Riflessioni

Il tuo posto nel mondo

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E’ come una sensazione sotto pelle che non ti abbandona mai.
Si fa presente al mattino, appena apri gli occhi. In quel momento la avverti.
Si manifesta e si fa strada nei tuoi pensieri.
Rimani a guardare il soffitto per minuti, che a volte sembrano ore.
Poi ti alzi e inizi la giornata. E non ci pensi.
La seppellisci in profondità dentro di te. Come tutto quello che senti e che hai imparato a non manifestare davanti a chi non può capire i sentimenti o le emozioni.
Si disgrega tra il lavoro, la compagnia di altre persone, le ore passate al di fuori, gli impegni quotidiani sui libri.
Ma non se ne va, e forse non se ne andrà mai.

Ma è sempre lì ad aspettarti ad ogni risveglio. Lieve, leggera ma incisiva, va dritta in profondità.
La tristezza.
E’ sempre lì accanto a te quando apri gli occhi. Assieme a quella sensazione di vuoto, che per un istante ti fa dire: “Cosa sto facendo?”.
Si dice che abbiamo due vite e che iniziamo davvero a vivere quando realizziamo per quale scopo siamo nati.
Allora la tristezza significherebbe sentirsi come se ancora non avessimo capito qual è il nostro posto nel mondo.
Ma se tu avessi già capito qual è il tuo scopo in questa vita e non riuscissi a realizzarlo?
Forse la tristezza che provi è anche questo.
Forse è così che ci sentiamo quando non stiamo facendo ciò per cui siamo nati, non stiamo adempiendo al nostro scopo su questa terra.

Forse è un modo per la nostra mente di spingerci a provare un’altra via, ancora un’altra, pur di mantener vivo quel sogno, pur di volerlo rincorrere ancora, fino a quando c’è ancora vita per poterlo fare.
Forse non lo raggiungeremo mai e la tristezza allora non se ne andrà.
Ma possiamo davvero correre il rischio di non provarci?

Martina Vaggi

Photo credit: https://it.depositphotos.com
Riflessioni

La nave sta affondando, abbandonate la nave!

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Si dice che tutti dovremmo avere una vita vista mare.
Ma chi lo dice, probabilmente non ha mai avuto l’occasione di abitare in un tranquillo e pacifico posticino di campagna.
Non so chi fu il primo a scrivere questa frase, né ho ancora capito cosa significhi: per me il mare ha sempre rappresentato un oscuro contenitore di creature mostruose, nel quale è preferibile inabissarsi solo in acque poco profonde, possibilmente prossime alla riva.
Per quello che mi ricordo, almeno. Non vedo il mare da un bel po’.
C’è una cosa, però, che ricordo. Il mare fa riflettere. Ti aiuta a rilassare la mente, e, qualche volta, se sei fortunato, anche a riordinare i pensieri.
Quando ero più piccola (e frequentavo il mare molto più di ora) ricordo che sedevo lì, sullo scoglio più alto di quella spiaggia dove io e mamma andavamo sempre. Mi mettevo lì seduta con quel bikini colorato che faceva da contrasto a un’abbronzatura da 8 ore di sole non-stop. Stavo lì e guardavo il mare per ore.
Ma avrei potuto tranquillamente guardarlo anche per giorni.
Vedevo le onde infrangersi contro gli scogli, poi ritirarsi, prendere di nuovo la rincorsa, e, di nuovo, infrangersi con più forza di prima. Certo, l’epilogo era sempre quello, per loro: però io ammiravo la forza con cui l’onda ripeteva quel gesto e andava a morire lì dov’era destinata.
Forse è un po’ tutto destinato. Tutto ci viene dato in natura e dalla natura e, contro questa legge naturale, appunto, nessuno di noi può far nulla. Non possiamo lottare, ma non possiamo nemmeno arrenderci, dal momento che quella in cui viviamo e la nostra vita. Forse possiamo essere un po’ come quelle onde che ripetono, ogni secondo e ogni giorno, la stessa azione.
Ma se la vita ci stesse dando quello di cui abbiamo bisogno ma non quello che noi vorremmo davvero, noi come potremmo mai saperlo? Se la nostra vita stesse andando alla deriva, come una nave che affonda, di notte, senza alcuna luce, come potremmo noi sapere se intorno ci sono scogli a cui aggrapparsi o se tutto quanto è destinato a finire… lì?
Nessuno sa. Così come il capitano del Titanic non vide quell’iceberg, così non possiamo vedere noi più in là dei nostri stessi pensieri.
Siamo come bottiglie di vetro in balia delle onde, con un bel messaggio infiocchettato che magari nessuno leggerà mai.
In quelle ore in cui sedevo sugli scogli, il mare era capace di calmare la mia mente. Ma, a pensarci bene, non c’era poi molto da calmare.
Se oggi mi sedessi sugli stessi scogli a guardare nello stesso punto, non riconoscerei nulla. Né il mare, né la spiaggia, probabilmente non ricorderei nemmeno nulla delle cose successe lì. Non riuscirei a ricordare neppure me stessa.
E se guardassi al mare per avere un po’ di conforto… Non basterebbe nemmeno l’oceano a calmare il casino che ho in testa.
Ma al mare ci guarderei comunque. Guarderei a quelle onde così fiere e maestose e sarei fiera di loro e del loro continuo lottare.
Perché guardare loro sarebbe un po’ come guardare me stessa.
E se la nave davvero è destinata ad affondare… Beh, per il momento non si può sapere.
Ad oggi non è ancora affondata ma… sicuramente ha iniziato ad imbarcare un bel po’ d’acqua!

Martina Vaggi