Autori emergenti

Luca Scopitteri: 10 domande all’autore della trilogia de “Il creatore di sogni”

Ben ritrovati all’appuntamento con la rubrica “10 domande all’autore emergente”, firmata Pensieri surreali di gente comune. 

Quest’oggi abbiamo come ospite Luca Scopitteri, autore della trilogia de “Il creatore di sogni”.
Luca è anche il vincitore del premio al “Concorso Letterario Internazionale Lago Gerundo” (2020) con il racconto horror “Gioca con me”.

Ciao Luca, ti do il benvenuto sul mio blog!
Iniziamo subito con la prima domanda.

Luca Scopitteri

Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla scrittura?

Luca Scopitteri:

Ciao Martina.
Credo che lo spartiacque sia stato il passaggio dalle scuole superiori all’università. I libri che prima leggevo per obbligo sono diventati un piacere difficile da rinunciare, e la scrittura, i pensieri e la fantasia, hanno trovato sfogo sotto forma di racconti, diari e storie brevi.

E una di queste storie ti ha portato a scrivere il tuo primo libro “Il creatore di sogni”, pubblicato nel 2017. 

Che cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada
Ci racconti brevemente la trama del libro?

Luca Scopitteri:

È stato il desiderio di mettermi in gioco. Negli anni ho sviluppato così tante idee, che alla fine ho deciso di darle sostanza in un progetto lungo e articolato, un romanzo appunto. 

Molte volte si scrive per necessità, per esprimere un’idea, un’opinione, a volte anche un disagio. Nel mio caso da una riflessione che scaturisce da un’attitudine a sognare quasi tutte le notti, sogni vividi che ricordo benissimo e che mi danno molti spunti.

Un giorno mi sono domandato:

“Cosa accadrebbe se i sogni si materializzassero? E se, per contro, lo stesso avvenisse anche per gli incubi?”

Partendo da questa considerazione, nasce la storia di Jay e de “Il creatore di sogni”.

Libro su Amazon:

“Questa realtà è una finzione, una fantasia, una prigione con le sembianze di un paradiso.” Questo è un estratto del tuo libro. 
Molto interessante il tema della realtà mischiata alla finzione: tutto sembra muoversi nell’ambito dell’apparenza eppure c’è della profondità in questo, mi sembra di capire. 

Come mai con questo libro hai deciso di sondare questo “mondo dell’apparenza”, che non sembra per niente facile da rappresentare?

Luca Scopitteri:

Sono sempre stato molto attratto da tutto ciò che non è solo apparenza.

La realtà nasconde spesso delle sfaccettature che ignoriamo, eppure ugualmente interessanti.

Luca Scopitteri

Si scontra la mia duplice natura: da un lato il tentativo di essere razionale nelle scelte e nelle conclusioni, dall’altro la consapevolezza di cercare nella fantasia una valvola di sfogo. 

Quando ci si abbandona a questa fantasia, succede che il mondo dei desideri, della paura e a volte della follia, prenda il sopravvento sulla realtà e diventi difficile comprendere entrambe.

A me piace immaginarmi nella terra di confine tra l’una e l’altra.

Il creatore di ombre” è il secondo libro della trilogia, pubblicato nel 2020 con Bookabook.

Ci racconti brevemente di cosa tratta?

Luca Scopitteri:

È il proseguo della storia di Jay, con l’inserimento di un’altra protagonista, Lana. Alternando i capitoli narrati in prima persona, ripercorro le vite di entrambi, difficili e segnate da profonde ferite, che li porterà a incontrarsi in un mondo onirico. 

Entrambi sono dotati di abilità uniche, che li rendono al tempo stesso potenti e minacciati. Ti lascio l’estratto di un capitolo di cui ho fatto creare un audio.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Per acquistare il libro su Amazon, qui:

Anche in questo libro affronti tematiche non facili. E salta all’occhio anche questo: “Il creatore” sembra essere una definizione che ti piace usare molto nei titoli.

Come mai?
Chi è in realtà questo creatore, per te? 

Luca Scopitteri:

Sì, il creatore è la linea guida della trilogia de “Il creatore di sogni”.
In realtà, il creatore è in ognuno di noi

Tutti possono essere in grado di creare qualcosa, nel senso che tutti sono padroni delle proprie scelte e hanno i mezzi per realizzarli.

È pur sempre una generalizzazione, intendiamoci, ci sono situazioni che spesso inibiscono tale capacità. Ma, di massima, il discorso può essere valido per tutti.

Luca Scopitteri

C’è un elemento che accomuna i tuoi libri o i loro protagonisti?

Luca Scopitteri:

Sì, i protagonisti, così come tutti i personaggi dei miei romanzi e racconti, sono persone normali, seppur dotate di abilità uniche. Non si troverà mai un eroe senza macchia, o un antieroe che non abbia motivazioni almeno parzialmente condivisibili.

Non credo nel bianco e nel nero, ma più spesso nelle sfumature. 

La verità dev’essere conosciuta nella sua totalità per poter essere valutata.

Self publishing: tu hai autopubblicato il tuo primo libro, mentre per il secondo ti sei affidato a Bookabook. 
Cosa ne pensi del self? Lo consiglieresti?

Perché, secondo te, sempre più autori si rivolgono al self piuttosto che ad una casa editrice?

Luca Scopitteri:

Il self publishing è uno strumento molto valido, ma devi essere scrupoloso nel tuo lavoro. In veste di lettori, siamo i primi a sospettare di un lavoro autopubblicato a fronte di uno edito con casa editrice. 

Per superare questa diffidenza, bisogna presentare un lavoro quanto più professionale: quindi affidarci a un editor, a un grafico per la copertina e l’impaginazione, a qualcuno che ci aiuti nella pubblicità.

Luca Scopitteri

Sono tutti aspetti che ci fanno diventare imprenditori di noi stessi

Occorrono tempo e risorse da dedicare, e se si fa un buon lavoro il lettore non noterà alcuna differenza rispetto a un libro che trovi sul mercato.

D’altro canto, ci sono realtà come le fantomatiche case editrici a pagamento, che non si preoccupano minimamente del risultato; ecco, di quelle bisogna tenersi alla larga.

Alla luce di questo, mi sento di consigliare il self a chi ha voglia di dedicare impegno anche nel post scrittura; in caso contrario ci sono tante medie e piccole realtà molto valide e desiderose di crescere, che sapranno valorizzare un libro ben scritto.

“Gioca con me” è il racconto horror con il quale hai vinto il primo posto al “Concorso Letterario Internazionale Lago Gerundo” (2020). 

Ci parli di questo racconto? Come ti è venuta l’ispirazione di scriverlo?
Vuoi lasciarci un breve estratto?

Luca Scopitteri:

È la storia di una giovane coppia che, durante un picnic in montagna, incontra una misteriosa bambina che in breve svelerà la sua natura maligna. 

Luca Scopitteri

È una storia nella quale mi sono concentrato sull’aspetto ambientale, sulla paura primordiale che si ha verso l’oscurità, verso l’irrazionale. 

L’idea nasce da una provocazione (amichevole) con il mio docente di scrittura narrativa, un noto scrittore con cui siamo in ottimi rapporti. Direi una sfida, una rivalsa, ma è un piccolo segreto tra noi due.

Ti lascio il link del racconto. Anche in questo caso ho fatto produrre un audio di cui sono particolarmente contento del risultato.

Puoi ascoltare il racconto, qui.

Tu ti sei laureato in Scienze Politiche e successivamente hai intrapreso questo percorso da scrittore.

Questa tua propensione alla scrittura è arrivata dopo o è stato proprio il tuo percorso di studi ad alimentarla?

Luca Scopitteri:

In realtà credo che Scienze Politiche, specie considerato l’indirizzo storico che ho seguito, mi abbia aiutato a migliorare la scrittura. In quegli anni ho imparato i metodi di ricerca, lo studio delle fonti e l’analisi dei fatti, per poi metterle in pratica con tesine. 

È stato sempre in quegli anni che ho iniziato ad amare la lettura e a dare forma ai miei scritti. 

Luca Scopitteri

Uno degli sbocchi di quell’università è il giornalismo. A suo tempo ho preso in considerazione quella strada, ma la vita e le circostanze, a volte, ti “dirottano” altrove. 

Anni spesi bene tuttavia, perché ho accumulato un carico di esperienze che oggi mi tornano utili.

Che lavoro fai per vivere? Vedi nella scrittura, prima o poi, una possibilità concreta di futuro, da un punto di vista lavorativo?

Hai già in progetto un altro libro?

Luca Scopitteri:

Ho una piccola impresa nel campo del tessile. 

La scrittura, come sa bene chi conosce questo mondo, in pochi casi ti permette di vivere solo di quella. Questo non vuol dire che non accada.

Ma è più facile che ci riesca chi è capace di abbinare attività propedeutiche, come editor, correttore di bozze, collaborando con case editrici, e così via.

Vivere di sola vendita dei libri, è un privilegio per pochi.

Luca Scopitteri

Nel mio caso, sto andando per gradi, seguendo corsi di scrittura narrativa affermati, dedicando tempo alla lettura (fondamentale per chi vuole scrivere) e così via. Non si smette mai di imparare e questo può portare solo a migliorarsi.

Quello che verrà, sarà più che ben accetto.

Attualmente ho in lavorazione il mio terzo romanzo. Ho preso una pausa dalla trilogia de “Il creatore di sogni” perché è un lavoro che mi richiede molto tempo per chiudere tutti gli intrecci aperti nei primi due lavori, e il periodo in cui viviamo non aiuta.

Credo che il prossimo romanzo sarà ultimato per la fine della primavera, poi vedremo con la casa editrice quando farlo uscire.

Riprende il racconto “Gioca con me”, quello di cui ti parlavo sopra, una storia di ricerca, a tinte soprannaturali, con un passato oscuro da scoprire.

E io ti faccio un grosso in bocca al lupo per la stesura di questo nuovo inedito e per tutto quello che verrà nella tua vita.

Bene, Luca Scopitteri, queste erano le tue 10 domande.
Sono molto felice di averti avuto ospite per la mia rubrica.

Lascia pure i tuoi recapiti social qui sotto, affinché chiunque lo desideri, possa seguirti e conoscere meglio le tue opere.

Recapiti social di Luca Scopitteri:

Link di acquisto dei libri.

Sito web di Luca Scopitteri.

Pagina Instagram Luca Scopitteri.

Pagina Facebook Luca Scopitteri.

Martina Vaggi

Photo credit: Luca Scopitteri, Pixabay e Pexels.

Autori emergenti

Roberto Ferraresi: 10 domande all’autore di ‘Io sono ricco, ma non lo sapevo’

Ben ritrovati ai miei lettori con questa rubrica “10 domande all’autore emergente” firmata Pensieri surreali di gente comune
Quest’oggi abbiamo come ospite Roberto Ferraresi.

Autore, scrittore e formatore, Roberto Ferraresi ci farà compagnia oggi parlandoci del suo percorso di vita e delle opere fino ad ora scritte da lui. 

Dunque, Roberto, innanzitutto ti saluto e ti do il benvenuto sul mio blog!
 Inizierei subito chiedendoti di te. 

Roberto Ferraresi

Che mestiere fa Roberto Ferraresi per vivere?
La scrittura può considerarsi un “lavoro” per te?

Roberto Ferraresi:

Buongiorno Martina e un caloroso saluto ai lettori del tuo blog.
Voglio innanzi tutto ringraziarti per l’interesse mostrato per il mio lavoro.

La tua iniziativa è lodevole, in quanto è certamente uno strumento utile per conoscere più a fondo chi si cela dietro le pagine di un libro, per questo motivo ho aderito con piacere.

Partiamo da cosa faccio per vivere. 

Da molti anni lavoro nel settore della bellezza e del commercio. Questa attività negli anni mi ha dato modo di vagliare ogni aspetto del suo mondo, da quello meramente pratico della sua esecuzione, alla vendita e alla consulenza. Per poi passare, all’aspetto legato alla comunicazione ed alla crescita personale, e quindi alla formazione.

Ciò premesso, dopo molti anni è diventato solamente il mezzo che mi permette di raggiungere un fine. La mia passione e i miei obbiettivi sono volti inderogabilmente in un’altra direzione.

Per quanto riguarda la scrittura, il mio obbiettivo è farne ciò che mi permetta di vivere.

Ciò che ho sognato e quindi ho deciso di realizzare, è un nuovo stile di vita.

Roberto Ferraresi

Oggi purtroppo non è ancora sufficiente, ma sono ottimista ed è per questo che persevero con determinazione. La convinzione che mi ha sempre guidato nella vita è: 

“Se lo possono fare gli altri, lo posso fare anch’io”

La scrittura è dedizione, applicazione e studio, ma soprattutto leggere, leggere, leggere.

Ciò premesso, non credo potrò ne vorrò mai considerare lo scrivere un vero lavoro.
Credo che se dovessi farlo, dal mio punto di vista, la scrittura perderebbe buona parte di quel fascino di cui una vera passione necessita.

Per esperienza personale, maturata in molti anni di lavoro di cui spesso ne ho fatto una passione, credo di poter asserire questo:

Qualsiasi lavoro fatto con dedizione e passione non lo si può considerare un vero lavoro, in quanto è tempo che dedichiamo a ciò che amiamo fare.

È tempo che dedichiamo a noi stessi ed è fantastico, perché questo approccio può rendere la nostra vita straordinaria.

Il denaro che ne deriva è solo una mera conseguenza.

Roberto Ferraresi

Questo concetto è molto interessante e ti devo dire con sincerità che lo condivido profondamente.
Ora inizierei a parlare del tuo percorso come scrittore. Nel 2019 tu hai pubblicato il tuo primo libro.

La Guerra della galassia Oscura/ Il Ritorno del Maestro di Luce”. 
Di che cosa si tratta? Ci parli della trama?

Roberto Ferraresi:

La Guerra della galassia Oscura” è un romanzo di fantascienza, ambientato in un’ipotetica galassia rimasta isolata nell’universo.

Il titolo potrebbe trarre in inganno letto da solo, anche se ha una sua naturale conseguenza. In realtà la storia si accentra maggiormente sul sottotitolo che è “Il Ritorno del Maestro di Luce” 

Non volevo fosse solo una classica storia fantascientifica fatta di guerre intergalattiche, e astronavi ipertecnologiche.

Per me era fondamentale che al suo interno fosse presente un messaggio, un motivo che spingesse il lettore a riflettere: quel motivo che spinge tutti noi quotidianamente a compiere delle scelte, anche quando non ci sentiamo pronti a compierle.

Roberto Ferraresi
Foto di Roberto Ferraresi

“Cosa fareste se foste chiamati a compiere un destino che non credevate tracciato per voi? Secondo i Maestri di Luce Eterna esistono soltanto due modi per risolvere un tale enigma: rimanere spettatori degli eventi, evitando di rischiare in prima persona, o cambiare le proprie credenze per affrontare impavidi ciò che ci attende. In altre parole, seguire il cammino della Luce o lasciarsi fagocitare dal potere oscuro dell’Assenza?”

Questo breve scorcio tratto dalla sinossi è ciò che maggiormente rappresenta questa storia.

La storia rispetta davvero tutti i canoni classici di un racconto di fantascienza anche spinta al mondo fantasy, ma ciò che non doveva mancare era un messaggio di crescita e di riflessione su ciò che sono i valori della famiglia dell’amicizia e dell’amore.

L’oscurità per esistere necessita della Luce e viceversa.

Roberto Ferraresi

Trasmettere valori attraverso le storie che costruiamo è sempre molto importante.
Ma il tuo non sembra un argomento molto facile da trattare. Immagino che abbia richiesto molta preparazione.

Che cosa ti ha ispirato nella stesura di questo primo libro? 

Roberto Ferraresi:

L’ispirazione di questo romanzo nasce da una passione viscerale che ho sin da bambino per la fantascienza e per tutto quel mondo che possiamo definire come fantastico.

A dire il vero, il perché, e il come è nato questo racconto, è un aneddoto che affronto, entrando in profondità nel mio ultimo libro. “Io sono ricco, ma non lo sapevo“.

Credo sia una storia che può essere molto utile a chi scrive.  Ci tengo a precisare che questo non è un romanzo ovviamente, ma non voglio farmi uno spoiler (ride, ndr).

In effetti come hai anticipato, scrivere un racconto di fantascienza richiede una certa preparazione. Esistono molti termini di carattere scientifico che vanno utilizzati con una certa coerenza.

Però è anche vero che chi ama questo mondo, oltre che trovare spunti nella propria fantasia, cosa fondamentale, può avvalersi di un mondo di informazioni, sia nella scrittura che nella filmografia, che ci hanno donato tutte quelle persone straordinarie e visionarie, che nel tempo hanno immaginato un mondo che ancora deve palesarsi.

Foto di Roberto Ferraresi

Questa tua passione per la fantascienza ti ha portato ad un seguito.
Nel 2020 hai infatti pubblicato “La Guerra della Galassia Oscura/Il segreto della Luce Nera”.

Come mai hai deciso di proseguire con questa serie? 
Hai riscontrato un buon interesse da parte del pubblico? 

Roberto Ferraresi:

La necessità di dare un seguito al “Ritorno del Maestro di Luce” con “Il segreto della Luce Nera”, era inevitabile: ne presi coscienza già quando stavo volgendo al termine della stesura del primo romanzo.

Lo stesso pensiero si è palesato al termine del secondo. Non potevo che farne una trilogia: credo che questo sia il suo dovuto epilogo. 
Non posso ancora dire quando lo pubblicherò, ma è una certezza.

A volte accade che quando volgi al termine di un racconto, prendi coscienza che quella storia non può concludersi così: è articolata e piena di risvolti che andrebbero approfonditi.
Concluderla lascerebbe nel lettore troppe domande inevase.

Devo ammettere che a quasi due anni dalla pubblicazione del primo romanzo l’interesse dei lettori è andato solo in crescendo.

La pubblicazione del secondo volume ha aumentato, e non di poco, l’interesse di chi si era approcciato al primo libro.

Questo non può che inorgoglirmi. 

Del resto, una trilogia riesce sempre a raccogliere aspetti utili della storia di ogni personaggio importante del racconto, affinché si comprenda meglio il suo ruolo.

Roberto Ferraresi

Credo sia davvero interessante per chi si appassiona a quella storia, conoscere le scelte e la vita che i propri eroi compiranno in un arco temporale più completo.

Per me scrivere questa storia è stato davvero un momento fantastico in cui la mia fantasia e la mia creatività mi hanno dato l’opportunità di vivere vite inimmaginabili

Può sembrare incredibile, ma non vi nego di essermi meravigliato da solo durante la stesura, di quanto sia stato emozionale vivere ogni istante di ogni singolo personaggio: le loro gioie, le loro scelte, le loro difficoltà, le loro vittorie e le loro sconfitte.

Ogni loro momento è stato per me vita vissuta.

Sapere che altre persone leggendolo, possano anch’esse identificarsi in uno o più personaggi vivendone l’esperienza, mi riempie il cuore di gioia. 

Niente appaga di più di aver permesso a qualcuno, anche se non so chi sia, di aver sognato ed essersi emozionato anche solo per un istante, leggendo una storia nata da una mia fantasia che ho reso reale.

A dirti la verità, darei qualsiasi cosa perché un giorno un regista vedesse in quella storia la possibilità di portarla sul grande schermo e farne un film.

Poter vedere le espressioni dei miei personaggi e vivere la loro storia fantastica… sarebbe il massimo! 

Non so se questa è l’ambizione di ogni scrittore, ma credo che sicuramente siamo in molti a sognare che questo sia il giusto epilogo della nostra storia.

Roberto Ferraresi
Foto di Roberto Ferraresi


Io sono ricco – Ma non lo sapevo” è il tuo terzo libro.

Lo hai pubblicato al finire del 2020, proprio a pandemia inoltrata: è stato un caso?
Ce ne vuoi parlare?

Roberto Ferraresi:

Direi che con la tua domanda hai colto nel segno…

Io sono ricco, ma non lo sapevo” nasce proprio in un momento in cui il mondo come noi lo conoscevamo aveva ormai perso molti punti che potevamo considerare di riferimento.

In quel momento sentivo la ferma necessità di dare un mio contributo e di riportare all’attenzione delle persone quell’opportunità di poter guardare il mondo e la loro vita, con una diversa prospettiva.

Io per primo ho vissuto un momento di chiaro sconforto e ciò che è accaduto che ancora accade, ha inevitabilmente cambiato l’approccio a molte certezze che solo sino ad un anno addietro davamo per scontate.

La verità però è sempre molto diversa da ciò che spesso osserviamo: la nostra vita è sicuramente costernata di momenti difficili ma è anche vero che è solo grazie a quei momenti che troviamo la forza e la capacità di evolvere, di migliorarci.

La storia insegna che l’umanità ha dato il meglio di sé proprio quando tutto sembrava essersi smarrito. E così possiamo fare anche noi, singolarmente.

Il mondo e la nostra vita possono essere ciò che noi vogliamo che sia: dipende da come la osserviamo e da come la viviamo. La vita è fatta di scelte e di conseguenze.
Roberto Ferraresi

La ricerca della felicità è un cammino che va affrontato a piccoli passi e in sicurezza, ciò che può renderci esseri speciali non è realmente un qualcosa di cui dovremo dotarci, è già tutto insito in noi, ma spesso non ne siamo consapevoli.”

Questa è una delle citazioni del tuo libro “Io sono ricco – Ma non lo sapevo”. Una riflessione sicuramente molto interessante e spirituale, che invita ad una profonda presa di consapevolezza. 

Il libro su Amazon lo trovate direttamente da qui:

Questo libro può lenire le ferite che questo periodo storico molto difficile ha causato in tutti noi e darci qualche risposta?

Roberto Ferraresi:

La felicità non è un qualcosa di tangibile, ma è sicuramente un qualcosa che percepiamo come reale. 

Proprio per questo motivo credo sia utile dotarsi dei giusti strumenti necessari e conoscere il metodo che ci consenta di riscoprire ciò di cui già disponiamo. 

Quando affermo che questi strumenti sono già presenti in noi, ne sono certo. La verità è che il come utilizzarli spesso non ci è stato trasmesso: noi seguiamo semplicemente un istinto e viaggiammo a vista. 

Quando con un po’ d’ironia affermo che “non lo sapevo”, mi riferisco proprio a questo:

Nella nostra vita, se davvero lo vogliamo, possiamo sempre trovare il tempo per apprendere cose nuove: come riscoprirle dipende solo da noi e anche da questo dipendono scelte e conseguenze.

Roberto Ferraresi

Ci sono persone che con una perseveranza incredibile, impiegano buona parte del loro tempo e delle loro energie per promuovere una vita fatta di mancanze e di difficoltà.

Se questo tempo e queste energie le utilizzassero per godere dell’abbondanza e della gioia nell’affrontare quelle difficoltà, sapendo che sono opportunità per essere migliori e vivere a pieno l’esistenza, questo farebbe già la differenza.

Questo come altri spunti come già ho anticipato, nascono da una necessità di dare un contributo personale a tutto ciò.

Non è stato semplice mettersi a nudo, ma era necessario.

In questo viaggio in parte autobiografico ed introspettivo, ho avuto modo di evidenziare, proprio partendo dalla mia personale esperienza, come nella vita ci sia sempre tempo e modo di ritrovare un nuovo percorso verso quella gioia che tutti meritiamo. 

Per rispondere alla tua domanda seguente, non so dirti se davvero un libro possa lenire le ferite che la vita ci infligge, o che noi ci infliggiamo: questo è sempre molto soggettivo.

Posso affermare che nella mia di vita spesso un libro giusto ha saputo aprire la mia mente a nuove opportunità, per guardare alle cose dell’esistenza sotto una diversa prospettiva. 

Il resto come sempre è tutto riposto sotto la nostra responsabilità.

Se davvero vogliamo cambiare passo nella nostra vita e compiere scelte audaci, è necessario prepararsi, studiare, approfondire, alimentare quei dubbi che ci permettano di porci le giuste domande e, successivamente, di darci le giuste dovute risposte.
Roberto Ferraresi

Secondo te dove può essere trovata la vera felicità?

Roberto Ferraresi:

Per come la vedo io la felicità è già presente in noi dalla nascita.

La verità è che crescendo, la società e le persone di cui ci contorniamo, volontariamente o inconsapevolmente, creano condizionamenti e dubbi ai quali non sappiamo rispondere.

Questo spesso accade perché non ci facciamo le giuste domande.

Dirò di più, la felicità non è fatta di momenti: siamo noi a dare maggior peso alle difficoltà rendendo più grandi i momenti di sconforto che quelli di gioia.

Roberto Ferraresi

Fino ad ora tu ti sei sempre autopubblicato.

Come ti sei trovato a pubblicare in self publishing e cosa ne pensi, invece, di chi preferisce rivolgersi ad una casa editrice per una pubblicazione?

Roberto Ferraresi:

Scrivere in self publishing non è stata una scelta, ma un’opportunità. Credo che ogni autore abbia nel cassetto il sogno che un grande editore apponga il suo brand sotto il proprio nome.

Lavorare con un editore che crede davvero nel tuo lavoro, sicuramente potrebbe darti una maggiore visibilità. Ti permetterebbe di essere presente nelle librerie, dando l’opportunità ai lettori di entrare in contatto con la carta e l’odore dell’inchiostro della tua stampa, prenderne possesso emotivamente, magari sfogliandolo per capire se è ciò di cui necessita. 
Cosa che purtroppo nel vendere on-line viene a mancare.

Ma da dire al fare c’è di mezzo il mare…
Chi scrive come me sa di cosa parlo: quest’anno con mia grande gioia i dati delle vendite, soprattutto in Italia sono schizzati verso l’alto, anche se buona parte del lavoro l’ha fatto il mondo on-line.

Ho fatto qualche tentativo di rivolgermi ad alcuni editori, c’è da dire che da neofita non è così semplice avere credito, ma soprattutto mi sono scontrato con delle realtà a dir poco assurde, su cui ho dovuto soffermarmi e riflettere.

Ho fatto l’imprenditore tutta la vita e quando un progetto che mi veniva sottoposto lo ritenevo fattibile, investivo del mio, rischiavo in prima persona.

Quando un presunto editore ti chiede soldi per pubblicarti, obbligandoti ad assumerti tu l’onere, e tenendosi così per sé l’onore, questo stride con la parola imprendere.

Un po’ come dire: “Ti faccio lavorare con me se mi paghi“.

Roberto Ferraresi

Ecco perché alla fine ho compreso che avrei dovuto investire io in me stesso mettendomi in gioco in prima persona.
Ma devo ammettere che, così facendo, qualche bella soddisfazione è arrivata.

Non è stato sicuramente facile: ho investito oltre al denaro, molte energie nello studiare e sperimentare cosa fosse meglio fare, sbagliando e correggendo tutto ciò che necessitava.

Oggi al terzo libro, posso dire di essere molto più ferrato, anche se c’è ancora molto da fare. 

Il self publishing è un’opportunità per pubblicarsi subito, senza attendere i tempi biblici di alcuni editori.

Soprattutto all’inizio può anche essere maggiormente remunerativo, ma spesso, se le cose non si fanno come dovrebbero essere fatte, si rischia di uscire con prodotti scadenti.

Dipende da noi, quanto siamo pronti a rischiare nel metterci in gioco.

Premesso questo, aggiungo quanto segue: se domani un editore serio si proponesse, lo ascolterei sicuramente e valuterei con attenzione le sue proposte.

Roberto Ferraresi

Sul tuo sito ufficiale leggo che, oltre ad essere uno scrittore e un autore, tu sei anche un formatore. 

Di quali corsi di formazione ti sei occupato, fino ad ora?

Roberto Ferraresi:

Come ho già anticipato, lavorando nel mondo della bellezza ho iniziato a lavorare sulla formazione delle persone con cui collaboravo.

Prima in termini teorico e pratico, poi sulle potenzialità che ogni persona racchiude, non solo in ambito motivazionale, che è senz’altro utile, ma anche incentivando la crescita personale e la percezione del mondo con cui ognuno di noi interagisce.

Negli anni a seguire ho migliorato le mie skills frequentando e poi mettendo in pratica alcuni corsi di coaching. Cosa che mi è tornata utile, prima di tutto a livello personale, ma mi ha anche permesso di dare supporto alle persone che hanno frequentato i miei corsi.

Al momento sono molto preso con scrittura, ma ho in progetto a breve di creare un percorso dedicato proprio a chi decide di approcciarsi a questo mondo.

Roberto Ferraresi

Quali altri progetti vedi nel tuo futuro?

Quali altri libri ti piacerebbe scrivere, di quali argomenti vorresti occuparti?

Roberto Ferraresi:

Ti ringrazio per quest’ultima domanda, perché mi fornisce un assist importante.

Al momento sto lavorando anima e cuore ad un bellissimo progetto

Sono intento nella stesura di un nuovo romanzo di fantascienza, in cui racconterò una possibile realtà a cui potrebbe andare incontro l’umanità, perseguendo le scelte che in pochi fanno continuativamente, a scapito dei molti.

Il mio non vuole essere un racconto di quella fantascienza catastrofica di cui non sono certo appassionato, ma che rispetto comunque come arte creativa.

Diversamente voglio aprire una finestra di denuncia sui rischi che un’umanità imbrigliata e incapace di fare scelte condivise potrebbe affrontare, in un futuro neanche così prossimo.

Non mancherà l’azione ed il divertimento, ma sarà comunque incentrato sulle opportunità che una nuova consapevolezza nel genere umano possa risvegliare le anime perse, ridestando la centralità della vita. 

Roberto Ferraresi

Bene, Roberto, questa era la mia ultima domanda.
Io ti ringrazio molto di essere stato ospite sul mio blog, oggi e ti faccio un grande in bocca al lupo per i tuoi progetti presenti e futuri!

Roberto Ferraresi:

Ottimo Martina, ti ringrazio ancora per l’opportunità e l’ospitalità!

Ringrazio i lettori del tuo blog per il tempo dedicatomi, nella speranza che l’aver raccontato qualcosa in più del mio lavoro possa renderlo sempre più condiviso e apprezzato.

Ma, prima di andare, non dimenticarti di lasciare i tuoi recapiti social.

Recapiti social Roberto Ferraresi:

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay, Pexels e Roberto Ferraresi.

Autori emergenti

Alessandro Bolzani: 10 domande all’autore de ‘I guardiani dei parchi’

Ben ritrovati ai miei lettori con questa rubrica “10 domande all’autore emergente” firmata Pensieri surreali di gente comune
Quest’oggi abbiamo come ospite un autore emergente, Alessandro Bolzani.

Giornalista e autore del romanzo, Alessandro Bolzani ci farà compagnia oggi parlandoci del suo percorso come autore e del suo libro “I guardiani dei parchi”.

Dunque, Alessandro, innanzitutto ti saluto e ti do il benvenuto sul mio blog!
 Iniziamo con le 10 domande.

Alessandro Bolzani

Quando hai sentito in te questa preponderante passione per la scrittura e quando hai iniziato a svilupparla?

Alessandro Bolzani: Ciao Martina e grazie mille per questa intervista!

Scrivere mi è sempre piaciuto e ricordo che già alle elementari mi divertivo tantissimo a fare i temi. In un paio di occasioni è pure capitato che la maestra ne leggesse uno davanti a tutta la classe.

Nel periodo delle medie mi sono appassionato molto al genere fantasy, grazie soprattutto a due saghe: “Harry Potter” e “Le Cronache del Mondo Emerso“.

È stata proprio quest’ultima a far nascere in me il desiderio di dare vita a una storia tutta mia, in grado di trasmettere ai lettori le stesse belle sensazioni che quei libri mi avevano fatto provare.

Il mio sogno si è concretizzato nel 2019, quando ho pubblicato il romanzo urban fantasy “I Guardiani dei parchi” assieme alla casa editrice Genesis Publishing.
Da allora ho un nuovo obiettivo: continuare a scrivere altri libri e impegnarmi per migliorare sempre di più.

Alessandro Bolzani

Parlando proprio del tuo primo libro “I guardiani dei parchi”: ci racconti qualcosa in più?

Alessandro Bolzani: Certamente! “I Guardiani dei Parchi” è la storia di Giacomo, un sedicenne che sta attraversando una fase alquanto burrascosa della sua vita.

I genitori hanno divorziato da poco e a causa della loro separazione è stato costretto a lasciare Milano, dove vivono i suoi pochi amici, per trasferirsi a Quercia Alta, una cittadina (immaginaria) del nord Italia.

Quello che potrebbe sembrare un passo indietro sotto ogni punto di vista nasconde però dei vantaggi inaspettati. Visitando il parco di Quercia Alta, Giacomo scopre di essere in possesso di un’abilità fuori dal comune.

Lui è in grado di vedere delle creature
provenienti da mondi diversi dalla Terra. 

Alessandro Bolzani

Questi esseri fantastici sono normalmente invisibili all’interno dei parchi, a causa della magia presente in questi luoghi, ma possono essere viste da chiunque nel momento in cui abbandonano l’area. Per evitare che ciò accada è stato istituito l’Ordine dei Guardiani dei Parchi, un’organizzazione segreta che gestisce i rapporti con gli altri mondi ed elimina ogni possibile minaccia.

La capacità di Giacomo di vedere le creature provenienti dagli altri mondi all’interno dei parchi lo rende un candidato ideale per unirsi all’Ordine. Per il giovane si tratta di una prospettiva allettante, anche se non priva di insidie.

Dopotutto chi entra a far parte dell’associazione segreta non può tirarsi indietro in un secondo momento ed è chiamato ad affrontare vari pericoli, tra cui le creature oscure, delle entità irrazionali il cui unico scopo è soddisfare il proprio appetito.

Inoltre, negli altri mondi si stanno verificando evasioni, rapimenti e omicidi. Tutto induce a pensare che esista un legame tra questi macabri avvenimenti e che qualcuno potrebbe essere intento a tramare nell’ombra per vendicarsi di un antichissimo torto.

Ma questo Giacomo non lo sa…

Alessandro Bolzani

Creature oscure, magia, esseri fantastici.. c’è questo e anche di più, racchiuso nel tuo libro!

(Lo potete trovare su Amazon direttamente da qui):

Che cosa ti ha ispirato nella stesura della trama?

Alessandro Bolzani: L’ispirazione è arrivata perlopiù dal mondo reale.

A pochi chilometri da casa mia c’è un parco molto simile a quello descritto nel romanzo ed esplorandolo mi è capitato spesso di fantasticare su possibili storie ambientate in un luogo simile.

L’idea dei portali mi è venuta osservando un cromlech, un insieme di pietre disposte a circolo. Il suo aspetto suggestivo mi ha spinto a immaginarlo con un punto di collegamento tra la terra e varie altre realtà. 

Da lì a buttare già una prima bozza della trama, il passo è stato molto breve. 

Foto di: Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo

Per quanto riguarda il protagonista, Giacomo: ti sei ispirato a qualcuno nel creare questo personaggio?

Alessandro Bolzani: Giacomo è un misto tra il me stesso adolescente e vari eroi dei romanzi di formazione, come “Harry Potter” o, con le dovute proporzioni, “David Copperfield” (anche se credo che Giacomo sia un po’ meno sfortunato di lui!).

Devo dirti che mi piace molto la copertina del libro: soprattutto questo colore verde, è molto d’effetto!

Sei stato tu a scegliere la grafica della copertina?

Alessandro Bolzani: La copertina è stata realizzata dalla bravissima Ester Kokunja, una grafica che ha curato varie cover dei romanzi editi da Genesis Publishing.

Le ho lasciato massima libertà, sia sullo stile da usare che sulla scena da rappresentare, ma incredibilmente è riuscita a dare vita a un’illustrazione molto simile a quella che avevo sempre immaginato.

Sono molto contento che al posto di puntare su una copertina realistica (non ne sono un grande amante, devo essere sincero), abbia optato per un risultato più “astratto”. 

Alessandro Bolzani

Parlando invece di case editrici: molti autori lamentano la difficoltà nel trovare una casa editrice che pubblichi il loro libro.

Hai riscontrato anche tu delle difficoltà nel trovare una casa editrice?

Alessandro Bolzani: In realtà no, ma credo di essere stato fortunato.

Pochi mesi dopo aver concluso il romanzo ho selezionato una decina di case editrici a cui inviarlo, sperando che almeno una si dimostrasse interessata.

Dopo poche settimane è arrivata la proposta della Genesis Publishing, che ho accettato senza esitazioni. In seguito, quando avevo già firmato il contratto, altre due case editrici hanno espresso il loro interesse nei confronti del romanzo.

Devo ammettere che è stata una bella iniezione di autostima (ride, ndr).

Cosa ne pensi del self publishing? Come mai non hai optato per questa scelta?

Alessandro Bolzani: Il self publishing è un ottimo modo per mettere in vendita le proprie opere senza dover affrontare l’iter classico (spesso un po’ lento e difficoltoso). Tuttavia richiede una grande quantità di tempo ed energie da investire nell’autopromozione, dunque non deve essere preso sottogamba. 

Personalmente ho scelto il percorso “tradizionale” perché sentivo il bisogno di un “filtro” tra me e lo scaffale della libreria, di qualcuno che mi dicesse:

“Sì, sono pronto a scommettere sul suo libro”.

Alessandro Bolzani

Non sono troppo bravo a giudicare la qualità dei miei racconti, quindi sapere che c’è qualcuno che crede nel loro potenziale mi aiuta a capire di aver fatto un buon lavoro.

È per questo che sono fermamente contrario alle case editrici a pagamento, che spesso accettano di tutto (purché l’autore paghi).

Il self publishing comunque mi incuriosisce molto e prima o poi mi piacerebbe provare a sondarne le potenzialità.

Parlando di lettura, invece.
Ti potresti definire un lettore molto forte?

Hai degli autori di riferimento?

Alessandro Bolzani: Cerco di leggere due o tre libri al mese, anche se non sempre ci riesco (dipende molto dagli impegni e anche dalla lunghezza dei volumi in questione).

Ho tanti altri hobby, come i videogiochi e l’animazione giapponese, ma cerco sempre di ritagliare uno spazio ai libri.

Ritengo la lettura un “allenamento” fondamentale per uno scrittore.

Ci sono molti autori che apprezzo, ma quelli che, per un motivo o per l’altro, mi hanno colpito di più sono: Stephen King, Haruki Murakami, H. P. Lovecraft e J.K. Rowling.

Alessandro Bolzani

Tu sei laureato in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità e lavori come giornalista presso AlaNews.

In che modo il tuo percorso di studi e il tuo lavoro ha ispirato la tua voglia di scrivere un libro?

Che cosa hai imparato nella “teoria” da mettere in atto nella “pratica”?

Alessandro Bolzani: Alcuni corsi che ho seguito all’università mi hanno aiutato ad ampliare i miei orizzonti e a ottenere una visione più vasta del mondo.

Per esempio ho approfondito alcuni aspetti del mondo dell’editoria che conoscevo solo marginalmente, come gli audiolibri e la “stampa su richiesta” (print on demand): ho capito un po’ meglio i torbidi meccanismi della politica e mi sono avvicinato all’affascinante mondo della scrittura SEO oriented. 
Alessandro Bolzani

Sia l’università che il lavoro come giornalista hanno in parte influito sulla mia passione per la scrittura, ma in realtà li vedo più come binari separati che si incrociano solo di tanto in tanto.

Vorresti pubblicare altri libri in futuro?

Credi che sia questa la tua strada?

Alessandro Bolzani: Sì, ho molte storie in mente e voglio provare a raccontarne la maggior parte. In questo periodo sto lavorando a un nuovo progetto, ma è ancora presto per scendere nei dettagli.

Spero, però, di poterne parlare apertamente già tra qualche mese.

Bene, Alessandro, questa era la mia ultima domanda. Grazie per essere stato qui con me, oggi, sul mio blog.
Io ti faccio un grande in bocca al lupo per il futuro e… complimenti ancora per il tuo libro!

Alessandro Bolzani: Grazie mille!

… Ma, prima di andare, non dimenticarti di lasciare qui sotto i tuoi recapiti social.

Recapiti social di Alessandro Bolzani:

  • Link di acquisto del libro: Potete trovarlo su Amazon (anche in edizione cartacea)  e su altri store (trovate l’elenco completo qui).

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay e Pexels.
Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo.

Autori emergenti

Paolo Arigotti: 10 domande all’autore del libro “Il collegio dei segreti”

Ben ritrovati con la rubrica “10 domande all’autore” firmata Pensieri surreali di gente comune!
Quest’oggi abbiamo ospite Paolo Arigotti, autore emergente di tre libri: “Un triangolo rosa”, “Sorelle molto speciali” e “Il Collegio dei segreti”.

Ci racconterà la sua esperienza come scrittore.
Ben trovato Paolo Arigotti, sono felice di averti qui sul mio blog.
Ecco la prima domanda:

Quando è nata in te la passione per la scrittura?

In un certo senso credo che sia nata con me: basta pensa che, qualche settimana, fa riordinando vecchie carte ho ritrovato alcuni racconti o incipit di romanzi scritti durante il periodo della scuola superiore. 

Il tuo primo libro, “Un triangolo rosa” risale al 2015 ed è appena stato ripubblicato con CTL Editore. 

Che cosa ti ha spronato a pensare: “Devo farlo, devo scrivere un libro”?

Il romanzo è stato scritto tra il 2013 e 2014 e fu il frutto di un viaggio in Polonia, durante il quale visitai il memoriale di Auschwitz. Furono i racconti delle guide ad ispirarmi la vicenda dei tre protagonisti, che ho trasformato nel mio primo libro.

Paolo Arigotti

Parlando proprio del tuo primo libro, “Un triangolo rosa”: vuoi descriverci la trama?

Di che cosa tratta?

Si tratta di una storia d’amore gay che coinvolge tre uomini, due italiani e un tedesco, sullo sfondo dei drammatici eventi degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. La trama si snoda attraverso quei fatti, con una serie di colpi di scena che condurranno i protagonisti nell’inferno di Auschwitz.

(Libro su Amazon):

In questo libro tu affronti un tema molto forte: quello di un amore omosessuale durante il periodo nazista, momento storico in cui, come sappiamo tutti, purtroppo gli omosessuali erano brutalmente perseguitati. 
Come ti è venuta l’ispirazione di affrontare proprio questo argomento e perché?

Il titolo si riferisce all’amore tra i tre uomini?

Anche se il termine “rosa” mi mette un dubbio…

Il titolo si collega con le vicende dei tre protagonisti, però ha pure un altro significato, visto che il triangolo rosa cucito sulle divise individuava i gay internati nei lager ed avviati allo sterminio.

La mia grande passione per la storia del Novecento mi ha assieme aiutato ed ispirato nelle ricerche, che hanno dato vita a questo romanzo.

Parlerei ora di “Sorelle molto speciali”, il tuo secondo romanzo, pubblicato nel 2018 con Link Edizioni. Libro del quale mi piace moltissimo la copertina, ti devo dire la verità.

Qual è la trama di “Sorelle molto speciali“?

Si tratta anche in questo caso di una storia d’amore, di un altro tipo però, precisamente quello di una madre per le sue figlie gemelle, una delle quali nata con la sindrome di Down. Parliamo sempre degli anni Trenta del secolo scorso, una condizione oltremodo difficile per l’epoca e sullo sfondo di un’altra tragedia: il folle progetto nazista dell’eliminazione dei disabili mentali, a cominciare proprio dai bambini.

In questo libro affronti anche il tema della disabilità, in quanto una delle protagoniste è affetta dalla sindrome di Down.

Paolo Arigotti

Quali valori volevi trasmettere ai tuoi lettori affrontando questa tematica?

Il coraggio di sfidare i pregiudizi e di non arrendersi,
specie quando la vita ti mette di fronte sfide apparentemente impossibili.

Siamo arrivati al tuo ultimo libro: “Il collegio dei segreti”, pubblicato nel 2020 con Onda d’Urto Edizioni. 
Quest’ultimo libro, più che narrare una storia, ripercorre un fatto storico realmente accaduto, è corretto?

“Il collegio dei segreti” si basa su fatti realmente accaduti?

I protagonisti sono personaggi di fantasia, ma i fatti storici – la resistenza tedesca giovanile contro il nazismo – sono reali ed ho voluto provare a riportare alla luce la storia dimenticata di tanti eroi condannati all’oblio per tante ragioni, storiche e politiche.

Paolo Arigotti

Fai un frequente ricorso alla storia nei tuoi libri, specialmente al periodo del Nazismo: che cosa ti ha spinto ad occuparti proprio di quel periodo storico cosi drammatico e nefasto?

Che valori volevi trasmettere occupandoti del periodo nazista?

Io sono un appassionato di storia del Novecento da sempre, il che mi ha spinto a conseguire una seconda laurea in questa materia lo scorso anno.

Il valore più importante è quello della memoria, intesa non come semplice ricordo, ma soprattutto per comprendere come certi fatti sono potuti accadere e scongiurare il pericolo che possano ripetersi.

Su Amazon trovate anche “Il collegio dei segreti“, qui:

I tuoi libri sono stati tutt’e tre pubblicati con un editore: cosa ne pensi di chi oggi preferisce rivolgersi al self-publishing?

Tu hai mai considerato questa opzione?

Io sono più incline alla pubblicazione tramite l’editoria tradizionale, purché non si tratti di editoria a pagamento, scelta che con tutto il rispetto non condivido. Il self publishing in Italia non è decollato come in altre realtà (penso a quella americana ad esempio), ma non ho nulla da eccepire nei confronti di chi fa questa scelta.

Tu gestisci anche una pagina YouTube intitolata “Il salotto culturale di Paolo Arigotti Scrittore”, dove intervisti autori ed editori.

Vuoi raccontarci qualcosa di questa bella iniziativa? 

Si tratta di una piccola rubrica che gestisco da oltre un anno sul mio canale YouTube, dove intervisto autori ed autrici di tutta Italia (e non solo), dedicandoci non soltanto alle opere letterarie, ma a tanti argomenti storici, culturali e di attualità.

L’ho creata per via delle restrizioni imposte dai vari lockdown, stante l’impossibilità di realizzare eventi dal vivo; non credo che il web debba sostituire questi ultimi, ma certamente può affiancarsi come importante strumento di promozione della cultura.

E noi non possiamo che essere d’accordo con te…
Bene, Paolo Arigotti, questa era la mia ultima domanda… Sono molto contenta di averti avuto ospite oggi sul mio blog.
Io ti saluto e ti faccio un grosso in bocca al lupo per i tuoi libri… e per quelli che verranno! 

Tante grazie Martina, piacere mio.

Ma, prima di andare…

Recapiti social Paolo Arigotti:

Paolo Arigotti, Paolo Arigotti, Paolo Arigotti

Martina Vaggi

Photo credit: le foto presenti in articolo sono tutte di Paolo Arigotti, che me le ha concesse solo ai fini della pubblicazione dell’articolo.

Autori emergenti

Gabriele Glinni: 10 domande all’autore dell’inedito “Ascend-ent”

Ben ritrovati con la nuova rubrica “10 domande all’autore” di Pensieri surreali di gente comune!
Quest’oggi ho il piacere di avere come ospite sul mio blog Gabriele Glinni, mediatore linguistico, blogger e scrittore di un libro inedito che vedrà presto la luce. 

Allora, Gabriele Glinni, bentrovato!
Sono molto contenta di averti qui, sul mio blog.

Gabriele Glinni: Ciao a te, Martina. Il piacere è tutto mio! Devo dire che non mi aspettavo per niente questa occasione, nel senso che di solito sono io che sguinzaglio interviste alla gente, ma quando sono pour moi mi sento sempre in soggezione (ride, n.d.r.).

No scherzo. Sul serio, grazie! Se non altro quantomeno di aver speso tempo a pensare e a scrivere alle domande, non è cosa da poco.

Premetto le mie risposte potrebbero suonare o molto personali o sarcastiche, questo perché non mi piace scrivere wall of text noiosi e prolissi. Inoltre mi ritengo e vengo considerato una persona estremamente trasparente e onesta (sia in senso positivo che negativo).
Dirò esattamente cosa penso.

E io sono estremamente felice di questo!
Inizio subito parlando del tuo romanzo inedito, che si intitola “Ascend-ent”: ha un titolo davvero curioso.

Gabriele Glinni

Come hai scelto il titolo e di che cosa tratta il tuo libro?

Puoi illustrarci la trama?

Gabriele Glinni: Allora allora, iniziamo dicendo che Ascend-ent è una crasi. Ovvero include sia il verbo “to ascend” (ascendere) che “ascendent” (l’ascendente di qualcuno su qualcun altro). 

Ascendere è inteso come il percorso e l’impegno del protagonista, Wade, per migliorarsi.
Ascendente è inteso come l’influenza dei vari personaggi (includendo anche varie figure) l’una con l’altra, finendo con il rivoluzionarsi la vita a vicenda, senza notarlo.

Ora la trama
Allora l’idea di base è questa.

C’è stato un virus chiamato Encevirus, scopiazzato ovviamente dal Covid, nel senso che è stato privo di sintomi particolari.
Tuttavia, post Encevirus, la realtà è cambiata radicalmente. Anche persone che non ne sono risultate positive hanno sviluppato la capacità di esercitare un controllo su determinati oggetti. Queste persone vengono chiamate “gli specialisti”.
Per esempio, Wade Cameron, il protagonista, è diventato in grado di controllare gli scontrini. Non carta, non papiri, specificamente scontrini, scelta intenzionalmente ridicola.

Wade è infatti un neolaureato in Marketing senza alcuna passione per il proprio percorso di studi.
Si ritrova in questo tedioso limbo di non sapere che fare della propria vita, in un mondo lavorativo che, lo sappiamo, diventa sempre più spietato ed esigente.
Wade non ha alcun talento se non quello per il disegno e la capacità di manovrare dei piccoli, buffi scontrini.

Un noioso pomeriggio estivo riceve una chiamata da un’associazione, la NeolGen, (prima dell’editing del libro la chiamata avveniva da parte del fondatore, Paul Auberon: adesso le cose sono un po’ cambiate). Comunque… questa chiamata gli offre la possibilità di entrare a far parte della NeolGen durante un evento di apertura agli inizi di settembre.

Wade, pieno di dubbi ed interrogativi, accetta.

𝑇𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑖𝑒𝑠𝑐𝑜 𝑎 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎𝑟𝑒 𝑒̀, 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑙’𝑒𝑛𝑐𝑒𝑣𝑖𝑟𝑢𝑠, 
𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑡𝑎̀ 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑚𝑏𝑟𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑎.
𝐿𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑚𝑒𝑡𝑟𝑜, 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑞𝑢𝑖𝑒𝑡𝑒, 𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑒𝑙𝑙u𝑙𝑎𝑟𝑒, 
𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎𝑛𝑜 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜, 𝑟𝑖𝑑𝑜𝑛𝑜, 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎𝑛𝑜 𝑎𝑖 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖. 
𝑀𝑎 𝑐’𝑒̀ 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑛𝑒𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑚𝑜𝑑𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑒, 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑐’𝑒𝑟𝑎. 
𝐿’𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎, 𝑙a 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎, 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑒𝑡𝑎̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑓𝑟𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎. 

Gabriele Glinni

Queste parole arrivano direttamente dal tuo libro e, devo dire con sincerità, che incuriosiscono molto. Curiosi sono i riferimenti ad una società, come dici tu “fratturata”: viene quasi da fare un parallelismo con la realtà che stiamo vivendo ora. 

Questo paragone ha un senso?

C’è un nesso con la realtà odierna?
Da quant’è che stai lavorando a questo inedito?

Gabriele Glinni: Assolutamente sì.

Come avrete capito, Ascend-ent è una sorta di parodia/take sulla società moderna, in chiave action/sovrannaturale.

Nel senso, c’è un clima di incertezza, c’è sospetto verso tutto ciò che è diverso, c’è la disoccupazione, c’è una situazione di, cito espressamente Wade:

“I ricchi si arricchiscono e i poveri si impoveriscono” 

(nel senso che la NeolGen favorisce direttamente figure come ingegneri linguisti anche un po’ programmatori contro neolaureati in non si sa bene cosa).

La tematica principale è la ricerca di se stessi: scoprire chi si è veramente, cosa si vuole, chi è il vero “sé”. Quindi, nonostante le premesse “supereroistiche”, non ha assolutamente niente del genere. Tant’è che i nemici principali stringono molto l’occhio al genere horror, al posto di essere specialisti cattivi o qualcosa del genere. 

Gabriele Glinni

Ma, per ora, mi fermo 😉 

Da quanto ci sto lavorando? Mi sembra suppergiù da aprile, credo, dell’anno scorso.

Anticipo che scrivo da quando avevo quindici anni, e l’anno scorso, per una serie di motivi (per riassumere molto: relazione di 9 anni volta al termine), volevo fermarmi definitivamente. Ma dei cari amici mi hanno motivato a riprendere.
Quindi vorrei ringraziare in particolare Orlando Palone per essermi stato sempre vicino, Erica Secondini per avermi spinto a proseguire con la scrittura e il balzante Alessandro Bolzani per aver creduto nelle mie capacità.

Ps.: mi piace fare nomi di persone in queste occasioni. In realtà ce n’è stata solo un’altra, ma dettagli.

Beh, che dire Gabriele… da questo inizio, direi che hai fatto bene a non fermarti e a continuare a scrivere!

Restando in tema di un argomento molto dibattuto oggigiorno, vorrei chiederti qualcosa in più su un argomento in particolare.

L’ Encevirus”: cosa puoi rivelarci, senza rivelare troppo?

Gabriele Glinni: In realtà non molto, Martina.

Inteso che l’Encevirus in sé e per sé è secondario e quasi solo un espediente narrativo che fa avvenire le cose. Resta molto misterioso e indefinito su come abbia alterato la realtà (tant’è che, ripeto, anche gente non positiva è stata condizionata).

Il vero problema sono le conseguenze che ha generato. Oltre gli specialisti c’è un altro lato della medaglia di cui non ho proprio parlato.

Ascend-ent studia com’è cambiata la società DOPO il virus, non IL virus in sé.

Beh, è sicuramente interessante anche questo.
Dal momento che oggi viviamo in una realtà dove non si parla di nient’altro che di un virus, tu hai preferito incentrare il libro sulla società e sul suo cambiamento.

Ma veniamo ora ai personaggi. Ti faccio una domanda un po’ off topic: tu hai presentato i tre personaggi principali della tua opera (Wade, Darius e Lea).

Gabriele Glinni

A quali dei personaggi protagonisti pensi di assomigliare di più? 

In quale di loro ti ci ritrovi?

Gabriele Glinni: Tutti e tre per vari motivi.

Wade è un tipo approssimativo, negativo e pessimista al suo peggio; coraggioso, intraprendente e tutto d’un pezzo al suo meglio.

Darius è l’ingegnere linguista anche un po’ programmatore che ti dicevo, lungi da quel che sono, ma è parecchio goffo sia come gestualità sia come abilità sociali, e in questo mi ci rispecchio al 100%. Inoltre ha una sorta di blocco mentale che qui non svelo, che si rifà al mio vissuto.

Lea è quella che mi somiglia di meno, ma è una malata di social media e talvolta nemmeno io scherzo.

Bene, Gabriele… torniamo invece ora a parlare del libro e delle sue fasi editoriali. 

Dunque, il libro è un inedito, quindi non è stato ancora pubblicato. 
A che punto sei arrivato con le varie fasi che precedono la pubblicazione di un testo?

Hai già trovato una casa editrice o pensi di pubblicarlo in self-publishing?

Gabriele Glinni: Allora, premetto subito che il libro è stato concluso a dicembre 2020. O almeno, la prima stesura.

Avrei potuto tranquillamente pubblicarlo così com’era, ma mi sono rifiutato e ho cercato in lungo e largo un editor che mi convincesse.

Ho spulciato su Writer’s Dream e LinkedIn, e alla fine ho trovato un’agenzia e una professionista che rispecchiassero perfettamente il mio modo di lavorare e pensare: Progetto Scrittura (https://www.progettoscrittura.it/) e Sara Coradduzza.

Il preventivo era altino, ma ho accettato senza esitare.

Gabriele Glinni

Gabriele Glinni: Con Progetto Scrittura e Sara, nonostante ci vorrà tantissimo altro tempo per completare Ascend-ent, sto perfezionando il prodotto finale. Ovvero stiamo lavorando su refusi, resa grammaticale e struttura narrativa, modificando, rimuovendo e aggiungendo interi pezzi di storia. Un lavoraccio.

Devo dire, in totale onestà, se da una parte vedo il potenziale del lavoro, dall’altra è difficile accettare alcune “rivoluzioni” sul mio testo (ride, n.d.r).

Non è mai stato mio interesse il guadagno – tanto più il fornire un’opera finale che sia al massimo livello possibile. Che poi la leggeranno quattro gatti, amen. Voglio solo essere consapevole di aver pubblicato un ottimo libro.
Ciò detto, al momento di questa intervista stiamo revisionando il terzo capitolo (di circa 7-8).

L’obiettivo è pubblicare in self tramite Amazon. Un po’ perché non mi interessa stare a combattere appresso a case editrici, un po’ perché Ascend-ent come formato lo vedo di più come eBook. Non ce lo vedo troppo come romanzo classico.

Insomma, il punto è questo, voglio fare di testa mia senza troppe rotture di scatole, cercando di completare un romanzo divertente da leggere e che possa lasciare qualcosa. Niente più, niente meno.

Beh, mi sembri sicuramente deciso nei tuoi intenti… Ma, dimmi, invece, per quanto riguarda la copertina.

Gabriele Glinni

La foto che vediamo qui sarà la copertina definitiva del libro? 

Gabriele Glinni: No. L’immagine è un tentativo di copertina minimal da parte mia, editando e giocherellando, con Canva e Photoshop, con un disegno che ho commissionato. È un po’ come immaginavo la copertina definitiva e come vorrei fosse.

Preferisco un aspetto minimal che salti all’occhio, piuttosto di qualcosa di particolarmente elaborato.

Tu gestisci anche un blog, che si chiama Pillole di Folklore e Scrittura: com’è nato?

In quanti siete a gestirlo?

Gabriele Glinni: Pillole di Folklore e Scrittura (https://pilloledifolklore.org) è nato dalla mente del balzante che voleva riportare in auge un suo vecchio progetto, chiamato Pillole di Mitologia, poi fatto a pezzi da hacker malvagi.

Casualmente, nello stesso periodo in cui voleva aprire il blog, io stavo riscoprendo vecchie amicizie, tra cui quella di Alessandro, e mi sono imbarcato all’avventura con lui.
Inizialmente era un progettino che trattava unicamente di scrittura e folklore (per l’appunto), con un massimo di 2-3 articoli a settimana, e visitatori per mese che se raggiungevano il centinaio era un miracolo.

Poi piano piano ci sono stati alcuni cambiamenti, tra di questi:

  1. ho fatto unire la mia amica Ilenia, che si occupa di recensioni di libri
  2. per il motivo più bislacco ho iniziato a intervistare gente su hobby, studi, ecc., e quest’idea ha avuto molto successo
  3. abbiamo incrementato la quota degli articoli pubblicati per settimana
  4. abbiamo incrementato le piattaforme dove fare pubblicità, e in generale la pubblicità al blog stesso
  5. abbiamo fatto unire Martina Di Carlo (conosciuta da me su LinkedIn) che si occupa di articoli di traduzione, ed Elisa, una mia ex collega che si occupa di recensioni di videogiochi. 

Insomma, il blog si è evoluto moltissimo e ad oggi abbiamo un numero incredibile di visite!

Gli admin siamo Alessandro ed io, e i collaboratori sono: Ilenia, Elisa e Martina.

Ho avuto il piacere di essere anche io intervistata da te per il blog Pillole di Folklore e Scrittura, a proposito del mio libro.

Quand’è che hai deciso di riservare uno spazio del blog a interviste/recensioni di autori emergenti? 

Gabriele Glinni: Preparati a ridere.

Una delle prime interviste era una subdola strategia per attaccare bottone. L’esigenza era trovare una ragazza. Niente più, niente meno.

Poi comunque mi divertii, mi intrigava fare articoli dedicati ad amici e conoscenti, e così ho iniziato a chiedere in giro. Hanno accettato con piacere.

L’idea ha avuto trazione e, ad oggi, vengo contattato per scrivere interviste! Chi l’avrebbe mai detto?
In particolare, sono piaciute moltissimo quella a Orlando, a Yuri e a Vanessa.

Beh, sicuramente è stata un’idea interessante, la tua… Non ti nego che io stessa ne sto prendendo spunto per fare interviste, qui sul blog.

Parliamo adesso di te e del tuo percorso di vita.

Tu sei un mediatore linguistico. Che percorso di studi hai svolto?
Come mai hai deciso di intraprendere questa strada?

Gabriele Glinni: Allora, “mediatore linguistico” è un titolo di cui mi fregio perché, in realtà, sono molto più specializzato in traduzione che interpretariato.

Il mio percorso di laurea è infatti Traduzione e Interpretariato, con un master in Traduzione Cinetelevisiva e Sottotitolaggio, e tutto nasce dalla mia abilità con l’inglese.

L’inglese è sempre stato parte di me perché… non volevo aspettare le versioni italiane dei videogiochi (specie Pokémon), e quindi, versione americana dopo versione americana, mi sono fatto una cultura non indifferente. Aggiungiamoci telefilm, ore perse a litigare su reddit e forum online con stranieri, il tutto il lingua inglese, e ho imparato la lingua così.

I miei genitori mi hanno sempre molto spinto a studiare altre lingue. Conosco infatti bene il francese e il portoghese. So qualcosina di spagnolo e di russo.
Tornando al discorso principale, ecco, il problema è questo. 

Il lavoro di traduttore oggigiorno è non solo sottopagato, ma difficile da avere.
Devi vincere la lotteria per lavorare in-house e trovare tanti clienti come freelance è tutt’ora una leggenda urbana per me.

Girando su LinkedIn, la realtà che osservo è che TANTI laureati in lingua vacillano nel triste stato del coso verde “open to work”, con esperienze di lavoro che includono “traduttore freelance” dell’aria.

E vi dico la verità.

Purtroppo per conoscere le lingue non è necessaria una laurea. Nel senso che ho colleghi e amici ingegneri che le lingue le sanno bene, e pure meglio di un laureato in lingua. Perché essere laureati in lingua NON vuol dire automaticamente avere un C2 in tutte le lingue studiate.

Allora, chi sarei io? Il “tizio che sa più lingue di tutti” e che è capace di usarle a livello lavorativo, per la comunicazione interpersonale e la traduzione. Da qui il titolo di “Mediatore Linguistico”. 

A essere completamente sincero, col senno di poi avrei voluto studiare programmazione. Sapere usare Javascript e programmare funzionalità di siti internet. Ma sono cose che si capiscono tardi e non rimpiango nulla del mio percorso. Anche perché l’abilità linguistica è, COMUNQUE, sempre apprezzata e utile, e mai dire mai. Pubblicato Ascend-ent vorrei dedicare tempo alla programmazione.

Sapere le lingue è un qualcosa caduto in secondo piano.

Infatti, nell’azienda dove lavoro, mi è stato richiesto di lavorare a una traduzione ma come cosa secondaria rispetto al lavoro principale. Mi ha reso molto felice, ma, ecco, vi fa capire.

Gabriele Glinni

Parlando di lavoro, appunto…Nella situazione di enorme difficoltà che stiamo vivendo oggi nella ricerca di un lavoro, tu sei riuscito nell’impresa?

Hai trovato il lavoro per il quale hai dedicato anni di studio?

Gabriele Glinni: Nì.

No nel senso che non lavoro nell’ambito della traduzione, o comunque della scrittura creativa.
Sì nel senso che lavoro nell’ambito della comunicazione interpersonale, cosa che amo, e nell’ufficio si usa molto l’inglese.

Ma credo che, prima di tutto, bisogna essere in grado di adattarsi e accettare di imparare cose nuove (fino a un mese fa manco sapevo cosa fosse una cessione del quinto), anche perché il lavoro DIPENDE dal mercato e NON dalle nostre esigenze, ahimè. Poi… un’azienda intelligente saprà utilizzare TUTTE le capacità di un proprio dipendente.

La vedo così.

Bene, Gabriele Glinni, questa era l’ultima domanda!

Io ti ringrazio di essere stato qui, sul mio blog.

Hai dato spunti molto molto interessanti, su cui riflettere.
Ti faccio un grosso in bocca al lupo per la futura pubblicazione del tuo inedito “Ascend-ent” e… per tutto!

Grazie ancora! 

Gabriele Glinni: Grazie a te e in bocca al lupo a te, Martina.

È stato un piacere e senz’altro un onore.

Gabriele Glinni lo potete trovare anche qui.

Profilo social Gabriele Glinni: https://linktr.ee/Gabrieleglinni

Martina Vaggi

Photo Credit: foto di Gabriele Glinni, https://pixabay.com e https://www.canva.com

Autori emergenti

Giorgia Amantini: 10 domande all’autrice di ‘Vortice’ e ‘Muro contro Muro’

Un caro saluto ai lettori del mio blog!
Per questa nuova rubrica di collaborazioni intitolata “10 domande all’autore“, ad opera di “Pensieri surreali di gente comune”, abbiamo come ospite quest’oggi Giorgia Amantini, autrice emergente di due libri e regista teatrale per l’associazione culturale Arcadialogo di Nettuno.

Partiamo subito con le domande all’autrice.

Innanzitutto, saluto Giorgia Amantini e le do il benvenuto sul mio blog!

Iniziamo subito parlando di te e del tuo percorso: tu sei laureata in Management, economia, finanza e diritto d’impresa. Vedendo il percorso di studi da te intrapreso, mi viene da subito la curiosità di farti questa prima domanda.

Quand’è che ti sei avvicinata alla scrittura? 

Giorgia Amantini: Ciao Martina e grazie per avermi ospitato sul tuo blog, sono molto felice che tu mi abbia dato la possibilità di potermi esprimere e far conoscere ai tuoi lettori. Sì, a prima vista riesce difficile credere, vedendo il mio percorso di studi, che possa essermi dedicata alla scrittura. Ma questa passione l’ho scoperta quando avevo 17 anni, in seguito a un evento personale molto doloroso che ha dato modo di far esplodere tutto quello che avevo dentro proprio attraverso la scrittura medesima.

Giorgia Amantini

Amo la letteratura da sempre, ma la scrittura è qualcosa a cui mi sono avvicinata in giovane età anche grazie all’esperienza teatrale amatoriale, che mi ha permesso, poi, di spaziare e di affinare tecnicamente il mio modo di scrivere.

Scrivere sempre per poter scrivere sempre meglio.

E io la faccio, ormai, da vent’anni. Sperando di migliorare giorno dopo giorno.

Qual è stato il momento decisivo che ti ha spinto a pensare: “Voglio provarci: voglio pubblicare un libro”?

Giorgia Amantini: È stato un momento molto particolare, anche perché arrivato in ritardo rispetto a quando lo avevo sognato. Contando che la mia prima pubblicazione risale al 2018, si può capire quanto sia stata insicura e spaventata nel buttarmi a voler proporre un mio inedito a una casa editrice. Ciò che mi ha spinto a farlo è stata sicuramente una consapevolezza maggiore di me stessa.

Sai, a volte non sempre diamo a noi stessi il rispetto che meritiamo, diamo sempre importanza ad altro, facendolo diventare per necessità la nostra priorità.

Ecco, posso dire che in un momento non molto positivo che stavo vivendo nel 2018, sono riuscita a trovare la forza per dire basta e per dedicarmi finalmente a ciò che desideravo. È stato un tentativo che poi è riuscito, è scattato qualcosa dentro di me forse legato alla voglia di voler finalmente esprimere la mia interiorità, fino ad allora nascosta nei numerosi inediti che ho nel mio cassetto. E da lì, non mi sono più fermata.

Parliamo proprio del 2018, l’anno in cui hai pubblicato il libro “Vortice”, edito da Albatros Il Filo.

Potresti raccontarci di cosa parla il libro “Vortice”?

Giorgia Amantini: “Vortice” ha nel titolo tutto ciò che esprime. I sentimenti dei protagonisti, tutti anonimi, tutti quasi surreali, tutti legati alla loro inesorabile vita/non vita, ti trascinano nel vortice delle loro sensazioni più profonde e segrete. Soprattutto la mia Lei, una donna che non hai mai compreso fino in fondo di essere tale fino a quando non incontra in circostanze molto particolari questo Lui imperfetto, ma umano.

Vortice” è un monologo introspettivo dove ognuno si può riconoscere nei suoi tormenti personali. Non c’è spazio, non c’è tempo, non ci sono riferimenti: c’è solo un momento, un istante che si dilata nella storia diventando “la storia”, un momento che però cambierà per sempre la vita dei protagonisti, portandoli finalmente a scegliere di essere liberi. Nel bene e nel male.

Giorgia Amantini

Leggendo la sinossi, appare chiaro che si tratta di un’avvincente storia dai toni cupi e dai forti colpi di scena. Ma un aspetto mi ha incuriosita molto.

In “Vortice” c’è di mezzo anche una storia d’amore?

Puoi svelarci qualcosa, sotto questo aspetto?

Giorgia Amantini: Posso dirti che questa storia d’amore di cui parli, non è una storia d’amore convenzionale. Lei e Lui si amano, ma non di quel sentimento passionale e fisico che tutti conosciamo e raccontiamo, ma di un sentimento umano.

Entrambi, durante il loro incontro forzato, scoprono solidarietà, dolcezza, comprensione, come se quel momento che stanno vivendo li possa far redimere dal loro essere/non essere. Come se fino ad allora non avessero mai vissuto veramente, prigionieri di sé stessi: è nel loro conoscersi che trovano finalmente la chiave della propria libertà.

Ci sono dei momenti nel romanzo che fanno capire proprio questo, momenti molto profondi, ma sempre fortemente introspettivi.

Il libro su Amazon lo potete trovate qui:

Parliamo invece del tuo secondo libro, “Muro contro muro”, pubblicato nel 2020 con Argento Vivo Edizioni.

In questo libro sono trattati avvenimenti storici molto importanti e forti, come la caduta del Muro di Berlino e l’11 Settembre 2001: queste situazioni fanno solo da sfondo alla trama del libro o sono da te state approfondite lungo il racconto?

Ci vuoi raccontare che cosa ti ha spinto ad occuparti di realtà storiche così forti e a riportarle in un libro?

Giorgia Amantini: Amo la storia da sempre, molti la considerano noiosa, io, invece, la trovo appassionante. Ed è stata questa mia passione a spingermi a scrivere un piccolo romanzo storico come “Muro contro muro”. In realtà, l’idea di partenza era soltanto un atto unico teatrale che poi, in scrittura, è diventato qualcosa di più, trasformandosi in un racconto che attraversava ben venticinque anni di storia internazionale.

Le situazioni narrate sono legate soprattutto ai miei ricordi: nel 1989 avevo sei anni, nel 2001 ne avevo diciotto e ho potuto assistere, come tutti, in diretta televisiva a quanto stava succedendo, con una maturità e una consapevolezza ben diverse.

E proprio i miei ricordi, legati a un approfondimento degli eventi sopra narrati, si sono fusi perfettamente con la fantasia che mi ha dato modo, attraverso i personaggi protagonisti, di far emergere proprio la storia in quanto contesto e la storia in quanto filone narrativo. Tutti sono parte di essa, la costruiscono, la vivono, la soffrono, la cambiano, la redimono.

Berlino e New York sono due momenti fondamentali per la crescita dei protagonisti, ma lo sono stati anche per quella dell’autrice che dentro vi ha messo tutto ciò che ha provato, cercando di trascinare il lettore lì con sé, rendendolo a sua volta protagonista e non solo spettatore. Per non dimenticare ciò che siamo stati e ciò che potremmo diventare.

Giorgia Amantini

Parliamo dell’inedito “L’anno che verrà”.

Tu hai vinto il “Premio Speciale della Società Romantica” al Premio Nazionale di Narrativa “Jerome Salinger” – Città di Pescara – per l’anno 2019/2020, gareggiando con l’inedito “L’anno che verrà”. 

Vuoi raccontarci qualcosa su questo libro? 
Hai già trovato una casa editrice con la quale pubblicarlo?

Giorgia Amantini: Ti ringrazio per averne fatto menzione, questa è stata la più bella soddisfazione letteraria che abbia mai avuto (pubblicazioni a parte, ovviamente). Il libro è ancora inedito ed è attualmente iscritto a un altro concorso letterario che come premio ha proprio la pubblicazione. Ci spero molto, ma anche se non dovesse succedere, continuerei comunque a puntare su questo libro con altre case editrici perché lo considero un po’ il precursore degli altri due.

Anche se svincolato nelle tematiche, “L’anno che verrà” ha posto le basi per il mio stile di scrittura. Fino ad allora, rileggendomi, mi ero sempre piaciuta poco. Qui, invece, ho scoperto di poter andare oltre, di osare (sia sintatticamente che tematicamente), di poter raccontare una storia d’amore che sfida i tempi. 


Filippo e Virginia sono due ragazzi che nel Capodanno del 1975 vivono il loro amore e che, nel Capodanno di trentacinque anni dopo, si ritrovano a dover fare i conti con ciò che la vita ha riservato loro.
Quell’anno che doveva venire in gioventù, verrà dunque trentacinque anni dopo?

Lo scopriremo solo leggendo. Spero molto presto.

Giorgia Amantini

A proposito di pubblicazioni… Ho notato che, fino ad ora, hai sempre pubblicato con case editrici.

C’è mai stato un momento in cui hai pensato di rivolgerti al self publishing?

Giorgia Amantini: Il self publishing è sempre stato nei miei pensieri, ma mi manca una sola cosa: il tempo. Forse molti non lo sanno, ma c’è un lavoro enorme dietro, dall’apertura dell’account all’impaginazione del libro, dai collegamenti tecnici a quelli pratici e per una un po’ analogica come me la percezione del tempo da impiegare raddoppia!

Quindi ti dico che, avendo una trilogia che sto finendo di scrivere nel mio famoso cassetto, il self publishing molto presto lo farò. Non so quantificare questo “presto”, ma lo farò. Anche perché lo ritengo utile e molto ben strutturato soprattutto nella distribuzione. Le grandi piattaforme, ormai, ti danno tutto il supporto possibile al riguardo e quindi, sicuramente, molto presto arriverò anche io in questo mondo.

L’Associazione Culturale Arcadialogo di Nettuno

Tu sei anche regista teatrale amatoriale.
Ci racconti qualcosa a proposito dell’Associazione?  

Giorgia Amantini: L’Associazione è un’altra grande soddisfazione della mia vita. Sono tra i soci fondatori e quando è nata, nel 2007, eravamo tutti più giovani, più incoscienti e, sicuramente, più pazzi. È stata una scommessa vinta soprattutto dal punto di vista culturale perché non abbiamo portato in scena soltanto testi teatrali conosciuti, ma anche nostre produzioni.

Non è da tutti puntare sulla qualità di scrittura dei propri membri, eppure questa associazione ha creduto sempre di dover sponsorizzare culturalmente le idee e i progetti dei propri soci, proprio per farli crescere.

Oltre al teatro, abbiamo realizzato anche alcuni cortometraggi, partecipato a eventi sociali importanti (come la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che è un nostro grande appuntamento ormai dal 2011), concesso ai nostri soci di scrivere copioni teatrali e di rappresentarli.

Lo spirito culturale che pervade l’Arcadialogo è fortissimo e nessuno ha mai ostacolato la crescita dei propri membri. Ecco, credo che da fondatore non potevo augurarmi di meglio: ci siamo tolti tante soddisfazioni e tante ce ne toglieremo non appena tutto tornerà alla normalità. Speriamo presto.

Giorgia Amantini

Di quali spettacoli teatrali ti sei occupata, fino ad ora?

Giorgia Amantini: Come regista e attrice ho portato in scena due copioni teatrali, “Whisky, bugie e sottovesti” nel 2014 e “Shampoo a secco” nel 2015, due commedie di cui vado molto orgogliosa. Sempre nel 2015 ho curato un omaggio a Eduardo De Filippo, a Totò e alla musica napoletana portando in scena “Voce’e notte” che mi ha dato la gioia più grande che potessi desiderare da attrice amatoriale.

Inoltre, nel sociale, ho curato per la giornata internazionale contro la violenza sulle donnereading fotografici e teatrali di “Anime nel buio” nel 2011 (da cui ne ho tratto anche un corto) e di “Istantanima” nel 2012.

L’ultimo omaggio portato in scena è stato “Ciao Alda, Ciao amore” nel 2019 dedicato alla poetessa Alda Merini, legando la sua poesia con quella musicale di Luigi Tenco. Da allora, tantissimi progetti sono ancora fermi, nell’attesa di poter essere rappresentati. Grazie per avermi fatto rivivere in questo breve excursus circa dieci anni storia teatrale della mia vita! 

Ma oltre a questo, tu sei anche insegnante di Economia aziendale.

Qual è l’ambito nel quale Giorgia Amantini sente di dare il massimo di te stessa? 

Come scrittrice, come regista teatrale o nel tuo lavoro?

Giorgia Amantini: Prima ti rispondo professionalmente: do il massimo di me stessa sempre perché, come scrittrice, hai il dovere di colpire il lettore facendo in modo che lui si fidelizzi a te non solo perché ti conosce o ti stima, ma perché hai talento.

Giorgia Amantini

Come insegnante, hai in mano il destino non solo professionale ma umano dei tuoi studenti e devi guidarli passo passo a prendere coscienza di quanto valgono, perché la cultura è uno step fondamentale per renderli liberi da ogni pregiudizio o convinzione verso sé stessi e gli altri; come regista/attrice teatrale, hai il dovere di emozionarti e di far emozionare non solo il pubblico in sala, ma anche i tuoi compagni di scena, di instradarli e guidarli per raggiungere l’obiettivo finale che non è l’applauso del pubblico, ma la sua fidelizzazione.

Ora ti rispondo come donna: do il massimo di me stessa sempre, perché se non lo facessi, non mi sentirei in pace con me stessa e mi sentirei meno donna. Perché tutto ciò che faccio contribuisce alla mia identità non solo professionale, ma soprattutto personale. Sto bene quando scrivo, sto bene quando recito e dirigo, sto bene quando insegno. Sono tre dimensioni che fanno parte di me e quindi, da donna, mi migliorano e mi completano, rendendomi felice. 

Molto bene Giorgia Amantini, questa era l’ultima domanda e sono contenta di avertela fatta perché hai dato una risposta davvero ricca e densa di significato!

Grazie per averci raccontato di questa tua ricchissima esperienza!

Io ti ringrazio per essere stata con me sul mio blog… e ti auguro tanta fortuna per i tuoi prossimi libri, per i tuoi prossimi spettacoli e per il tuo lavoro! Le tre dimensioni della tua vita: tutte ugualmente importanti per te!

Giorgia Amantini: Grazie a te, di cuore.

Ma prima di salutarci, non dimenticare di lasciare qui sotto i tuoi recapiti social.

Recapiti di Giorgia Amantini

  • Dov’è possibile acquistare i libri di Giorgia Amantini: 

“Vortice”

www.amazon.it

“Muro contro muro”

www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=muro

www.amazon.it

  • Profilo Facebook di Giorgia Amantini: 

www.facebook.com/vorticegiorgiamantini

  • Profilo Instagram di Giorgia Amantini:

www.instagram.com/giorgia1983ama

  • Sito del blog dell’Associazione Arcadialogo di cui Giorgia Amantini fa parte:

www.arcadialogo.wordpress.com

Giorgia Amantini, Giorgia Amantini

Martina Vaggi

Photo credit: Giorgia Amantini e Pixabay (https://pixabay.com)

Il diario del silenzio

Scrivere e pubblicare un libro di testimonianze: l’ascolto attivo e l’importanza di fare delle liste

Che cosa provi mentre stai correndo una maratona? Mentre vedi il traguardo ancora troppo lontano da raggiungere e le gambe iniziano a farti male?
Non puoi dirlo in quel momento.
In quel momento la tua mente deve essere sgombra di pensieri, per permetterti di correre liberamente, senza condizioni. Quello che provi, o che hai provato in quegli istanti di fatica e sudore, lo capirai e sarai in grado di raccontarlo solo più avanti. A mente lucida.
È la stessa cosa che succede quando stai scrivendo un libro.

Apri Word e vedi quella pagina bianca davanti a te.
E senti in te quel bisogno, quella necessità di riempirla.
Sai che devi farlo.

Nel luglio 2020 è nata in me questa consapevolezza.
Era da più di un mese terminato il primo lockdown che tutti avevamo vissuto con gli stessi sentimenti: sgomento, dolore, rabbia, incredulità.
Perché non mettere quei sentimenti su carta? Perché non lasciare un segno di ciò che avevamo vissuto e provato, affinché altri, nel futuro, potessero leggerli e immedesimarsi in noi?

Ho iniziato il tutto in maniera innocente.
Prima ho pensato a cosa volevo esattamente esprimere: volevo ascoltare varie persone e le loro storie riferite a quel folle lasso di tempo che aveva lasciato cicatrici indelebili su ognuno di noi.
Cominciai facendo una lista.
Tutto partì con un foglio di carta dove io appuntai tre riferimenti:

Volevo raccontare storie.
Dovevo contattare persone disponibili a raccontarmele.
Il tutto, nel più breve tempo possibile.

Il lockdown era terminato da poco e io non avevo la minima idea che potesse ripresentarsi un’emergenza sanitaria di lì a pochi mesi.
Credevo di dover fare tutto alla svelta, altrimenti l’argomento non sarebbe più stato molto attuale, dopo.

Così, partì la mia ricerca.
La ricerca di date, avvenimenti, di persone e aziende che potessero darmi una mano nel realizzare il mio progetto.

Nonostante i miei dubbi, trovai molte persone disposte a raccontarmi di loro.
E quel foglio dove io mi ero appuntata quei primi tre riferimenti, ben presto divenne una vera e propria lista.
Una lista di persone da intervistare.


All’inizio tutto partì così.
Ma… ben presto, dopo le prime interviste, mi resi conto di una cosa.

Quelle persone non erano cavie.
Erano testimonianze di un periodo storico mai vissuto prima.
E io non dovevo intervistarle.
Dovevo ascoltarle.
Immedesimami in loro, in tutte quelle parole che sgorgavano senza un freno.

In tutti quei sentimenti che trapelavano da ogni movimento inconscio delle mani, del loro sguardo.

La prima persona che ascoltai fu un paziente della Toscana, che era stato ricoverato in terapia intensiva per due settimane.
Io non lo conoscevo, non l’avevo mai visto prima.
Era stato un mio amico a darmi il suo contatto.
Mi parlò al telefono per due ore e mezza.
Credo di non aver mai ascoltato per così tanto tempo e con così tanta attenzione una persona in tutta la mia vita.
Il flusso di parole era così impetuoso e continuo, che quasi mi dispiaceva interromperlo con le mie domande.

Ogni volta che ascoltavo una testimonianza cercavo di non interromperla perché non volevo rovinare quel flusso di emozioni.
Il problema era che avevo bisogno di un quadro cronologico chiaro e quindi di date, di periodi, per poter poi incanalare tutto questo in una sorta di “diario”, dove ogni racconto avrebbe avuto la sua data in cui poter circoscrivere la sua storia.

La cosa strana era che avevo sempre pensato di non essere all’altezza di fare nulla nella mia vita.
Ho sempre pensato che non avrei mai potuto scrivere un libro, nonostante avessi scritto praticamente da sempre: sui giornali, su testate digitali, sul mio blog.
Come posso io rendere appieno un’esperienza vissuta da un’altra persona?
Questo mi chiedevo, continuamente.
Eppure, man mano che andavo avanti in questo percorso, capii una cosa.

L’ascolto è la chiave.
Se vuoi davvero conoscere la storia di una persona, devi ascoltarla.
E non mi riferisco a quell’ascolto di cui facciamo uso tutti, tutti i giorni: concedere all’altra persona di parlare solo per poter dare noi una risposta.
Quello non è ascoltare.
È attendere il proprio turno, esattamente come facciamo ogni volta che siamo in coda per salire sul treno.

Il vero ascolto è quello attivo.
Quello che prescinde da ogni giudizio.
Questo è l’ascolto che ti permette di entrare nella vita delle persone e di cogliere sfumature in loro che neanche loro sanno di avere.
Questo è l’ascolto che esercitai per poter immedesimarmi nelle storie di quelle persone e scrivere il libro.

Questo mi portò un arricchimento personale impagabile.

Dopo neanche un mese dall’inizio del mio percorso, ero entrata in una sorta di limbo.
Stavo sperimentando quello che gli psicologi chiamano “Flow“, cioè “Flusso”.
Ovvero: uno stato di coscienza dove la persona è completamente coinvolta nell’attività che sta svolgendo.

Ricordo che la mia vita andava avanti come se niente fosse, ma io ne ero quasi estranea.
In quei momenti pensavo: “Ogni volta che cammino per la strada, ogni volta che vado a lavoro, ogni volta che mi addormento alla sera, sto pensando al libro: a chi ascoltare, a chi coinvolgere, a come fare per farlo crescere.

Il fatto è che la mia vita, in quel momento, era un vero casino.
Da anni non avevo grandi soddisfazioni personali a cui attingere.
In più, il mio fidanzato aveva ricevuto una promozione, si era trasferito al sud e noi ci eravamo lasciati.
Stavo soffrendo.
E per la prima volta riuscii a usare quella sofferenza per fare qualcosa di produttivo.

I percorsi si fanno con i “nonostante.
Non con i “se” e con i “ma”.
Con quelli non si va da nessuna parte.
Un percorso si fa nonostante tu stia male.
Nonostante tu sia delusa
.
Nonostante in te alberghi sofferenza.

Perché puoi comunque trovare la strada per vedere la gioia.
Che è ovunque il nostro occhio sia disposto a scovarla.

Nello scrivere un libro, una volta che la prima stesura è terminata, si chiude una porta e se ne aprono mille.
Come devo procedere ora?“, mi chiesi.
Una lista. Dovevo fare un’altra lista.

Il 22 ottobre 2020 fu la prima volta che vidi il mio libro online.
Come titolo scelsi “Il diario del silenzio“.
Il sottotitolo fu “Storie reali di quarantena“.
All’inizio, quando lo guardai per la prima volta, io vidi solo il mio nome.
Credo che capiti a tutti, soprattutto alla prima pubblicazione.

Solo dopo alcune settimane dalla pubblicazione iniziarono ad accadere delle cose.
Il libro si stava diffondendo, soprattutto a livello locale.
Trattando di storie reali e, perlopiù, di storie dov’era presente molta sofferenza, si presentarono alla mia porta alcune situazioni.

Una signora del paese fermò mia mamma al supermercato per farle i complimenti.
Le disse: “Ho letto il libro di sua figlia”, poi scoppiò a piangere. E mia mamma, con lei.
Il tutto davanti al banco dei salumi.
Alcune persone che avevo ascoltato iniziarono a portare il libro a lavoro, nei reparti dell’ospedale e a parlarne.
Un passante del mio paese, un giorno, mi fermò per strada e e mi disse: “Sai che quando l’ho letto ho pianto per una notte intera?”.
La mamma di una mia coscritta mi mandò a casa dei fiori: avevo deciso di inserire sua figlia, deceduta giovane in un incidente, in un racconto del libro. L’avevo descritta esattamente come era da viva: una bella ragazza solare, con una straordinaria voglia di vivere.
Ho pensato che anche se una persona non può più vivere su questa terra, può comunque vivere per sempre in un racconto.
D’altronde, la scrittura, serve a questo. A lasciare una traccia.
Il giorno in cui mi arrivarono a casa quei fiori, trovai anche un biglietto, scritto dalla mamma della mia coscritta.
Quel giorno ho pianto senza riuscire a fermarmi.

Succedevano cose molto belle, in continuazione.
Ma tutte queste cose non riguardavano me.

Non ero io il centro di quel turbine.
Erano le altre persone.
E in quel momento mi sono resa conto che non era il mio nome la cosa più importante di quel libro.
Erano tutte le altre persone al quale era legato.
Da quel momento in poi, smisi di focalizzarmi sul mio nome in copertina
.

Divenne una priorità per me fare in modo che le persone parlassero del libro.
Ma in che modo dovevo muovermi?


In qualche modo, fare quelle liste mi aiutava ad organizzare la giornata.
Riuscivo sempre a portare a termine ciò che mi ero scritta e ad ottenere anche dei buoni risultati.

Nel giro di due mesi avevo venduto circa cinquecento copie, tra eBook e print on demand.
Avevo ottenuto un buon numero di recensioni, tutte positive.
Dopo tre mesi, il mio libro era primo nella classifica IBS.it degli eBook più regalati dell’anno.
Forse per alcuni sembrerà poco. Per altri, sembrerà tanto.
Per me non era né tanto né poco: erano semplicemente obbiettivi che mi ero prefissata di raggiungere.
Mi limito a riportare quanto è successo e quanto ho ottenuto, sapendo di averci messo tutta me stessa.

Poco dopo che il libro venne pubblicato, mia mamma mi disse: “Sei fortunata che hai trovato persone che ti fanno pubblicità, che ti organizzano presentazioni, che ci tengono a parlare del libro.”
Ma io sapevo che la fortuna, in realtà, non c’entrava molto.

Quando lavori su un tuo progetto, quando sei tu a cercare i contatti, a creare legami,
a fare in modo che le persone credano in quello che stai facendo anche più
di quanto ci creda tu, non è fortuna.
Semplicemente avevi chiaro un obbiettivo: ci hai lavorato su e hai ottenuto dei risultati.
Fine.

Nel processo di scrittura e pubblicazione di un libro, tutti pensano che scriverlo sia la fase più difficile.
Le persone credono che sia quello il vero e duro lavoro e, in effetti, prima di pubblicarlo anche io la pensavo così.
Scrivere in effetti non è semplice.
Assemblare tutti i pensieri fino a dar loro la forma di un libro, lo è ancora meno.

La verità è che, quando il libro venne pubblicato, io ebbi in qualche modo la percezione che il duro lavoro iniziasse in quel momento.
E, effettivamente, questo fu ciò che avvenne.

Dopo la pubblicazione, se non hai una casa editrice alle spalle, devi organizzarti tu.
Quello è il momento in cui cerchi i contatti con persone disposte a parlare del tuo libro sui loro blog, sui giornali: ricerchi interviste, recensioni.
Crei tu stesso dei contatti che poi mantieni.
In che modo?
Con la gentilezza. Con la consapevolezza che niente ci è dovuto da nessuno.
E con l’uso di due semplici parole, delle quali a volte scordiamo l’esistenza: per favore e grazie.
Ma in tutto questo c’era anche qualcos’altro.
In qualche modo, l’aver pubblicato un libro fece maturare in me una consapevolezza.

Io non ero nessuno.
E il fatto di aver pubblicato un libro con il mio nome sopra non faceva di me qualcuno.

In Italia, ogni giorno, vengono pubblicati circa duecento libri.
Ogni giorno. Duecento libri.
Quindi… per come la vedo io, siamo tutti dei “nessuno”.
Tutti noi siamo dei nessuno per il mondo, o per le altre persone.

La soluzione non è cercare di essere qualcuno per gli altri.
Agli altri non frega nulla di noi.
La cosa giusta da fare è cercare di essere qualcuno per noi stessi.

Dunque… dov’ero rimasta?
Ah si, giusto: mantenere dei contatti.
Beh, il passo successivo, almeno per me, fu quello di cercare concorsi letterari e fiere online a cui iscrivere il libro.
Ho creato anche un booktrailer. Anche solo per mettermi alla prova.
E poi… ho cercato di guardare al futuro.
Avendo sempre in mente un obbiettivo.
Il che mi riporta a quest’ultima lista che ho fatto un mese fa:

… Su questi ultimi due punti ci sto ancora lavorando.

Martina Vaggi

Photo credit immagine in evidenza: http://booklovers105.blogspot.com/2020/12/recensione-il-diario-del-silenzio.html

Altre immagini: create su Canva.




Il diario del silenzio

“Il diario del silenzio”: scrivere e pubblicare un libro di testimonianze

Che cosa provi mentre stai correndo una maratona? Mentre vedi il traguardo ancora troppo lontano da raggiungere e le gambe iniziano a farti male?

Non puoi dirlo in quel momento.
In quel momento la tua mente deve essere sgombra di pensieri, per permetterti di correre liberamente, senza condizioni. Quello che provi, o che hai provato in quegli istanti di fatica e sudore, lo capirai e sarai in grado di raccontarlo solo più avanti. A mente lucida.

È la stessa cosa che succede quando stai scrivendo un libro.
La stessa cosa accadde a me quando scrissi “Il diario del silenzio – Storie reali di quarantena“.

Il diario del silenzio

Scrivere un libro: l’importanza di fare delle liste

Nel luglio 2020 è nata in me questa consapevolezza.
Era da più di un mese terminato il primo lockdown che tutti avevamo vissuto con gli stessi sentimenti: sgomento, dolore, rabbia, incredulità.

Perché non mettere quei sentimenti su carta?
Perché non lasciare un segno di ciò che avevamo vissuto e provato, affinché altri, nel futuro, potessero leggerli e immedesimarsi in noi?

Ho iniziato il tutto in maniera innocente.
Prima ho pensato a cosa volevo esattamente esprimere.
Che cosa avrei voluto rappresentare con “Il diario del silenzio“?

Volevo ascoltare varie persone e le loro storie riferite a quel folle lasso di tempo che aveva lasciato cicatrici indelebili su ognuno di noi.

Cominciai facendo una lista.
Tutto partì con un foglio di carta dove io appuntai tre riferimenti:

Il diario del silenzio

Volevo raccontare storie.
Dovevo contattare persone disponibili a raccontarmele.
Il tutto, nel più breve tempo possibile.

Il lockdown era terminato da poco e io non avevo la minima idea che potesse ripresentarsi un’emergenza sanitaria di lì a pochi mesi.
Credevo di dover fare tutto alla svelta, altrimenti l’argomento non sarebbe più stato molto attuale, dopo.

Così, partì la mia ricerca.
La ricerca di date, avvenimenti, di persone e aziende che potessero darmi una mano nel realizzare “Il diario del silenzio“.

Nonostante i miei dubbi, trovai molte persone disposte a raccontarmi di loro.
E quel foglio dove io mi ero appuntata quei primi tre riferimenti, ben presto divenne una vera e propria lista.

Una lista di persone da intervistare.

Il diario del silenzio


All’inizio tutto partì così.
Ma… ben presto, dopo le prime interviste, mi resi conto di una cosa.

“Il diario del silenzio”: l’ascolto attivo delle testimonianze

Quelle persone non erano cavie.
Erano testimonianze di un periodo storico mai vissuto prima.
E io non dovevo intervistarle.
Dovevo ascoltarle.
Immedesimami in loro, in tutte quelle parole
che sgorgavano senza un freno.
In tutti quei sentimenti che trapelavano da ogni
movimento inconscio delle mani, del loro sguardo.

La prima persona che ascoltai fu un paziente della Toscana, che era stato ricoverato in terapia intensiva per due settimane.
Io non lo conoscevo, non l’avevo mai visto prima.
Era stato un mio amico a darmi il suo contatto.
Mi parlò al telefono per due ore e mezza.

Credo di non aver mai ascoltato per così tanto tempo e con così tanta attenzione una persona in tutta la mia vita.

Il flusso di parole era così impetuoso e continuo, che quasi mi dispiaceva interromperlo con le mie domande.

Il diario del silenzio

Ogni volta che ascoltavo una testimonianza
cercavo di non interromperla perché non
volevo rovinare quel flusso di emozioni.
Il problema era che avevo bisogno di un
quadro cronologico chiaro e quindi di date,
di periodi, per poter poi incanalare tutto questo
in una sorta di “diario”, dove ogni racconto
avrebbe avuto la sua data in cui poter circoscrivere la sua storia.

La cosa strana era che avevo sempre pensato di non essere all’altezza di fare nulla nella mia vita.

E invece… ho scritto “Il diario del silenzio“. Chi l’avrebbe mai pensato?
Non io.

Non io, che ho sempre pensato che non avrei mai potuto scrivere un libro, nonostante avessi scritto praticamente da sempre: sui giornali, su testate digitali, sul mio blog.
Come posso io rendere appieno un’esperienza vissuta da un’altra persona?
Questo mi chiedevo, continuamente.
Eppure, man mano che andavo avanti in questo percorso, capii una cosa.

Il diario del silenzio

L’ascolto è la chiave.

Se vuoi davvero conoscere la storia di una persona, devi ascoltarla.

E non mi riferisco a quell’ascolto di cui facciamo uso tutti, tutti i giorni: concedere all’altra persona di parlare solo per poter dare noi una risposta.
Quello non è ascoltare.
È attendere il proprio turno, esattamente come facciamo ogni volta che siamo in coda per salire sul treno.

Il vero ascolto è quello attivo.
Quello che prescinde da ogni giudizio.
Questo è l’ascolto che ti permette di entrare nella vita delle persone e di cogliere sfumature in loro che neanche loro sanno di avere.
Questo è l’ascolto che esercitai per poter immedesimarmi nelle storie di quelle persone e scrivere il libro.
Questo mi portò un arricchimento personale impagabile.

Il flusso di coscienza dello scrittore

Dopo neanche un mese dall’inizio della prima stesura di “Il diario del silenzio“, ero entrata in una sorta di limbo.
Stavo sperimentando quello che gli psicologi chiamano “Flow“, cioè “Flusso”.
Ovvero: uno stato di coscienza dove la persona è completamente coinvolta nell’attività che sta svolgendo.

Il diario del silenzio

Ricordo che la mia vita andava avanti come se niente fosse, ma io ne ero quasi estranea.
In quei momenti pensavo:

Ogni volta che cammino per la strada,
ogni volta che vado a lavoro,
ogni volta che mi addormento alla sera,
sto pensando al libro: a chi ascoltare,
a chi coinvolgere, a come fare per farlo crescere.

Il fatto è che la mia vita, in quel momento, era un vero casino.
Da anni non avevo grandi soddisfazioni personali o lavorative a cui attingere.
In più, il mio fidanzato aveva ricevuto una promozione, si era trasferito al sud e noi ci eravamo lasciati.
Stavo soffrendo.

E per la prima volta ci riuscii: riuscì ad usare la sofferenza per fare qualcosa di produttivo.

Anche da quella sofferenza nacque “Il diario del silenzio“.
Questo mi fece prendere consapevolezza di una cosa.

I percorsi si fanno con i “nonostante.
Non con i “se” e con i “ma”.
Con quelli non si va da nessuna parte.

Un percorso si fa nonostante tu stia male.
Nonostante tu sia delusa.
Nonostante in te alberghi sofferenza.
Perché puoi comunque trovare la strada per vedere la gioia.
Che è ovunque il nostro occhio sia disposto a scovarla.

Scrivere un libro: cosa fare dopo che la prima stesura è terminata

Nello scrivere “Il diario del silenzio“, una volta che la prima stesura fu terminata, si chiuse una porta e se ne aprirono altre mille.
Come devo procedere ora?“, mi chiesi, in quel momento.
Una lista. Dovevo fare un’altra lista.

Il diario del silenzio

Il 22 ottobre 2020 fu la prima volta che vidi il mio libro online.
Come titolo scelsi, appunto, “Il diario del silenzio“.
Il sottotitolo fu “Storie reali di quarantena“.

All’inizio, quando guardai il mio libro per la prima volta,
io vidi solo il mio nome.
Credo che capiti a tutti, soprattutto se è il primo libro.

Solo dopo alcune settimane dalla pubblicazione iniziarono ad accadere delle cose.
Il diario del silenzio” si stava diffondendo, soprattutto a livello locale.
Trattando di storie reali e, di racconti dov’era presente molta sofferenza, si presentarono alla mia porta alcune situazioni.

Una signora del paese fermò mia mamma al supermercato per farle i complimenti.
Le disse: “Ho letto il libro di sua figlia“, poi scoppiò a piangere.
E mia mamma, con lei.
Il tutto davanti al banco dei salumi.

Alcune persone che avevo ascoltato iniziarono a portare il libro a lavoro, nei reparti dell’ospedale e a parlarne.
Un passante del mio paese, un giorno, mi fermò per strada e mi disse: “Sai che quando ho letto ‘Il diario del zilenzio‘ ho pianto per una notte intera?“.

La mamma di una mia coscritta mi mandò a casa dei fiori: avevo deciso di inserire sua figlia, deceduta giovane in un incidente, in un racconto del libro. L’avevo descritta esattamente come era da viva: una bella ragazza solare, con una straordinaria voglia di vivere.

Ho pensato che anche se una persona non può più vivere su questa terra, può comunque vivere per sempre in un racconto.

La scrittura, serve a questo. A lasciare una traccia.

Il giorno in cui mi arrivarono a casa quei fiori, trovai anche un biglietto, scritto dalla mamma della mia coscritta.
Quel giorno ho pianto senza riuscire a fermarmi.

Succedevano cose molto belle, in continuazione.
Ma tutte queste cose non riguardavano me.

Non ero io il centro di quel turbine.
Erano le altre persone.

E in quel momento mi sono resa conto che non era il mio nome la cosa più importante di “Il diario del silenzio“.
Erano tutte le altre persone al quale il libro era legato.

Da quel momento in poi, smisi di focalizzarmi sul mio nome in copertina.

“Il diario del silenzio”: cosa fare dopo averlo pubblicato

Divenne una priorità per me fare in modo che le persone parlassero del libro.
Ma in che modo dovevo muovermi?

Il diario del silenzio


In qualche modo, fare quelle liste mi aiutava ad organizzare la giornata.
Riuscivo sempre a portare a termine ciò che mi ero scritta e ad ottenere anche dei buoni risultati.

Nel giro di due mesi avevo venduto circa cinquecento copie, tra eBook e print on demand.
Avevo ottenuto un buon numero di recensioni, tutte positive.
Dopo tre mesi, “Il diario del silenzio” era primo nella classifica IBS.it degli eBook più regalati dell’anno.

Forse per alcuni sembrerà poco. Per altri, sembrerà tanto.
Per me non era né tanto né poco: erano semplicemente obbiettivi che mi ero prefissata di raggiungere.
Mi limito a riportare quanto è successo e quanto ho ottenuto, sapendo di averci messo tutta me stessa.

Poco dopo che “Il diario del silenzio” venne pubblicato, mia mamma mi disse: “Sei fortunata che hai trovato persone che ti fanno pubblicità, che ti organizzano presentazioni, che ci tengono a parlare del libro.
Ma io sapevo che la fortuna, in realtà, non c’entrava molto.

Quando lavori su un tuo progetto, quando sei tu a cercare i contatti, a creare legami,
a fare in modo che le persone credano in quello che stai facendo anche più
di quanto ci creda tu, non è fortuna.
Semplicemente avevi chiaro un obbiettivo: ci hai lavorato su e hai ottenuto dei risultati.
Fine.

Nel processo di scrittura e pubblicazione di un libro, tutti pensano che scriverlo sia la fase più difficile.
Le persone credono che sia quello il vero e duro lavoro e, in effetti, prima di pubblicare “Il diario del silenzio” anche io la pensavo così.
Scrivere in effetti non è semplice.
Assemblare tutti i pensieri fino a dar loro la forma di un libro, lo è ancora meno.

La verità è che, quando il libro venne pubblicato, io ebbi in qualche modo la percezione che il duro lavoro iniziasse in quel momento.
E, effettivamente, questo fu ciò che avvenne.

Il diario del silenzio

“Il diario del silenzio”: i book blogger, i contatti, le recensioni

Dopo la pubblicazione de “Il diario del silenzio“, non avendo io una casa editrice alle spalle, mi sono organizzata io.
Quello è il momento in cui ho cercato i contatti con persone disposte a parlare del tuo libro sui loro blog, sui giornali: ricerchi interviste, recensioni.
Crei tu stesso dei contatti che poi mantieni.
In che modo?

Con la gentilezza. Con la consapevolezza che niente ci è dovuto da nessuno.
E con l’uso di due semplici parole, delle quali a volte scordiamo l’esistenza: per favore e grazie.
Ma in tutto questo c’era anche qualcos’altro.
In qualche modo, l’aver pubblicato un libro fece maturare in me una consapevolezza.

Io non ero nessuno.
E il fatto di aver pubblicato un libro
con il mio nome sopra non faceva di me qualcuno.

In Italia, ogni giorno, vengono pubblicati circa duecento libri.

Ogni giorno. Duecento libri. “Il diario del silenzio” era solo uno di questi.
Quindi… per come la vedo io, siamo tutti dei “nessuno”.
Tutti noi siamo dei nessuno per il mondo, o per le altre persone.

Dunque… dov’ero rimasta?
Ah si, giusto: mantenere dei contatti.
Il passo successivo, almeno per me, fu quello di cercare concorsi letterari e fiere online a cui iscrivere “Il diario del silenzio“.

Creare anche un booktrailer. Anche solo per mettermi alla prova.
E poi… guardare al futuro.
Avendo sempre in mente un obbiettivo.
Il che mi riporta a quest’ultima lista che ho fatto un mese fa:

Il diario del silenzio

… Su questi ultimi due punti ci sto ancora lavorando.

Martina Vaggi

Photo credit immagine in evidenza: “Il diario del silenzio” di http://booklovers105.blogspot.com/2020/12/recensione-il-diario-del-silenzio.html

Altre immagini: Pixabay e Canva e “Il diario del silenzio” di Martina Vaggi.