
Cara nonna,
ti scrivo adesso e non so perché ho aspettato così tanto per farlo.
Non ho mai potuto parlare con te e l’unico modo che ho di farlo ora è di scriverti.
Sono passati più di vent’anni da quando te ne sei andata.
All’epoca dovevo avere non più di quattro anni, eppure non ho ricordi del poco tempo che abbiamo trascorso insieme. E, se mi sforzo di ricordare, l’unica memoria che ho è di un’ombra sfocata china sopra di me.
E tutt’ora non so se è un sogno oppure realtà.
Papà mi ha parlato di te qualche volta. Non tantissimo, in realtà.
Mi ha raccontato di te e del nonno. Mi ha detto di com’era umile il nonno e di com’eri buona tu. Parla sempre di te come se fossi un’anima preziosa e candida e forse è davvero così. A me piace molto immaginarti così.
Ho sentito sempre parlare di te per tutti questi anni ma non credo che la vita ci abbia mai presentate ufficialmente.
Io sono Martina e tu sei Adelina. Io sono tua nipote e tu sei mia nonna.
Sai nonna, io penso che la famiglia sia ciò che più ci lega al mondo, pur trovandoci in posti diversi o dimensioni diverse. Credo sia un po’ come una sensazione di calore sotto pelle che ti riscalda fin dentro le ossa e non se ne va mai via davvero.
Un amore che lascia una cicatrice indelebile, un po’ come quel tatuaggio che ho all’interno del braccio e che porta il tuo nome e quello della mia nonna materna.
Tu sei la nonna che non ho mai conosciuto, la nonna che tanto desiderava avere una femmina e che, ironia della sorte, ha avuto tre maschi. E poi ne ha avuti altri quattro dai suoi tre figli e poi… poi sono arrivata io.
Papà mi ha raccontato che, quando ti hanno annunciato la mia nascita, hai pianto. Quel giorno papà ti ha detto che era arrivato il momento di donare quella bambola, quella che tu tenevi per quell’occasione. Era una bambola veramente grossa (e anche un po’ inquietante, se devo dirla tutta): mia mamma me l’ha mostrata una volta, quando aveva ancora il negozio di vestiti. Mi ha portato in soffitta e me l’ha fatta vedere.
Ho visto il cofanetto che mi hai lasciato e il biglietto. Metto il tuo braccialetto qualche volta, solo nelle occasioni veramente speciali però: è troppo prezioso e importante per portarlo a spasso sempre.
Volevi tanto una femmina ma la vita ti ha strappato via da quella bambina senza neanche darti il tempo di godertela ancora un po’.
Ad oggi, quando vedo Bianca e la mamma assieme, mi capita di immaginare come devono essere stati quei momenti quando io ero piccola e tu eri la mia nonna.
Anche tu mi tenevi in braccio?
Anche tu mi baciavi la fronte e forse mi dicevi che ero bella? La più bella bambina del mondo per te.
E mi cantavi la ninna-nanna. Questo me lo ricordo.
Papà mi ha raccontato di quei giorni. Di quando mi portavano da te, a Pieve, e poi mi venivano a prendere. E tu eri felice.
Mi ha detto anche che il tuo sogno era quello di fare l’infermiera ma che allora era ritenuto un lavoro poco serio e nessuno ti ha permesso di farlo.
Quando ci penso sorrido, con amarezza, perché… è un po’ anche la storia della mia vita, no?
Ma tu già sai.
Mi hanno raccontato del brutto male che ha colpito prima il nonno e poi te.
Quel poco che so di te, di voi, mi è stato sempre e solo raccontato.
Ho guardato le vostre foto, qualche volta. Il tuo viso fragile, le tue braccia magre. I tuoi occhi timidi.
E’ una strana sensazione, quella di vivere pensando a te con amarezza, rimpianto.
E’ strano pensare con malinconia ad una persona che non hai mai conosciuto e riuscire comunque a sentirne la mancanza.
Non ci siamo presentate, nonna, ma forse un giorno lo faremo.
Forse un giorno ci siederemo assieme, ci guarderemo negli occhi e ci racconteremo di una vita intera.
Forse lo faremo e magari è vero ciò che si dice della vita dopo la morte: che qualcosa, la parte più importante e preziosa di noi, resta oltre il corpo e va’ avanti nel suo cammino.
Ma questo lo puoi sapere soltanto tu.
Sai, è da più di dieci anni che non posso più pronunciare la parola “Nonna”.
Ma in tutto questo tempo, quella parola non me la sono mai dimenticata.
Ancora tua, Martina.