Riflessioni

Bridget Jones: un esempio femminile per la donna contemporanea

 

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Abbiamo visto tutte, almeno una volta, uno dei tre film che la riguardano. Abbiamo tutte riso infinitamente nell’osservarla cadere, sporcarsi di fango fino ai capelli, oppure mettersi in ridicolo di fronte ad persone ben vestito con la puzza sotto al naso a portata di mano.
Bridget Jones l’abbiamo vista tutte (o quasi), almeno una volta al cinema o in tv. Per me l’ultima volta è stata ieri, quando ho passato due ore al cinema a ridere senza sosta, assieme ad una folta platea femminile.
Dico che l’abbiamo vista tutte perché non c’è neanche una minima probabilità, secondo me, che almeno una volta nella vita ognuna di noi non si sia sentita come lei: goffa, buffa, in disordine e un pochino spannata.
Ed è proprio questo il segreto del suo successo: la semplicità, l’essere una persona imperfetta, piena di difetti e caratteristiche che di sicuro non riceverebbero il primo posto alla sagra della “Donna dallo sguardo languido e coscia lunga”. Ma a chi importa?
La sua imperfezione è addolcita dalle sue guance paffute, dalla sua imperturbabile ironia maldestra, che la rendono unica e vera. Lontana anni luce dalle donne di plastica che serie tv e film talvolta ci propinano.
Imperfetta, ma unica.
Piena di un’esplosiva personalità, che non può fare altro che colpire: la platea femminile, ma anche quella maschile. E se nei tre film con Renée Zellweger le figure maschili non sono state altro che un contorno alla sua esplosiva comicità, è anche vero che l’interesse e le rivalità che la protagonista scatena sempre tra due uomini completamente diversi danno ancora più valore alla sua persona.
Al giorno d’oggi tutte noi ci sentiamo un po’ Bridget Jones. Un po’ tanto, aggiungerei. Tutte noi proviamo sulla nostra pelle quanto caro costi essere delle persone imperfette in un mondo che richiede la perfezione: tutte noi ci siamo viste, almeno una volta, soffiare il posto accanto ad un ragazzo che ci piaceva da una ragazza più bella, più magra, che aveva tutto, ma proprio tutto (anche il cervello di una gallina). Proprio per non farsi mancare niente.
Eppure la vicenda di Bridget, nonostante venga spettacolarizzata su uno schermo e venga data quindi come una “finzione”, rappresenta un esempio di realtà: l’esempio che tutte noi aspettiamo da sempre. Un’esempio che, proprio perché passa attraverso il mondo dei media, è molto più positivo, rispetto alle solite storielle di “magre, alte, belle e perfette”, che conquistano l’uomo giusto principalmente grazie alle canottiere scollate.
Bridget di uomini ne conquista ben due, e lo fa con una sbadataggine che fa sorridere: il playboy bello e inaccessibile, e il serioso fin troppo razionale.
E in un mondo dove per conquistare qualcuno bisogna spesso fingersi qualcun altro,  Bridget Jones è il miglior esempio femminile che si possa dare di quanto la semplicità, alla lunga, paghi sempre.

Martina Vaggi

Photo Credit: http://www.vox.com
Riflessioni

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E poi ci sono quei periodi.
Quelli in cui alle 11.00 vai a dormire e alle 2.00 di notte sei ancora sveglia.
Quelli in cui un giorno smetti di fumare e il giorno dopo fumi più di prima.
Quelli in cui ti domandi se davvero è tutto qui.
Sono quei periodi, e ormai li riconosci molto bene.
I periodi in cui inizi le cose ma non le porti a termine.
Non sai stare ferma ma non ti stai neanche muovendo.
Muoviti.

– Quando la notte non si dorme

Martina Vaggi

Photo Credit: http://ramirame.tumblr.com
Riflessioni

Lo sguardo sulle corsie del pronto soccorso

C’è uno sguardo che vagava tra le corsie di quel Pronto Soccorso.
Osservava le vite di quei corpi dal battito debole, le persone ingrigite da un’età avanzata, gli sguardi preoccupati dei parenti accanto ai letti. Viaggiava veloce tra tutti gli umani, sdraiati, ma svegli: braccia attorno al petto e sguardi assenti.
Uno sguardo attonito, distante e inerme.
Inermi, come tutti noi: piccoli pedoni senza via di fuga.
Inermi, prima che la vita e la morte giochino a scacchi la nostra prossima mossa.

Martina Vaggi

Riflessioni

Eravamo tutti Charlie Hebdo, fino a quando abbiamo deciso di non esserlo più

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Era 7 gennaio del 2015 quando la sede del giornale satirico Charlie Hebdo di Parigi subì un attacco terroristico ad opera di alcuni jihadisti. L’attacco, scatenato da alcune immagini satiriche su Maometto e l’Islam, colpì duramente la sede del giornale, che quel giorno subì 12 perdite, tra cui molti membri della redazione.
In quel periodo molte persone hanno dimostrato la loro solidarietà e vicinanza alla Francia e alla redazione del giornale satirico, autoproclamandosi Charlie Hebdo, con la frase che divenne poi celebre: “Je suis Charlie“. Questa frase mirava anche a celebrare la libertà di espressione, quella libertà per la quale 12 persone morirono quel giorno.
Un anno dopo, facendo un balzo nel presente, l’Italia si trova lei stessa a subire un duro colpo: un terremoto di magnitudo 6.0 colpisce alcune città del Centro Italia, tra cui Amatrice, che viene rasa quasi completamente al suolo. Quasi 300 sono le perdite.
A una sola settimana di distanza da questo tragico evento, Charlie Hebdo fa di nuovo sua la libertà di espressione, pubblicando una vignetta che ritrae persone sepolte come strati di lasagne. La vignetta reca questo titolo: “Terremoto all’italiana: penne al sugo di pomodoro, penne gratinate, lasagne“. Nello stesso pomeriggio, il giornale si esprime nuovamente, pubblicando su Facbook una nuova vignetta dal titolo: “Italiani, non è Charlie Hebdo che costruisce le vostre case, ma la Mafia“.

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Sul web si sono scatenate le polemiche e tra le emozioni maggiormente riscontrati, emerge quella dell’indignazione. L’indignazione per una vignetta di così cattivo gusto, che ritrae dei connazionali deceduti, seppellendoli e ricoprendoli di ciò per cui l’Italia è celebre: la cucina. Un’indignazione che condivido pienamente anche io. Accanto a queste polemiche, come spesso succede, ne sono scaturite altre: le polemiche di chi sostiene che le persone indignate siano le stesse che il 7 gennaio del 2015 recitavano a gran voce “Je suis Charlie Hebdo“.
Sicuramente è così. E cosa ci sarebbe di sconvolgente, esattamente?
Siamo stati tutti (o quasi) Charlie Hebdo quando il giornale è stato colpito, e perché mai non avremmo dovuto esserlo?
Perché no? Per paura di essere etichettati come “pecoroni”? Per paura di quel popolino di Facebook che gioca a fare il “diverso”, quando poi va a fare la coda per comprarsi l’I-Phone?
Il problema è che a quel popolino non viene nemmeno in mente per un secondo che alcuni (non tutti), di quelli che hanno sostenuto la rivista all’epoca della tragedia, fossero davvero addolorati per la vicenda, e sentissero il bisogno di esprimerlo. Quel popolino non ammette la purezza di un sentimento come la solidarietà: ammette solo di vedere il marcio in ogni situazione. Ragiona per “mode” o per “incoerenze”, e si riempie la bocca di queste parole senza neanche prendersi la briga di pensare positivo sulle persone (tanto per cambiare).
Ma all’epoca chi non avrebbe mostrato un minimo di dispiacere per una vicenda così assurda e tragica allo stesso tempo? Sono morte delle persone, e non certo per una giustificazione accettabile.
Ma il popolino di Facebook chiede coerenza, e oggi non la vede. Non la vede perché quasi nessuno di quelli che un tempo recitò il “Je suis Charlie Hebdo”, oggi si ritroverebbe a citarlo e a sostenerlo. Io no di certo.
Questo perché l’ironia, come tutte le cose, deve avere dei limiti. E una catastrofe naturale è uno di quei limiti. Una vignetta del genere è veramente di pessimo gusto (e di pessima ironia, aggiungerei): che poi il giornale abbia ironizzato sullo stato di corruzione che vige in Italia, è maggiormente accettabile.
Ma, visti i fatti, credo sia abbastanza difficile parlare di incoerenza. L’aver sostenuto un giornale che aveva subito un attacco alla libertà di espressione, e il remargli contro oggi, quando lo stesso giornale fa dell’ironia sulla morte in maniera così disgustosamente esplicita, non rende una persona incoerente. La rende semplicemente libera di decidere chi vuole sostenere e chi no. La rende libera di mantenere la propria libertà di espressione: la libertà del giornale non è stata infranta, dal momento che nessun sopravvissuto di Amatrice ha ancora preso in mano un mitra per fare una strage dei redattori e vignettisti della rivista francese.
Ma, a quanto pare, certe persone non riescono a digerire altre parole che non siano “Incoerente”, “Pecoroni”, e “Le cose vergognose sono altre”. Quindi io opterei per lasciare gli aspiranti “diversi Facebookiani” a continuare a gingillarsi con i soliti detti, triti e ritriti… Poi non dimenticatevi di comprare l’I-Phone, però.

Martina Vaggi

Photo Credit: http://www.scattidigusto.it
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