
In questo mondo in continuo mutamento, è inevitabile per ognuno di noi fare degli incontri.
Siamo più di 7 miliardi di persone in un mondo che ci appare gigantesco e, allo stesso tempo, molto… familiare. Così conosciamo degli sconosciuti, ed è del tutto naturale per noi incontrarli, magari amarli oppure odiarli. La maggior parte di loro ci passa accanto senza nemmeno sfiorarci: come se la loro vita non ci riguardasse e non sentissimo di avere nulla in comune con loro. È in questo atteggiamento di puro e profondo egoismo che cresciamo tutti i giorni e tutti i giorni viviamo sulla nostra pelle un sentimento che cresce senza che nemmeno ce ne accorgiamo: l’indifferenza.
La pura indifferenza verso chiunque altro non sia noi o non faccia parte del nostro piccolo mondo. Un oceano di persone, con diversi interessi, lavori, amori, hobby, accomunati tutti da un’unica condizione: quella di essere esseri umani.
Eppure quante volte ci dimentichiamo di questo? Quante volte ci comportiamo come se esistessimo solo noi e non altri 7 miliardi come noi?
E in questo clima dilagante di rigida indifferenza non è un caso che costruire dei rapporti sia diventato sempre più difficile. Non è un caso che la parola “Io” venga sempre prima del “Noi” e che, pur avendo costruito un rapporto solido, non lo si possa mai veramente dare per scontato. Diventa sempre più difficile accettare di essere solo delle persone, convivere con i propri sbagli e le proprie debolezze.
Diventa sempre più difficile immergersi in se stessi, imparare a conoscersi, a volersi bene sul serio: perché oggi ognuno di noi evita questo confronto?
Forse, abbiamo semplicemente paura che, se ci immergessimo nel nostro oceano di difetti, errori, frasi dette al momento sbagliato e altre mai pronunciate, finiremmo con l’affogare.
Ma buttarsi di getto nell’oceano può insegnarti a nuotare. A conoscere te stessa e, di conseguenza, anche gli altri.
Forse non avremmo veramente bisogno di fare del male, o di subirlo, se fossimo a posto con noi stessi. Che fare del male ad un’altra persona è tutto ciò che di umano non è.
In questi ultimi anni ho iniziato a guardare meglio ciò che avevo davanti agli occhi e ciò che avevo perso. Ho rivalutato persone, situazioni finite male e altre ancora finite bene. Ho iniziato a cercare ciò che volevo e non quello che non potevo avere. Che ognuno di noi, in fondo, non cerca ciò che vuole il suo cuore ma ciò di cui ha bisogno la sua anima per poter guarire e credere ancora in qualcosa di straordinario.
E mentre le persone continuavano a criticare me, o chiunque altro, e a vivere secondo il proprio egoismo e ad osservare la tua vita altrui come se fosse un piccolo esperimento andato male, io osservavo loro. Mentre molti di loro continuavano a vivere la loro vita come se fossero unici, io mi ritrovavo, pian piano, anno dopo anno, ad abbandonare questo pensiero e iniziavo ad immergermi tra la gente, ad osservare il comportamento dei passanti, in metropolitana, per strada, in città come in paese. I gesti d’amore di una madre verso il figlio che ancora deve crescere, l’uomo d’affari che cammina in centro a Milano e sbraita ordini al telefono, urlando affinché tutti nelle vicinanze possano sentire quanto è potente, un uomo che bacia sua moglie sul tram: il barbone coricato sull’asfalto freddo che si sente morto per il mondo.
Ma nonostante la mia diffidenza verso il genere umano cresca a dismisura, io non posso fare a meno di rifugiarmi in una nicchia, quel nascondiglio segreto dal quale osservo il mondo cambiare, come se nemmeno ne facessi parte. Lo osservo in quel piccolo spazio di umanità, perché è in quel piccolo spazio che sono veramente libera.
La nostra umanità è la cosa più preziosa che abbiamo, eppure la svendiamo così facilmente tutti i giorni per fare spazio all’odio, al rancore verso cose passate e all’ansia di un futuro lontano che non possiamo vedere.
Calpestiamo noi stessi e, di conseguenza, anche gli altri e per cosa?
Per sembrare più forti, senza accorgerci che siamo ancora più deboli.
Per avere l’ultima parola, quella maledetta ultima parola, come se fossimo attori all’ultimo atto di una commedia con un unico obbiettivo: ottenere un applauso finale.
Tutto per soddisfare un ego che serva a nascondere chi siamo veramente.
Tutto per una maschera che indossiamo, l’ennesima.
Tutto pur di non ammettere di avere un problema, o forse milioni.
Tutto questo, una messinscena architettata dal migliore dei registi, pur di non ammettere quanto faccia paura affidarci a qualcuno.
È la cosa che più ci spaventa al mondo ma è anche la più straordinaria.
Poter toccare un altro essere umano, poterlo abbracciare fino a diventare uno soltanto, essere in grado di assorbire il suo dolore e farlo tuo. Condividere momenti che fermino il tempo e ci rendano consapevoli di che cosa voglia dire vivere davvero.
Non bisognerebbe mai dimenticarsi delle persone: solo le persone, alla fine, quelle che ti salvano davvero.
Ognuno di noi è un mondo incredibile da scoprire e la cosa più straordinaria è riuscire a farne parte.
Martina Vaggi