Ognuno di noi ha incontrato almeno una volta una persona con cui le cose potevano andare eppure non sono andate. Persone a volte completamente diverse da noi, altre volte invece molto simili, con le quali si percepisce fin da subito un legame inspiegabile, quella scarica di adrenalina al solo pensarle o vederle. A volte sono persone con cui staresti ore a parlare, altre volte persone talmente complicate e smarrite da smarrire te stesso nel cercare di capirle.
Ognuno di noi può annoverare nella propria lista di persone incontrate/frequentate almeno una di queste con cui ha un rapporto in sospeso.
Succede, prima o poi, di cadere nella trappola di un rapporto irrisolto.
E parlo di rapporti irrisolti perché il più delle volte si tratta di rapporti che non sembrano sentimentalmente risolvibili. Rapporti talmente incasinati da aver quasi paura di tramutarli in qualcosa di più, qualcosa di più “normale” e comune, come una storia a lieto fine o una relazione piena di quotidiani interessi e difetti condivisi.
Quando si capita in queste situazioni, la cosa più comune che possa accadere è quella di ritrovarsi immersi in un vortice di pensieri, paranoie, possibili soluzioni tutte catalogabili nella categoria “Cosa sarebbe successo se…?”.
Ma il più delle volte non succede mai nulla.
E quanto tempo passiamo chiedendoci il perché non succede mai nulla.
Alcuni dicono che è per via delle paure: quel groviglio complicato di sensazioni, mescolate all’istinto, che ci dicono che quello che vogliamo fare non rappresenta la cosa giusta, che ce ne pentiremo e che forse è meglio stare soli piuttosto che coltivare altre delusioni. E poi c’è il destino, che in queste situazioni fa un po’ da arma a doppio taglio, perché ti dà la “sicurezza” che le cose andranno come devono andare, che le persone verrano da te magicamente, pur non muovendo un dito per andarsele a prendere.
E poi… vale la solita regola del “Se non ti cerca, non gli piaci abbastanza”.
Per come la penso, potrebbero essere vere tutte queste opzioni, oppure nessuna di queste. Il fatto è che l’essere umano è diventato qualcosa di così complicato da capire, che credo che anche il signor Freud oggi avrebbe qualche difficoltà nel provarci.
Vi è mai successo di sedervi ad un tavolo circondata da persone che navigano sul 50esimo anno di età (o giù di lì) e di ascoltare, affascinate, quelle belle storie sul come lui ha conquistato lei, le ha portato dei fiori, ha avuto pazienza di apettare anche fino al quinto appuntamento per baciarla e tutte queste belle cosette qui?
Ecco, questi racconti sui bei tempi andati purtroppo non ci rispecchiano più. Non rispecchiano più quest’epoca in cui ci troviamo a vivere, altrimenti come si spiegherebbero tutti i discorsi maschili che sentiamo (“Non ci sono più ragazze con i valori, che vogliano sposarsi, stirare le camice” ecc) e tutti i discorsi femminili invece (“Sono tutti uguali, vogliono la ragazza seria e poi si fanno mettere sotto da quella che non la è”).
Ecco. Un disastro su tutta la linea praticamente.
Il fatto è che la società è cambiata e molto velocemente anche. I mezzi di comunicazione si sono evoluti in maniera così rapida da non darci neanche il tempo di adattarci. Per come la vedo io, le persone di oggi (noi), ci stiamo ancora adattando alla triste realtà che vediamo: le donne cercano di adattarsi al fatto di trovare con difficoltà qualcuno che faccia il primo passo (e lo faccia come si deve) e che sappia restare in una relazione a due senza cercare le soluzioni ai problemi tra le gambe di qualcun’altra. Gli uomini, invece, probabilmente stanno cercando di adattarsi al fatto di non essere più ormai in grado di fare gli uomini. Di alzare il telefono per chiamare, invece di scrivere un messaggio. Di citofonare invece di messaggiare. Di baciare, invece di lasciare dei like sulle foto profilo di Facebook.
E non è che sia solo colpa loro, per intenderci. Anche noi donne abbiamo le nostre colpe. Tanto per dirne una, le abbiamo nel momento in cui non rispettiamo noi stesse nella fretta di dare, assecondare, più che di ricevere, e mostrare (nel vero senso fisico della parola) solo per paura che la persona che abbiamo davanti semplicemente… svanisca.
Le abbiamo nel momento in cui non ci rendiamo conto che il rispetto per se stesse è la prima cosa: senza quello risulta difficile rispettare qualcun altro.
Quello che è innegabile, però è che Internet ha creato un’altra realtà, dandoci la possibilità di creare profili a nostra immagine e somiglianza, con il risultato che ognuno mostra solo ciò che vuole di se stesso: e quei profili non sono noi, ma qualcuno a volte completamente diverso da noi.
Quei profili sono diventati chi vorremmo essere noi.
Mentre noi, la parte più vera di noi, è rimasta dietro lo schermo, in disparte. A guardare.
E ad avere paura. Una tremenda paura.
La paura non di scrivere ma di chiamare. La paura non di nascondersi dietro un telefonino, ma di saltare in macchina e affrontare faccia a faccia la persona con cui vogliamo veramente chiarire.
Abbiamo paura nel momento in cui prendiamo coscienza di ciò che siamo diventati davvero. E allora capiamo che il “mi piace” alla foto profilo non ci basta più. Che le conversazioni via messaggio sono qualcosa di veramente asettico e freddo se non proseguono in gesti, sguardi, calore: al loro posto, infatti, preferiremmo una bella chiaccherata davanti ad un caffè.
Abbiamo paura quando ci rendiamo conto che questa realtà è andata troppo avanti, troppo oltre. E noi siamo rimasti indietro, a guardare con nostalgia a quei tempi passati in cui alle ragazze si regalavano ancora fiori per conquistarle e quelle ragazze non usavano i filtri Instagram per attirare e ingannare ma la mente, il sorriso, la semplicità di un viso acqua e sapone.
E in questo panorama già abbastanza triste si inseriscono le nostre storie irrisolte. E a vedere tutto l’insieme, è anche piuttosto facile rendersi conto del perché nascano storie che non hanno nè una durata, nè uno svolgimento, nè una fine.
Il problema vero però rimane: ogni persona ha voglia di circondarsi di sentimenti ed emozioni che la facciano sentire viva.
E come facciamo a dare quand’è più facile dare la colpa alla paura, o al destino, o a una miriade di stronzate che non sappiamo neanche più come inventarle?
Ma soprattutto: di tutto quell’amore che abbiamo e che continuiamo a non donare, cosa pensiamo di farne?
Martina Vaggi