Crescita personale

Imparare da un ambiente di lavoro imperfetto: la continua ricerca di un mentore

Sono cresciuta in una famiglia di liberi professionisti. Tutti, a casa mia, hanno sempre lavorato in proprio.
Sono sempre stata abituata a sentire discorsi del tipo: “Avere un dipendente costa ad un datore di lavoro, lo sai, Martina?
E questo è, più o meno, tutto.

Ma cosa succede se capiti in un ambiente di lavoro, diciamo, ecco, non proprio all’acqua di rose?
Cosa ti succede?
Cosa succede alla tua mente?

Quali sono gli effetti sulla tua autostima?

A tutti è capitato, almeno una volta.
Sì, anche a voi.
So che state annuendo.

ambiente di lavoro

Trovarsi in un ambiente di lavoro difficile: adattarsi al peggio

“Ritieniti fortunata anche solo di avere un lavoro”

Questa frase oggigiorno è diventata un mantra, sussurrata, ripetuta e scritta praticamente ovunque.
Io è dal primo anno di università che io me lo sento ripetere. (n.d.r. 2011).
Sempre per via del fatto che vengo da una famiglia di liberi professionisti.

Per una persona che vuole fare la dipendente, è quasi una condanna.

Anyway…
Ovviamente, questi discorsi sono tutti corretti. Tutti di facile comprensione anche per chi, come me, ha sempre fatto la dipendente.

Il problema, a parer mio, del sentirsi continuamente ripetere discorsi simili è che viviamo, da parecchi anni, in una situazione di allarmante crisi, dove chiunque di noi si ritrova a mandare milioni di curriculum tutti i santi giorni e tutti i santi giorni si ritrova… senza una risposta.

E, a lungo andare, si rischia di farsi risucchiare da tutto questo.
E tutto questo rischia di trasformarsi in un vortice di apatia e di pigrizia, del tipo: visto e considerato che devi ritenerti fortunata anche solo di avere un lavoro, allora forse non è il caso di rischiare nel cercarne un altro, giusto?
Ed ecco che, a quel punto, il vortice di pigrizia e apatia si trasforma in un tunnel di paura.

Come se non avessi una via d’uscita.

ambiente di lavoro

All’improvviso, ti senti svalutato e ti svaluti continuamente.
Inizi a pensare di non valere nulla. Inizi a pensare che devi restare lì dove sei, senza osare crescere mai, senza mai osare fare ciò che più vorresti fare.

A quel punto guardi con un misto di invidia/incoscienza chi si ritrova nella tua situazione eppure decidere ugualmente di licenziarsi. Chi decide ugualmente di rischiare e, di punto in bianco, andare via, cercare altro, un po’ perché non si ritrova nell’ambiente di lavoro, un po’ per altri motivi.

Da una parte li invidi. Dall’altra… li reputi degli incoscienti.
Come sempre, i due estremi che fanno parte di noi: così difficili da bilanciare.
Così difficile rischiare, scegliere.

Sono finita anche io in quel vortice.
Come tanti mi sono trovata in un impiego temporaneo, non in linea con i miei studi, che poi, per vicissitudini personali, si è rivelato non essere poi tanto temporaneo.

Come tanti ho avuto paura di mollare la presa per paura di cadere nel vuoto.
E nel mio disperato tentativo di rimanere aggrappata a
qualcosa,
ho continuato a nutrire false speranze sul fatto che le cose, magicamente, sarebbero cambiate.

E così sono finita con lo scivolare e cadere giù.
In quel vuoto in cui avevo così tanta pau
ra di cadere.

Me ne sono accorta anni fa, quando mi sono ritrovata senza più alcuna aspirazione.
Mi sentivo vuota dentro, un semplice ammasso di carne che non conteneva più la persona che ero.
Ero come diventata invisibile, inesistente.

Apatica.
Perennemente svalutata. Perennemente in conflitto con me stessa.
Sempre alla ricerca di un appoggio lavorativo esterno o un riconoscimento, che non arrivava.

Quella sensazione di non essere mai abbastanza per nessuno, di non esistere per nessuno, non mi abbandonava mai.
Mi svalutavo continuamente.

ambiente di lavoro

L’ambiente di lavoro e la resilienza: ricerca la soluzione all’interno di te stessa

Andò avanti così per un paio di anni… fino a quando, capii quale fosse il problema.
Quella sensazione di non essere mai abbastanza per nessuno era legata soprattutto al lavoro che facevo e all’ambiente di lavoro in cui mi ritrovavo.
Ma non era quello il problema di fondo.

Il problema non era la considerazione degli altri. Non era nemmeno l’ambiente di lavoro, come ho avuto modo di capire più in là.
Questo mio disagio nasceva da un altro fatto.

Io che non mi sentivo abbastanza per me stessa.

Ma qual era effettivamente il motivo? Era l’ambiente di lavoro o ero io?
Ero io che facevo fatica a integrarmi? Ero io che non riuscivo a farmi scivolare addosso le critiche, la cattiveria, l’invidia?
Ero io che non sapevo rispondere ai comandi, che faticavo a rispettare i ruoli: ero io che, realmente, avevo qualcosa di sbagliato?

Perché non riesco a trovarmi bene nel mio ambiente di lavoro?
Perché non vado mai bene?
Perché, qualunque cosa faccia, per quanto io mi impegni, la situazione non migliora?

Credo che capiti a tutti di rivolgersi queste domande.
A me capitava tutti i giorni.

Fino a quando ho capito che io non dovevo andare bene a chi avevo intorno.
Io dovevo andare bene a me.
Non dovevo, per forza, andar bene ad un ambiente di lavoro negativo.
Non dovevo cercare di adattarmi a forza a rimanere in una situazione dove non sarei mai stata apprezzata.

Sarebbe stato come forzare il mio corpo dentro una taglia 42.
Non sono una taglia 42 dalla seconda superiore.
Come potevo pensare di entrarci?

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Stare male per un ambiente di lavoro difficile: iniziare un percorso di analisi

Avevo capito che se me ne fossi andata da quel posto prima di imparare la lezione che dovevo apprendere, sarei finita in un altro ambiente di lavoro dove le situazioni negative che già avevo vissuto si sarebbero ripresentate con più prepotenza.

Dovevo capire perché tutto questo mi facesse stare male.

E lo capii cercando un appoggio esterno. Iniziai un percorso di analisi, di introspezione.

Il fatto è che dietro ogni situazione di disagio c’è sempre una grande lezione che puoi imparare per te stessa. E questa ne era la prova.
La prova del fatto che ogni situazione negativa ti spinge, ti sprona, inevitabilmente, verso una risoluzione positiva.

Capii che non dovevo costringermi a ricercare un apprezzamento esterno, perché l’unico apprezzamento del quale avevo bisogno era il mio.

Non dovevo guardare con astio a chi, secondo me, non si comportava nel modo corretto.
Era un loro problema, non mio.

Non dovevo continuare a sforzarmi di trovare un modo di comunicare con le altre persone che mi circondavano, quando non ce n’era mai stato uno.
Non dovevo forzare le cose affinché andassero bene. Non era quello il loro destino o il mio.

ambiente di lavoro

Dopo anni passati a scontrarmi con altri, capivo che il problema era mio e non loro.
Dopo anni in cui l’unica cosa che desideravo fare era andarmene da un ambiente di lavoro in cui stavo male, finalmente capivo il perché questo non era mai successo: non puoi liberarti di una situazione che ti fa soffrire scappando o andandotene sbattendo la porta.

Non ti libererai di una situazione negativa in questa maniera, anzi.
Quello è il modo migliore per trascinartela dietro.
Che cosa dovevo fare allora? Oltre a continuare a guardarmi attorno per cercare altro?

Andarsene da un ambiente di lavoro negativo: inizia a prendere le distanze mentalmente

Dovevo concentrarmi su me stessa.
Dovevo, semplicemente, lasciar fluire le situazioni.
Lasciare che le cose facessero il loro corso.

Che liberazione è stata capire tutto questo.
Da quel momento in avanti, è stato tutto più semplice. O, perlomeno, molto più semplice di prima.

Da quel momento in avanti è stato più naturale esercitare la mia indifferenza ad un ambiente di lavoro al quale non appartenevo più e non avrei più potuto appartenere.

Forse è questo che succede, quando inizi a pensare a migliorare te stessa: smetti istantaneamente di occuparti dei disagi degli altri.
A quel punto, nemmeno ti sfiorano più.
A quel punto sei tu che non permetti più loro di sfiorarti.

Smettendo di cercare il difetto o la colpa negli altri, iniziai a vedere con occhi diversi tutte quelle polemiche alle quali ero costantemente abituata in quell’ambiente di lavoro. Adesso le vedevo per quello che erano realmente: polemiche inutili.
Inutili, nel senso che non erano di alcuna utilità per nessuno.

ambiente di lavoro

Smisi di ascoltare le critiche. Smisi di rispondere.
E iniziai, invece, a pormi molte domande.

Perché ho sempre fatto fatica ad adattarmi a quell’ambiente di lavoro, nonostante l’impegno, il tempo, la fatica?
Forse è quello che succede quando rimani troppo a lungo in un luogo che non è il tuo.

Perché facevo fatica a rispettare i ruoli?
Forse è quello che succede quando, semplicemente, tu non ne hai uno.

Io non avevo un ruolo.
Non avevo una missione.
A quel punto, tutto è andato al posto giusto.

Nella vita bisogna avere un ruolo.
In un lavoro devi avere un ruolo e, cosa più importante, in quel ruolo ti ci devi riconoscere.

Devi esserne parte, sentirlo come tuo.

Un ruolo in cui le tue caratteristiche o doti vengono apprezzate, educate, usate.

Se non hai un ruolo non ti possono gestire.
Se non ti riconosci in un ruolo, diventa difficile anche per te gestire te stessa in quella funzione.

Imparare da un ambiente di lavoro tossico: la continua ricerca di un mentore

Una volta capito questo è stato più semplice guardarmi dentro e comprendere quello di cui io avevo bisogno.

Non stavo cercando un lavoro che mi desse la possibilità di diventare il capo del mondo o zio Paperone pronto a tuffarsi in una miniera d’oro.

Io cercavo un mentore.

Semplicemente.

ambiente di lavoro

A darmene conferma, fu un colloquio che feci non molto tempo fa con un selezionatore che mi stava aiutando a modificare il curriculum. Quel giorno, lui mi chiese:
“Tu che cosa ti aspetti da un’azienda? Cosa vorresti in un ambiente di lavoro?
“In che senso?” gli risposi.

“Che cosa ricerchi in un’azienda? Uno stipendio più alto di quello che hai adesso, un contratto più duraturo oppure..?”
“No.” gli ho risposto io.
“Io cerco un mentore. Una guida da seguire. Qualcuno che mi insegni, che mi permetta di crescere.”

Una guida, un mentore.
Una persona da seguire.

Credo che, in fondo, ognuno di noi cerchi questo.

Seguiamo una scia per poter, un giorno, saper disegnare la nostra rotta.
Questo succede quando ci ritroviamo in un mare troppo grande per noi.

Cerchiamo una guida.
Non perché abbiamo paura di affogare,
ma perché sentiamo il desiderio di imparare a nuotare.

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay, Pexels & Canva


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