Autori emergenti

Alessandro Bolzani: 10 domande all’autore de ‘I guardiani dei parchi’

Ben ritrovati ai miei lettori con questa rubrica “10 domande all’autore emergente” firmata Pensieri surreali di gente comune
Quest’oggi abbiamo come ospite un autore emergente, Alessandro Bolzani.

Giornalista e autore del romanzo, Alessandro Bolzani ci farà compagnia oggi parlandoci del suo percorso come autore e del suo libro “I guardiani dei parchi”.

Dunque, Alessandro, innanzitutto ti saluto e ti do il benvenuto sul mio blog!
 Iniziamo con le 10 domande.

Alessandro Bolzani

Quando hai sentito in te questa preponderante passione per la scrittura e quando hai iniziato a svilupparla?

Alessandro Bolzani: Ciao Martina e grazie mille per questa intervista!

Scrivere mi è sempre piaciuto e ricordo che già alle elementari mi divertivo tantissimo a fare i temi. In un paio di occasioni è pure capitato che la maestra ne leggesse uno davanti a tutta la classe.

Nel periodo delle medie mi sono appassionato molto al genere fantasy, grazie soprattutto a due saghe: “Harry Potter” e “Le Cronache del Mondo Emerso“.

È stata proprio quest’ultima a far nascere in me il desiderio di dare vita a una storia tutta mia, in grado di trasmettere ai lettori le stesse belle sensazioni che quei libri mi avevano fatto provare.

Il mio sogno si è concretizzato nel 2019, quando ho pubblicato il romanzo urban fantasy “I Guardiani dei parchi” assieme alla casa editrice Genesis Publishing.
Da allora ho un nuovo obiettivo: continuare a scrivere altri libri e impegnarmi per migliorare sempre di più.

Alessandro Bolzani

Parlando proprio del tuo primo libro “I guardiani dei parchi”: ci racconti qualcosa in più?

Alessandro Bolzani: Certamente! “I Guardiani dei Parchi” è la storia di Giacomo, un sedicenne che sta attraversando una fase alquanto burrascosa della sua vita.

I genitori hanno divorziato da poco e a causa della loro separazione è stato costretto a lasciare Milano, dove vivono i suoi pochi amici, per trasferirsi a Quercia Alta, una cittadina (immaginaria) del nord Italia.

Quello che potrebbe sembrare un passo indietro sotto ogni punto di vista nasconde però dei vantaggi inaspettati. Visitando il parco di Quercia Alta, Giacomo scopre di essere in possesso di un’abilità fuori dal comune.

Lui è in grado di vedere delle creature
provenienti da mondi diversi dalla Terra. 

Alessandro Bolzani

Questi esseri fantastici sono normalmente invisibili all’interno dei parchi, a causa della magia presente in questi luoghi, ma possono essere viste da chiunque nel momento in cui abbandonano l’area. Per evitare che ciò accada è stato istituito l’Ordine dei Guardiani dei Parchi, un’organizzazione segreta che gestisce i rapporti con gli altri mondi ed elimina ogni possibile minaccia.

La capacità di Giacomo di vedere le creature provenienti dagli altri mondi all’interno dei parchi lo rende un candidato ideale per unirsi all’Ordine. Per il giovane si tratta di una prospettiva allettante, anche se non priva di insidie.

Dopotutto chi entra a far parte dell’associazione segreta non può tirarsi indietro in un secondo momento ed è chiamato ad affrontare vari pericoli, tra cui le creature oscure, delle entità irrazionali il cui unico scopo è soddisfare il proprio appetito.

Inoltre, negli altri mondi si stanno verificando evasioni, rapimenti e omicidi. Tutto induce a pensare che esista un legame tra questi macabri avvenimenti e che qualcuno potrebbe essere intento a tramare nell’ombra per vendicarsi di un antichissimo torto.

Ma questo Giacomo non lo sa…

Alessandro Bolzani

Creature oscure, magia, esseri fantastici.. c’è questo e anche di più, racchiuso nel tuo libro!

(Lo potete trovare su Amazon direttamente da qui):

Che cosa ti ha ispirato nella stesura della trama?

Alessandro Bolzani: L’ispirazione è arrivata perlopiù dal mondo reale.

A pochi chilometri da casa mia c’è un parco molto simile a quello descritto nel romanzo ed esplorandolo mi è capitato spesso di fantasticare su possibili storie ambientate in un luogo simile.

L’idea dei portali mi è venuta osservando un cromlech, un insieme di pietre disposte a circolo. Il suo aspetto suggestivo mi ha spinto a immaginarlo con un punto di collegamento tra la terra e varie altre realtà. 

Da lì a buttare già una prima bozza della trama, il passo è stato molto breve. 

Foto di: Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo

Per quanto riguarda il protagonista, Giacomo: ti sei ispirato a qualcuno nel creare questo personaggio?

Alessandro Bolzani: Giacomo è un misto tra il me stesso adolescente e vari eroi dei romanzi di formazione, come “Harry Potter” o, con le dovute proporzioni, “David Copperfield” (anche se credo che Giacomo sia un po’ meno sfortunato di lui!).

Devo dirti che mi piace molto la copertina del libro: soprattutto questo colore verde, è molto d’effetto!

Sei stato tu a scegliere la grafica della copertina?

Alessandro Bolzani: La copertina è stata realizzata dalla bravissima Ester Kokunja, una grafica che ha curato varie cover dei romanzi editi da Genesis Publishing.

Le ho lasciato massima libertà, sia sullo stile da usare che sulla scena da rappresentare, ma incredibilmente è riuscita a dare vita a un’illustrazione molto simile a quella che avevo sempre immaginato.

Sono molto contento che al posto di puntare su una copertina realistica (non ne sono un grande amante, devo essere sincero), abbia optato per un risultato più “astratto”. 

Alessandro Bolzani

Parlando invece di case editrici: molti autori lamentano la difficoltà nel trovare una casa editrice che pubblichi il loro libro.

Hai riscontrato anche tu delle difficoltà nel trovare una casa editrice?

Alessandro Bolzani: In realtà no, ma credo di essere stato fortunato.

Pochi mesi dopo aver concluso il romanzo ho selezionato una decina di case editrici a cui inviarlo, sperando che almeno una si dimostrasse interessata.

Dopo poche settimane è arrivata la proposta della Genesis Publishing, che ho accettato senza esitazioni. In seguito, quando avevo già firmato il contratto, altre due case editrici hanno espresso il loro interesse nei confronti del romanzo.

Devo ammettere che è stata una bella iniezione di autostima (ride, ndr).

Cosa ne pensi del self publishing? Come mai non hai optato per questa scelta?

Alessandro Bolzani: Il self publishing è un ottimo modo per mettere in vendita le proprie opere senza dover affrontare l’iter classico (spesso un po’ lento e difficoltoso). Tuttavia richiede una grande quantità di tempo ed energie da investire nell’autopromozione, dunque non deve essere preso sottogamba. 

Personalmente ho scelto il percorso “tradizionale” perché sentivo il bisogno di un “filtro” tra me e lo scaffale della libreria, di qualcuno che mi dicesse:

“Sì, sono pronto a scommettere sul suo libro”.

Alessandro Bolzani

Non sono troppo bravo a giudicare la qualità dei miei racconti, quindi sapere che c’è qualcuno che crede nel loro potenziale mi aiuta a capire di aver fatto un buon lavoro.

È per questo che sono fermamente contrario alle case editrici a pagamento, che spesso accettano di tutto (purché l’autore paghi).

Il self publishing comunque mi incuriosisce molto e prima o poi mi piacerebbe provare a sondarne le potenzialità.

Parlando di lettura, invece.
Ti potresti definire un lettore molto forte?

Hai degli autori di riferimento?

Alessandro Bolzani: Cerco di leggere due o tre libri al mese, anche se non sempre ci riesco (dipende molto dagli impegni e anche dalla lunghezza dei volumi in questione).

Ho tanti altri hobby, come i videogiochi e l’animazione giapponese, ma cerco sempre di ritagliare uno spazio ai libri.

Ritengo la lettura un “allenamento” fondamentale per uno scrittore.

Ci sono molti autori che apprezzo, ma quelli che, per un motivo o per l’altro, mi hanno colpito di più sono: Stephen King, Haruki Murakami, H. P. Lovecraft e J.K. Rowling.

Alessandro Bolzani

Tu sei laureato in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità e lavori come giornalista presso AlaNews.

In che modo il tuo percorso di studi e il tuo lavoro ha ispirato la tua voglia di scrivere un libro?

Che cosa hai imparato nella “teoria” da mettere in atto nella “pratica”?

Alessandro Bolzani: Alcuni corsi che ho seguito all’università mi hanno aiutato ad ampliare i miei orizzonti e a ottenere una visione più vasta del mondo.

Per esempio ho approfondito alcuni aspetti del mondo dell’editoria che conoscevo solo marginalmente, come gli audiolibri e la “stampa su richiesta” (print on demand): ho capito un po’ meglio i torbidi meccanismi della politica e mi sono avvicinato all’affascinante mondo della scrittura SEO oriented. 
Alessandro Bolzani

Sia l’università che il lavoro come giornalista hanno in parte influito sulla mia passione per la scrittura, ma in realtà li vedo più come binari separati che si incrociano solo di tanto in tanto.

Vorresti pubblicare altri libri in futuro?

Credi che sia questa la tua strada?

Alessandro Bolzani: Sì, ho molte storie in mente e voglio provare a raccontarne la maggior parte. In questo periodo sto lavorando a un nuovo progetto, ma è ancora presto per scendere nei dettagli.

Spero, però, di poterne parlare apertamente già tra qualche mese.

Bene, Alessandro, questa era la mia ultima domanda. Grazie per essere stato qui con me, oggi, sul mio blog.
Io ti faccio un grande in bocca al lupo per il futuro e… complimenti ancora per il tuo libro!

Alessandro Bolzani: Grazie mille!

… Ma, prima di andare, non dimenticarti di lasciare qui sotto i tuoi recapiti social.

Recapiti social di Alessandro Bolzani:

  • Link di acquisto del libro: Potete trovarlo su Amazon (anche in edizione cartacea)  e su altri store (trovate l’elenco completo qui).

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay e Pexels.
Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo.

Autori emergenti

Paolo Arigotti: 10 domande all’autore del libro “Il collegio dei segreti”

Ben ritrovati con la rubrica “10 domande all’autore” firmata Pensieri surreali di gente comune!
Quest’oggi abbiamo ospite Paolo Arigotti, autore emergente di tre libri: “Un triangolo rosa”, “Sorelle molto speciali” e “Il Collegio dei segreti”.

Ci racconterà la sua esperienza come scrittore.
Ben trovato Paolo Arigotti, sono felice di averti qui sul mio blog.
Ecco la prima domanda:

Quando è nata in te la passione per la scrittura?

In un certo senso credo che sia nata con me: basta pensa che, qualche settimana, fa riordinando vecchie carte ho ritrovato alcuni racconti o incipit di romanzi scritti durante il periodo della scuola superiore. 

Il tuo primo libro, “Un triangolo rosa” risale al 2015 ed è appena stato ripubblicato con CTL Editore. 

Che cosa ti ha spronato a pensare: “Devo farlo, devo scrivere un libro”?

Il romanzo è stato scritto tra il 2013 e 2014 e fu il frutto di un viaggio in Polonia, durante il quale visitai il memoriale di Auschwitz. Furono i racconti delle guide ad ispirarmi la vicenda dei tre protagonisti, che ho trasformato nel mio primo libro.

Paolo Arigotti

Parlando proprio del tuo primo libro, “Un triangolo rosa”: vuoi descriverci la trama?

Di che cosa tratta?

Si tratta di una storia d’amore gay che coinvolge tre uomini, due italiani e un tedesco, sullo sfondo dei drammatici eventi degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. La trama si snoda attraverso quei fatti, con una serie di colpi di scena che condurranno i protagonisti nell’inferno di Auschwitz.

(Libro su Amazon):

In questo libro tu affronti un tema molto forte: quello di un amore omosessuale durante il periodo nazista, momento storico in cui, come sappiamo tutti, purtroppo gli omosessuali erano brutalmente perseguitati. 
Come ti è venuta l’ispirazione di affrontare proprio questo argomento e perché?

Il titolo si riferisce all’amore tra i tre uomini?

Anche se il termine “rosa” mi mette un dubbio…

Il titolo si collega con le vicende dei tre protagonisti, però ha pure un altro significato, visto che il triangolo rosa cucito sulle divise individuava i gay internati nei lager ed avviati allo sterminio.

La mia grande passione per la storia del Novecento mi ha assieme aiutato ed ispirato nelle ricerche, che hanno dato vita a questo romanzo.

Parlerei ora di “Sorelle molto speciali”, il tuo secondo romanzo, pubblicato nel 2018 con Link Edizioni. Libro del quale mi piace moltissimo la copertina, ti devo dire la verità.

Qual è la trama di “Sorelle molto speciali“?

Si tratta anche in questo caso di una storia d’amore, di un altro tipo però, precisamente quello di una madre per le sue figlie gemelle, una delle quali nata con la sindrome di Down. Parliamo sempre degli anni Trenta del secolo scorso, una condizione oltremodo difficile per l’epoca e sullo sfondo di un’altra tragedia: il folle progetto nazista dell’eliminazione dei disabili mentali, a cominciare proprio dai bambini.

In questo libro affronti anche il tema della disabilità, in quanto una delle protagoniste è affetta dalla sindrome di Down.

Paolo Arigotti

Quali valori volevi trasmettere ai tuoi lettori affrontando questa tematica?

Il coraggio di sfidare i pregiudizi e di non arrendersi,
specie quando la vita ti mette di fronte sfide apparentemente impossibili.

Siamo arrivati al tuo ultimo libro: “Il collegio dei segreti”, pubblicato nel 2020 con Onda d’Urto Edizioni. 
Quest’ultimo libro, più che narrare una storia, ripercorre un fatto storico realmente accaduto, è corretto?

“Il collegio dei segreti” si basa su fatti realmente accaduti?

I protagonisti sono personaggi di fantasia, ma i fatti storici – la resistenza tedesca giovanile contro il nazismo – sono reali ed ho voluto provare a riportare alla luce la storia dimenticata di tanti eroi condannati all’oblio per tante ragioni, storiche e politiche.

Paolo Arigotti

Fai un frequente ricorso alla storia nei tuoi libri, specialmente al periodo del Nazismo: che cosa ti ha spinto ad occuparti proprio di quel periodo storico cosi drammatico e nefasto?

Che valori volevi trasmettere occupandoti del periodo nazista?

Io sono un appassionato di storia del Novecento da sempre, il che mi ha spinto a conseguire una seconda laurea in questa materia lo scorso anno.

Il valore più importante è quello della memoria, intesa non come semplice ricordo, ma soprattutto per comprendere come certi fatti sono potuti accadere e scongiurare il pericolo che possano ripetersi.

Su Amazon trovate anche “Il collegio dei segreti“, qui:

I tuoi libri sono stati tutt’e tre pubblicati con un editore: cosa ne pensi di chi oggi preferisce rivolgersi al self-publishing?

Tu hai mai considerato questa opzione?

Io sono più incline alla pubblicazione tramite l’editoria tradizionale, purché non si tratti di editoria a pagamento, scelta che con tutto il rispetto non condivido. Il self publishing in Italia non è decollato come in altre realtà (penso a quella americana ad esempio), ma non ho nulla da eccepire nei confronti di chi fa questa scelta.

Tu gestisci anche una pagina YouTube intitolata “Il salotto culturale di Paolo Arigotti Scrittore”, dove intervisti autori ed editori.

Vuoi raccontarci qualcosa di questa bella iniziativa? 

Si tratta di una piccola rubrica che gestisco da oltre un anno sul mio canale YouTube, dove intervisto autori ed autrici di tutta Italia (e non solo), dedicandoci non soltanto alle opere letterarie, ma a tanti argomenti storici, culturali e di attualità.

L’ho creata per via delle restrizioni imposte dai vari lockdown, stante l’impossibilità di realizzare eventi dal vivo; non credo che il web debba sostituire questi ultimi, ma certamente può affiancarsi come importante strumento di promozione della cultura.

E noi non possiamo che essere d’accordo con te…
Bene, Paolo Arigotti, questa era la mia ultima domanda… Sono molto contenta di averti avuto ospite oggi sul mio blog.
Io ti saluto e ti faccio un grosso in bocca al lupo per i tuoi libri… e per quelli che verranno! 

Tante grazie Martina, piacere mio.

Ma, prima di andare…

Recapiti social Paolo Arigotti:

Paolo Arigotti, Paolo Arigotti, Paolo Arigotti

Martina Vaggi

Photo credit: le foto presenti in articolo sono tutte di Paolo Arigotti, che me le ha concesse solo ai fini della pubblicazione dell’articolo.

Il diario del silenzio

Scrivere e pubblicare un libro di testimonianze: l’ascolto attivo e l’importanza di fare delle liste

Che cosa provi mentre stai correndo una maratona? Mentre vedi il traguardo ancora troppo lontano da raggiungere e le gambe iniziano a farti male?
Non puoi dirlo in quel momento.
In quel momento la tua mente deve essere sgombra di pensieri, per permetterti di correre liberamente, senza condizioni. Quello che provi, o che hai provato in quegli istanti di fatica e sudore, lo capirai e sarai in grado di raccontarlo solo più avanti. A mente lucida.
È la stessa cosa che succede quando stai scrivendo un libro.

Apri Word e vedi quella pagina bianca davanti a te.
E senti in te quel bisogno, quella necessità di riempirla.
Sai che devi farlo.

Nel luglio 2020 è nata in me questa consapevolezza.
Era da più di un mese terminato il primo lockdown che tutti avevamo vissuto con gli stessi sentimenti: sgomento, dolore, rabbia, incredulità.
Perché non mettere quei sentimenti su carta? Perché non lasciare un segno di ciò che avevamo vissuto e provato, affinché altri, nel futuro, potessero leggerli e immedesimarsi in noi?

Ho iniziato il tutto in maniera innocente.
Prima ho pensato a cosa volevo esattamente esprimere: volevo ascoltare varie persone e le loro storie riferite a quel folle lasso di tempo che aveva lasciato cicatrici indelebili su ognuno di noi.
Cominciai facendo una lista.
Tutto partì con un foglio di carta dove io appuntai tre riferimenti:

Volevo raccontare storie.
Dovevo contattare persone disponibili a raccontarmele.
Il tutto, nel più breve tempo possibile.

Il lockdown era terminato da poco e io non avevo la minima idea che potesse ripresentarsi un’emergenza sanitaria di lì a pochi mesi.
Credevo di dover fare tutto alla svelta, altrimenti l’argomento non sarebbe più stato molto attuale, dopo.

Così, partì la mia ricerca.
La ricerca di date, avvenimenti, di persone e aziende che potessero darmi una mano nel realizzare il mio progetto.

Nonostante i miei dubbi, trovai molte persone disposte a raccontarmi di loro.
E quel foglio dove io mi ero appuntata quei primi tre riferimenti, ben presto divenne una vera e propria lista.
Una lista di persone da intervistare.


All’inizio tutto partì così.
Ma… ben presto, dopo le prime interviste, mi resi conto di una cosa.

Quelle persone non erano cavie.
Erano testimonianze di un periodo storico mai vissuto prima.
E io non dovevo intervistarle.
Dovevo ascoltarle.
Immedesimami in loro, in tutte quelle parole che sgorgavano senza un freno.

In tutti quei sentimenti che trapelavano da ogni movimento inconscio delle mani, del loro sguardo.

La prima persona che ascoltai fu un paziente della Toscana, che era stato ricoverato in terapia intensiva per due settimane.
Io non lo conoscevo, non l’avevo mai visto prima.
Era stato un mio amico a darmi il suo contatto.
Mi parlò al telefono per due ore e mezza.
Credo di non aver mai ascoltato per così tanto tempo e con così tanta attenzione una persona in tutta la mia vita.
Il flusso di parole era così impetuoso e continuo, che quasi mi dispiaceva interromperlo con le mie domande.

Ogni volta che ascoltavo una testimonianza cercavo di non interromperla perché non volevo rovinare quel flusso di emozioni.
Il problema era che avevo bisogno di un quadro cronologico chiaro e quindi di date, di periodi, per poter poi incanalare tutto questo in una sorta di “diario”, dove ogni racconto avrebbe avuto la sua data in cui poter circoscrivere la sua storia.

La cosa strana era che avevo sempre pensato di non essere all’altezza di fare nulla nella mia vita.
Ho sempre pensato che non avrei mai potuto scrivere un libro, nonostante avessi scritto praticamente da sempre: sui giornali, su testate digitali, sul mio blog.
Come posso io rendere appieno un’esperienza vissuta da un’altra persona?
Questo mi chiedevo, continuamente.
Eppure, man mano che andavo avanti in questo percorso, capii una cosa.

L’ascolto è la chiave.
Se vuoi davvero conoscere la storia di una persona, devi ascoltarla.
E non mi riferisco a quell’ascolto di cui facciamo uso tutti, tutti i giorni: concedere all’altra persona di parlare solo per poter dare noi una risposta.
Quello non è ascoltare.
È attendere il proprio turno, esattamente come facciamo ogni volta che siamo in coda per salire sul treno.

Il vero ascolto è quello attivo.
Quello che prescinde da ogni giudizio.
Questo è l’ascolto che ti permette di entrare nella vita delle persone e di cogliere sfumature in loro che neanche loro sanno di avere.
Questo è l’ascolto che esercitai per poter immedesimarmi nelle storie di quelle persone e scrivere il libro.

Questo mi portò un arricchimento personale impagabile.

Dopo neanche un mese dall’inizio del mio percorso, ero entrata in una sorta di limbo.
Stavo sperimentando quello che gli psicologi chiamano “Flow“, cioè “Flusso”.
Ovvero: uno stato di coscienza dove la persona è completamente coinvolta nell’attività che sta svolgendo.

Ricordo che la mia vita andava avanti come se niente fosse, ma io ne ero quasi estranea.
In quei momenti pensavo: “Ogni volta che cammino per la strada, ogni volta che vado a lavoro, ogni volta che mi addormento alla sera, sto pensando al libro: a chi ascoltare, a chi coinvolgere, a come fare per farlo crescere.

Il fatto è che la mia vita, in quel momento, era un vero casino.
Da anni non avevo grandi soddisfazioni personali a cui attingere.
In più, il mio fidanzato aveva ricevuto una promozione, si era trasferito al sud e noi ci eravamo lasciati.
Stavo soffrendo.
E per la prima volta riuscii a usare quella sofferenza per fare qualcosa di produttivo.

I percorsi si fanno con i “nonostante.
Non con i “se” e con i “ma”.
Con quelli non si va da nessuna parte.
Un percorso si fa nonostante tu stia male.
Nonostante tu sia delusa
.
Nonostante in te alberghi sofferenza.

Perché puoi comunque trovare la strada per vedere la gioia.
Che è ovunque il nostro occhio sia disposto a scovarla.

Nello scrivere un libro, una volta che la prima stesura è terminata, si chiude una porta e se ne aprono mille.
Come devo procedere ora?“, mi chiesi.
Una lista. Dovevo fare un’altra lista.

Il 22 ottobre 2020 fu la prima volta che vidi il mio libro online.
Come titolo scelsi “Il diario del silenzio“.
Il sottotitolo fu “Storie reali di quarantena“.
All’inizio, quando lo guardai per la prima volta, io vidi solo il mio nome.
Credo che capiti a tutti, soprattutto alla prima pubblicazione.

Solo dopo alcune settimane dalla pubblicazione iniziarono ad accadere delle cose.
Il libro si stava diffondendo, soprattutto a livello locale.
Trattando di storie reali e, perlopiù, di storie dov’era presente molta sofferenza, si presentarono alla mia porta alcune situazioni.

Una signora del paese fermò mia mamma al supermercato per farle i complimenti.
Le disse: “Ho letto il libro di sua figlia”, poi scoppiò a piangere. E mia mamma, con lei.
Il tutto davanti al banco dei salumi.
Alcune persone che avevo ascoltato iniziarono a portare il libro a lavoro, nei reparti dell’ospedale e a parlarne.
Un passante del mio paese, un giorno, mi fermò per strada e e mi disse: “Sai che quando l’ho letto ho pianto per una notte intera?”.
La mamma di una mia coscritta mi mandò a casa dei fiori: avevo deciso di inserire sua figlia, deceduta giovane in un incidente, in un racconto del libro. L’avevo descritta esattamente come era da viva: una bella ragazza solare, con una straordinaria voglia di vivere.
Ho pensato che anche se una persona non può più vivere su questa terra, può comunque vivere per sempre in un racconto.
D’altronde, la scrittura, serve a questo. A lasciare una traccia.
Il giorno in cui mi arrivarono a casa quei fiori, trovai anche un biglietto, scritto dalla mamma della mia coscritta.
Quel giorno ho pianto senza riuscire a fermarmi.

Succedevano cose molto belle, in continuazione.
Ma tutte queste cose non riguardavano me.

Non ero io il centro di quel turbine.
Erano le altre persone.
E in quel momento mi sono resa conto che non era il mio nome la cosa più importante di quel libro.
Erano tutte le altre persone al quale era legato.
Da quel momento in poi, smisi di focalizzarmi sul mio nome in copertina
.

Divenne una priorità per me fare in modo che le persone parlassero del libro.
Ma in che modo dovevo muovermi?


In qualche modo, fare quelle liste mi aiutava ad organizzare la giornata.
Riuscivo sempre a portare a termine ciò che mi ero scritta e ad ottenere anche dei buoni risultati.

Nel giro di due mesi avevo venduto circa cinquecento copie, tra eBook e print on demand.
Avevo ottenuto un buon numero di recensioni, tutte positive.
Dopo tre mesi, il mio libro era primo nella classifica IBS.it degli eBook più regalati dell’anno.
Forse per alcuni sembrerà poco. Per altri, sembrerà tanto.
Per me non era né tanto né poco: erano semplicemente obbiettivi che mi ero prefissata di raggiungere.
Mi limito a riportare quanto è successo e quanto ho ottenuto, sapendo di averci messo tutta me stessa.

Poco dopo che il libro venne pubblicato, mia mamma mi disse: “Sei fortunata che hai trovato persone che ti fanno pubblicità, che ti organizzano presentazioni, che ci tengono a parlare del libro.”
Ma io sapevo che la fortuna, in realtà, non c’entrava molto.

Quando lavori su un tuo progetto, quando sei tu a cercare i contatti, a creare legami,
a fare in modo che le persone credano in quello che stai facendo anche più
di quanto ci creda tu, non è fortuna.
Semplicemente avevi chiaro un obbiettivo: ci hai lavorato su e hai ottenuto dei risultati.
Fine.

Nel processo di scrittura e pubblicazione di un libro, tutti pensano che scriverlo sia la fase più difficile.
Le persone credono che sia quello il vero e duro lavoro e, in effetti, prima di pubblicarlo anche io la pensavo così.
Scrivere in effetti non è semplice.
Assemblare tutti i pensieri fino a dar loro la forma di un libro, lo è ancora meno.

La verità è che, quando il libro venne pubblicato, io ebbi in qualche modo la percezione che il duro lavoro iniziasse in quel momento.
E, effettivamente, questo fu ciò che avvenne.

Dopo la pubblicazione, se non hai una casa editrice alle spalle, devi organizzarti tu.
Quello è il momento in cui cerchi i contatti con persone disposte a parlare del tuo libro sui loro blog, sui giornali: ricerchi interviste, recensioni.
Crei tu stesso dei contatti che poi mantieni.
In che modo?
Con la gentilezza. Con la consapevolezza che niente ci è dovuto da nessuno.
E con l’uso di due semplici parole, delle quali a volte scordiamo l’esistenza: per favore e grazie.
Ma in tutto questo c’era anche qualcos’altro.
In qualche modo, l’aver pubblicato un libro fece maturare in me una consapevolezza.

Io non ero nessuno.
E il fatto di aver pubblicato un libro con il mio nome sopra non faceva di me qualcuno.

In Italia, ogni giorno, vengono pubblicati circa duecento libri.
Ogni giorno. Duecento libri.
Quindi… per come la vedo io, siamo tutti dei “nessuno”.
Tutti noi siamo dei nessuno per il mondo, o per le altre persone.

La soluzione non è cercare di essere qualcuno per gli altri.
Agli altri non frega nulla di noi.
La cosa giusta da fare è cercare di essere qualcuno per noi stessi.

Dunque… dov’ero rimasta?
Ah si, giusto: mantenere dei contatti.
Beh, il passo successivo, almeno per me, fu quello di cercare concorsi letterari e fiere online a cui iscrivere il libro.
Ho creato anche un booktrailer. Anche solo per mettermi alla prova.
E poi… ho cercato di guardare al futuro.
Avendo sempre in mente un obbiettivo.
Il che mi riporta a quest’ultima lista che ho fatto un mese fa:

… Su questi ultimi due punti ci sto ancora lavorando.

Martina Vaggi

Photo credit immagine in evidenza: http://booklovers105.blogspot.com/2020/12/recensione-il-diario-del-silenzio.html

Altre immagini: create su Canva.




Il diario del silenzio

“Il diario del silenzio”: scrivere e pubblicare un libro di testimonianze

Che cosa provi mentre stai correndo una maratona? Mentre vedi il traguardo ancora troppo lontano da raggiungere e le gambe iniziano a farti male?

Non puoi dirlo in quel momento.
In quel momento la tua mente deve essere sgombra di pensieri, per permetterti di correre liberamente, senza condizioni. Quello che provi, o che hai provato in quegli istanti di fatica e sudore, lo capirai e sarai in grado di raccontarlo solo più avanti. A mente lucida.

È la stessa cosa che succede quando stai scrivendo un libro.
La stessa cosa accadde a me quando scrissi “Il diario del silenzio – Storie reali di quarantena“.

Il diario del silenzio

Scrivere un libro: l’importanza di fare delle liste

Nel luglio 2020 è nata in me questa consapevolezza.
Era da più di un mese terminato il primo lockdown che tutti avevamo vissuto con gli stessi sentimenti: sgomento, dolore, rabbia, incredulità.

Perché non mettere quei sentimenti su carta?
Perché non lasciare un segno di ciò che avevamo vissuto e provato, affinché altri, nel futuro, potessero leggerli e immedesimarsi in noi?

Ho iniziato il tutto in maniera innocente.
Prima ho pensato a cosa volevo esattamente esprimere.
Che cosa avrei voluto rappresentare con “Il diario del silenzio“?

Volevo ascoltare varie persone e le loro storie riferite a quel folle lasso di tempo che aveva lasciato cicatrici indelebili su ognuno di noi.

Cominciai facendo una lista.
Tutto partì con un foglio di carta dove io appuntai tre riferimenti:

Il diario del silenzio

Volevo raccontare storie.
Dovevo contattare persone disponibili a raccontarmele.
Il tutto, nel più breve tempo possibile.

Il lockdown era terminato da poco e io non avevo la minima idea che potesse ripresentarsi un’emergenza sanitaria di lì a pochi mesi.
Credevo di dover fare tutto alla svelta, altrimenti l’argomento non sarebbe più stato molto attuale, dopo.

Così, partì la mia ricerca.
La ricerca di date, avvenimenti, di persone e aziende che potessero darmi una mano nel realizzare “Il diario del silenzio“.

Nonostante i miei dubbi, trovai molte persone disposte a raccontarmi di loro.
E quel foglio dove io mi ero appuntata quei primi tre riferimenti, ben presto divenne una vera e propria lista.

Una lista di persone da intervistare.

Il diario del silenzio


All’inizio tutto partì così.
Ma… ben presto, dopo le prime interviste, mi resi conto di una cosa.

“Il diario del silenzio”: l’ascolto attivo delle testimonianze

Quelle persone non erano cavie.
Erano testimonianze di un periodo storico mai vissuto prima.
E io non dovevo intervistarle.
Dovevo ascoltarle.
Immedesimami in loro, in tutte quelle parole
che sgorgavano senza un freno.
In tutti quei sentimenti che trapelavano da ogni
movimento inconscio delle mani, del loro sguardo.

La prima persona che ascoltai fu un paziente della Toscana, che era stato ricoverato in terapia intensiva per due settimane.
Io non lo conoscevo, non l’avevo mai visto prima.
Era stato un mio amico a darmi il suo contatto.
Mi parlò al telefono per due ore e mezza.

Credo di non aver mai ascoltato per così tanto tempo e con così tanta attenzione una persona in tutta la mia vita.

Il flusso di parole era così impetuoso e continuo, che quasi mi dispiaceva interromperlo con le mie domande.

Il diario del silenzio

Ogni volta che ascoltavo una testimonianza
cercavo di non interromperla perché non
volevo rovinare quel flusso di emozioni.
Il problema era che avevo bisogno di un
quadro cronologico chiaro e quindi di date,
di periodi, per poter poi incanalare tutto questo
in una sorta di “diario”, dove ogni racconto
avrebbe avuto la sua data in cui poter circoscrivere la sua storia.

La cosa strana era che avevo sempre pensato di non essere all’altezza di fare nulla nella mia vita.

E invece… ho scritto “Il diario del silenzio“. Chi l’avrebbe mai pensato?
Non io.

Non io, che ho sempre pensato che non avrei mai potuto scrivere un libro, nonostante avessi scritto praticamente da sempre: sui giornali, su testate digitali, sul mio blog.
Come posso io rendere appieno un’esperienza vissuta da un’altra persona?
Questo mi chiedevo, continuamente.
Eppure, man mano che andavo avanti in questo percorso, capii una cosa.

Il diario del silenzio

L’ascolto è la chiave.

Se vuoi davvero conoscere la storia di una persona, devi ascoltarla.

E non mi riferisco a quell’ascolto di cui facciamo uso tutti, tutti i giorni: concedere all’altra persona di parlare solo per poter dare noi una risposta.
Quello non è ascoltare.
È attendere il proprio turno, esattamente come facciamo ogni volta che siamo in coda per salire sul treno.

Il vero ascolto è quello attivo.
Quello che prescinde da ogni giudizio.
Questo è l’ascolto che ti permette di entrare nella vita delle persone e di cogliere sfumature in loro che neanche loro sanno di avere.
Questo è l’ascolto che esercitai per poter immedesimarmi nelle storie di quelle persone e scrivere il libro.
Questo mi portò un arricchimento personale impagabile.

Il flusso di coscienza dello scrittore

Dopo neanche un mese dall’inizio della prima stesura di “Il diario del silenzio“, ero entrata in una sorta di limbo.
Stavo sperimentando quello che gli psicologi chiamano “Flow“, cioè “Flusso”.
Ovvero: uno stato di coscienza dove la persona è completamente coinvolta nell’attività che sta svolgendo.

Il diario del silenzio

Ricordo che la mia vita andava avanti come se niente fosse, ma io ne ero quasi estranea.
In quei momenti pensavo:

Ogni volta che cammino per la strada,
ogni volta che vado a lavoro,
ogni volta che mi addormento alla sera,
sto pensando al libro: a chi ascoltare,
a chi coinvolgere, a come fare per farlo crescere.

Il fatto è che la mia vita, in quel momento, era un vero casino.
Da anni non avevo grandi soddisfazioni personali o lavorative a cui attingere.
In più, il mio fidanzato aveva ricevuto una promozione, si era trasferito al sud e noi ci eravamo lasciati.
Stavo soffrendo.

E per la prima volta ci riuscii: riuscì ad usare la sofferenza per fare qualcosa di produttivo.

Anche da quella sofferenza nacque “Il diario del silenzio“.
Questo mi fece prendere consapevolezza di una cosa.

I percorsi si fanno con i “nonostante.
Non con i “se” e con i “ma”.
Con quelli non si va da nessuna parte.

Un percorso si fa nonostante tu stia male.
Nonostante tu sia delusa.
Nonostante in te alberghi sofferenza.
Perché puoi comunque trovare la strada per vedere la gioia.
Che è ovunque il nostro occhio sia disposto a scovarla.

Scrivere un libro: cosa fare dopo che la prima stesura è terminata

Nello scrivere “Il diario del silenzio“, una volta che la prima stesura fu terminata, si chiuse una porta e se ne aprirono altre mille.
Come devo procedere ora?“, mi chiesi, in quel momento.
Una lista. Dovevo fare un’altra lista.

Il diario del silenzio

Il 22 ottobre 2020 fu la prima volta che vidi il mio libro online.
Come titolo scelsi, appunto, “Il diario del silenzio“.
Il sottotitolo fu “Storie reali di quarantena“.

All’inizio, quando guardai il mio libro per la prima volta,
io vidi solo il mio nome.
Credo che capiti a tutti, soprattutto se è il primo libro.

Solo dopo alcune settimane dalla pubblicazione iniziarono ad accadere delle cose.
Il diario del silenzio” si stava diffondendo, soprattutto a livello locale.
Trattando di storie reali e, di racconti dov’era presente molta sofferenza, si presentarono alla mia porta alcune situazioni.

Una signora del paese fermò mia mamma al supermercato per farle i complimenti.
Le disse: “Ho letto il libro di sua figlia“, poi scoppiò a piangere.
E mia mamma, con lei.
Il tutto davanti al banco dei salumi.

Alcune persone che avevo ascoltato iniziarono a portare il libro a lavoro, nei reparti dell’ospedale e a parlarne.
Un passante del mio paese, un giorno, mi fermò per strada e mi disse: “Sai che quando ho letto ‘Il diario del zilenzio‘ ho pianto per una notte intera?“.

La mamma di una mia coscritta mi mandò a casa dei fiori: avevo deciso di inserire sua figlia, deceduta giovane in un incidente, in un racconto del libro. L’avevo descritta esattamente come era da viva: una bella ragazza solare, con una straordinaria voglia di vivere.

Ho pensato che anche se una persona non può più vivere su questa terra, può comunque vivere per sempre in un racconto.

La scrittura, serve a questo. A lasciare una traccia.

Il giorno in cui mi arrivarono a casa quei fiori, trovai anche un biglietto, scritto dalla mamma della mia coscritta.
Quel giorno ho pianto senza riuscire a fermarmi.

Succedevano cose molto belle, in continuazione.
Ma tutte queste cose non riguardavano me.

Non ero io il centro di quel turbine.
Erano le altre persone.

E in quel momento mi sono resa conto che non era il mio nome la cosa più importante di “Il diario del silenzio“.
Erano tutte le altre persone al quale il libro era legato.

Da quel momento in poi, smisi di focalizzarmi sul mio nome in copertina.

“Il diario del silenzio”: cosa fare dopo averlo pubblicato

Divenne una priorità per me fare in modo che le persone parlassero del libro.
Ma in che modo dovevo muovermi?

Il diario del silenzio


In qualche modo, fare quelle liste mi aiutava ad organizzare la giornata.
Riuscivo sempre a portare a termine ciò che mi ero scritta e ad ottenere anche dei buoni risultati.

Nel giro di due mesi avevo venduto circa cinquecento copie, tra eBook e print on demand.
Avevo ottenuto un buon numero di recensioni, tutte positive.
Dopo tre mesi, “Il diario del silenzio” era primo nella classifica IBS.it degli eBook più regalati dell’anno.

Forse per alcuni sembrerà poco. Per altri, sembrerà tanto.
Per me non era né tanto né poco: erano semplicemente obbiettivi che mi ero prefissata di raggiungere.
Mi limito a riportare quanto è successo e quanto ho ottenuto, sapendo di averci messo tutta me stessa.

Poco dopo che “Il diario del silenzio” venne pubblicato, mia mamma mi disse: “Sei fortunata che hai trovato persone che ti fanno pubblicità, che ti organizzano presentazioni, che ci tengono a parlare del libro.
Ma io sapevo che la fortuna, in realtà, non c’entrava molto.

Quando lavori su un tuo progetto, quando sei tu a cercare i contatti, a creare legami,
a fare in modo che le persone credano in quello che stai facendo anche più
di quanto ci creda tu, non è fortuna.
Semplicemente avevi chiaro un obbiettivo: ci hai lavorato su e hai ottenuto dei risultati.
Fine.

Nel processo di scrittura e pubblicazione di un libro, tutti pensano che scriverlo sia la fase più difficile.
Le persone credono che sia quello il vero e duro lavoro e, in effetti, prima di pubblicare “Il diario del silenzio” anche io la pensavo così.
Scrivere in effetti non è semplice.
Assemblare tutti i pensieri fino a dar loro la forma di un libro, lo è ancora meno.

La verità è che, quando il libro venne pubblicato, io ebbi in qualche modo la percezione che il duro lavoro iniziasse in quel momento.
E, effettivamente, questo fu ciò che avvenne.

Il diario del silenzio

“Il diario del silenzio”: i book blogger, i contatti, le recensioni

Dopo la pubblicazione de “Il diario del silenzio“, non avendo io una casa editrice alle spalle, mi sono organizzata io.
Quello è il momento in cui ho cercato i contatti con persone disposte a parlare del tuo libro sui loro blog, sui giornali: ricerchi interviste, recensioni.
Crei tu stesso dei contatti che poi mantieni.
In che modo?

Con la gentilezza. Con la consapevolezza che niente ci è dovuto da nessuno.
E con l’uso di due semplici parole, delle quali a volte scordiamo l’esistenza: per favore e grazie.
Ma in tutto questo c’era anche qualcos’altro.
In qualche modo, l’aver pubblicato un libro fece maturare in me una consapevolezza.

Io non ero nessuno.
E il fatto di aver pubblicato un libro
con il mio nome sopra non faceva di me qualcuno.

In Italia, ogni giorno, vengono pubblicati circa duecento libri.

Ogni giorno. Duecento libri. “Il diario del silenzio” era solo uno di questi.
Quindi… per come la vedo io, siamo tutti dei “nessuno”.
Tutti noi siamo dei nessuno per il mondo, o per le altre persone.

Dunque… dov’ero rimasta?
Ah si, giusto: mantenere dei contatti.
Il passo successivo, almeno per me, fu quello di cercare concorsi letterari e fiere online a cui iscrivere “Il diario del silenzio“.

Creare anche un booktrailer. Anche solo per mettermi alla prova.
E poi… guardare al futuro.
Avendo sempre in mente un obbiettivo.
Il che mi riporta a quest’ultima lista che ho fatto un mese fa:

Il diario del silenzio

… Su questi ultimi due punti ci sto ancora lavorando.

Martina Vaggi

Photo credit immagine in evidenza: “Il diario del silenzio” di http://booklovers105.blogspot.com/2020/12/recensione-il-diario-del-silenzio.html

Altre immagini: Pixabay e Canva e “Il diario del silenzio” di Martina Vaggi.