ad assistere le lauree delle mie amiche, che ancora avevano la fortuna di avere dei nonni pronti a baciarli sulla guancia per congratularsi con loro.
Se tu fossi qui, so che vorresti leggere quello che scrivo e so che le candele che prima non potevi usare, ora le useresti tutte in una volta solo per me.
Mi manca di quando il nonno mi raccontava della guerra e piangeva e non riusciva più a fermarsi: mi ricordo ancora di quando andava a vedere le partite di tennis di Andrea e gli brillavano così tanto gli occhi che sapevo che non sarebbe mai stato orgoglioso di me quanto lo era di lui. Ora potrebbe venire a vedere anche le mie di partite, ora che anche io ho iniziato a giocare.
Mi manca di quando io e Andrea litigavamo e tu mi abbracciavi e dicevi: “Dovete abbassare una spalla ciascuno, Martina”. Ora c’è la mamma a dirmi queste cose e, forse, una spalla la stiamo abbassando davvero per poter andare d’accordo.
Mi manca quando mi parlavi del passato, degli inverni che tu e il nonno avete speso in negozio, per costruire a forza di ago e filo il vostro e il nostro futuro. Mi ricordo di quando dicevi: “Abbiamo cucito cento cappotti in un inverno, lavorando giorno e notte”. Se tu fossi qui, ti racconterei di come adesso non basterebbero cento cappotti per creare un futuro: ti racconterei di quanti giovani ci sono che non hanno voglia di lavorare e che si lamentano dei sette euro all’ora che prendono, ma di quanti ancora ce ne siano che si danno da fare e inseguono un sogno che forse non raggiungeranno mai. Quanto costa cara la serenità, nonna, ad oggi non potresti saperlo. Quanto costa caro immaginarsi un futuro che sembra ogni giorno sempre più irraggiungibile.
Se tu fossi qui, ora che ho coscienza di quanto varrebbe un minuto speso insieme a te, forse ti abbraccerei di più. E sorriderei amaramente nel sentire la tua fatidica domanda: “Ce l’hai il fidanzatino, Martina?”, e risponderei in maniera cinica, perché ad oggi non posso fare altro. Ti racconterei di quanto è difficile poter credere in qualcosa di così semplice come l’amore, di quanto ormai sia complicato dare amore a qualcuno, sapendo, fin dal principio, di avere così poche speranze di riceverlo. Perché di persone come te che hanno amato il loro marito per cinquant’anni ormai ce ne sono davvero poche.
Se tu fossi qui ti racconterei di quel giorno in cui ho deciso di tatuarmi il tuo nome sul braccio: quasi come se il dolore subito dall’ago potesse farmi sentire più vicina a te. Ma so che tu non saresti d’accordo.
Se tu fossi qui ti chiederei di parlare di più. Ma forse, più di ogni altra cosa, ti chiederei di mettere una mano sulla spalla della mamma e di infonderle serenità, tranquillità, in un tempo dove ogni madre del mondo cerca di essere forte non solo per se stessa, ma anche per il marito e per i figli. Un tempo dove ogni madre cerca di sorridere e affrontare la vita giorno per giorno, sapendo che i problemi ci sono e ci saranno, ma possono essere messi da parte se c’è una famiglia per la quale apparecchiare la tavola, fare i letti, stare seduti insieme a cenare e ridere fino a star male.

Vengo ancora al cimitero e piango sempre per te. Sto piangendo anche ora mentre sto scrivendo questa lettera che non potrai mai leggere. Piango e mi rendo conto che queste sono le uniche lacrime delle quali non mi vergognerei mai.

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Martina Vaggi