Riflessioni

Il dubbio che indurisce il cuore, la sincerità che lo riscalda

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Ci sono alcune cose che ho imparato in questi miseri 25 anni di rapporti umani con le persone. La prima è che tutte noi tendiamo a sottovalutare una delle cose più importanti che abbiamo a disposizione gratuitamente: la comunicazione. La seconda è che la sincerità è passata di moda da quando le persone si sono rese conto che il dubbio poteva rivelarsi, alla lunga, molto più intrigante da provare.
Ma andiamo con ordine.
Si dice che spesso e volentieri il problema del comunicare risieda nel fatto che noi non ascoltiamo per capire realmente quello che l’altra persona ha da dirci, ma piuttosto per rispondere. Come se fossimo sempre più interessati alle parole che noi abbiamo da dire e non a quelle che ci ritroviamo ad ascoltare.
Il che è un bel problema. Prima di tutto perché ogni tipo di rapporto si basa sulla comunicazione. Ma, soprattutto, perché tutto quello che noi pensiamo, proviamo, vorremmo fare ma alla fine non facciamo, lo possiamo sapere solo noi.
E l’unico modo che abbiamo per farci conoscere davvero è comunicare ciò che pensiamo, proviamo, vorremmo fare ma alla fine non facciamo.
Così, a volte, può succedere di fare un tentativo. Può succedere di ritrovarsi a comunicare alla persona che abbiamo di fronte ciò che vogliamo: a parole, a gesti o per iscritto. E pensiamo quindi che questo risolva il problema. Pensiamo perfino che le persone così facendo possano capirci.
Ma purtroppo, a volte neanche questa soluzione funziona.
Questo perché oggi le persone hanno bisogno di mistero, di incoerenze tramutate in gesti, di pensieri ingarbugliati da sgarbugliare. Più che di sicurezze, sembra che oggi le persone abbiano bisogno di incertezze. Vogliono il problema e non la soluzione facile. Vogliono il dubbio, che è quanto di più attraente ci sia. Perché il dubbio ti lascia appeso ad un filo, ti dà speranza che qualcosa possa succedere ma anche il brivido che quel qualcosa non accadrà mai. E quindi ti porta a desiderare di più quella cosa, a lottare per averla.
Quante volte ci siamo avvicinati di più a qualcosa che ci sembrava inafferrabile? E quante altre volte, invece, abbiamo lasciato perdere ciò che era a portata di mano?
Succede. Così come succede che, alla fine di questa triste storia, qualcuno si faccia male. Solitamente un po’ tutti noi, alla ricerca di un sentimento, una persona o un obbiettivo che ci attrae solo perché ci sfugge.
E qui arriviamo al secondo punto: la sincerità.
Spesso ci lamentiamo di non trovare più persone sincere al giorno d’oggi, giusto? Ci lamentiamo di incontrare sempre persone che ci lasciano in bilico, come equilibristi, su fili invisibili di sentimenti e sensazioni. E ci stupiamo pure di quando questo nostro giro di giostra ci porti a ruzzolare giù per un burrone.
Ma noi non siamo equilibristi (non di mestiere, almeno), e questo lo sapevamo: come mai allora ci sorprendiamo di cadere, sempre, nella solita trappola?
Forse perché, per quanto sia assurdo, vogliamo essere lasciati in sospeso. Perché, per quanto sia difficile ammetterlo, siamo un po’ tutti incontentabili. Desideriamo avere vicino una persona sincera, ma poi la buttiamo via perché non sappiamo gestirla ed ecco che torniamo subito a rincorrere il caro, vecchio, dubbio.
Lo rincorriamo solo per il fatto che è intrigante. Perché è solo questo che è.
Che cosa dire, invece, della trasparenza? Della sincerità, genuina e cruda?
Quella ti scalda il cuore, ma oggi sembra che a nessuno importi di quel cuore. Oggi il vero vincente non sembra essere quello che apre il suo cuore agli altri, ma colui che a quel cuore mette una corazza e lo avvolge con del bel filo spinato resistente agli urti.
Oggi pochi hanno il coraggio di essere trasparenti e sinceri con gli altri. Per questo le persone dicono di volere la sincerità ma quando la ottengono scappano: perché semplicemente non sono più abituati a riceverla e non sanno come gestirla.
Ma la cosa bella della sincerità è che ti spiazza, ti sorprende proprio perché nessuno se la aspetta più davvero. Come nessuno si aspetta ancora che qualcuno arrossisca per un complimento, o sia interessato più al bene di un’altra persona piuttosto che al suo. Così come si fa fatica a credere che un uomo ti inviti ad uscire solo per conoscere davvero chi sei o che una donna sia più interessata alle pagliuzze dorate dei tuoi occhi piuttosto che all’orologio d’oro che porti al polso. E via con il carnevale dei luoghi comuni.
La sincerità è ormai un sentimento considerato superato, estinto, ma rimane in assoluto la miglior cosa che ti possa capitare. Perché, alla lunga, paga sempre.
Perché se il dubbio, con il passare del tempo, ti indurisce il cuore fino a ridurlo ad un semplice organo di diffidenza, la genuina e pura sincerità è ancora l’unica in grado di sciogliertelo.

Martina Vaggi

Riflessioni

50 sfumature di nero: l’uomo ha sostituito le pinze per capezzoli con le pinze per le sopracciglia

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Ieri sono andata al cinema a vedere 50 sfumature di Nero e la situazione è stata più o meno questa: sala gremita di persone (soprattutto donne) e risate imbarazzanti (e imbarazzate) per tutta la durata del film. Sì, perché ad essere imbarazzanti non sono state solo le risate del pubblico femminile, ma queste carrellate di sequenze senza senso del film, tenute insieme solo da un’esile e (a volte) anche inesistente trama. E i dialoghi inesistenti. E il procedere a rallentatore della storia. E le canzoni che non c’entravano praticamente nulla con la scena alla quale venivano associate.
Mi è capitato poche volte di criticare mentalmente ogni minuto del film che stavo guardando e questa è una di quelle poche volte.
Il vero dramma, però, è che io sono sempre stata una di quelle a favore della trilogia. Ho letto tutt’e e tre i libri all’epoca in cui uscirono e ho apprezzato il fatto che fosse stata una donna a cimentarsi con questo genere, correndo il rischio di essere criticata da tutti quei benpensanti bigotti che nel mondo certamente non mancano.
Ad oggi invece c’è da ammirare il coraggio del regista che c’ha messo il nome nel creare un film che veramente non sta in piedi. Personalmente, le uniche scene che ho veramente apprezzato sono state quelle dove Jamie Dornan (alias Christian Grey) si allena nella sua palestra privata del suo enorme attico, dando sfoggio di bicipiti, tricipiti, dorsali e quant’altro.
Eppure 50 sfumature di nero è risultato primo al boxoffice italiano del weekend, con 6.420.000 euro di incassi in soli quattro giorni. Inoltre, recenti statistiche hanno constatato che dall’uscita del primo film della saga l’acquisto di giochi erotici è incrementato del 40% in America. In Italia, inoltre, è stato registrato come molte più donne, dopo l’uscita del primo film, hanno deciso di cimentarsi con le nuove pratiche Bdsm. In pratica, il breve documentario sul film che ho visto ieri sera tornata a casa dal cinema sosteneva che questa saga, fino ad ora, è stata in grado di influenzare i gusti sessuali del pubblico come il cinema non aveva più saputo fare da molto tempo. Ma se preferiamo attenerci a dati reali e pratici, la sala gremita di persone al cinema ieri sera è già una dimostrazione dell’enorme curiosità che questo film ha attirato su di sé. Il fatto che questa curiosità sia poi prettamente femminile la dice lunga ma non stupisce più di tanto. Un po’ perché il protagonista del film è un gran bel vedere (il che non guasta mai) e un po’ perché, forse, ognuna di noi avrebbe bisogno (ogni tanto) di un Christian Grey nella propria vita.
E non mi riferisco tanto ai “24 mila dollari che sono capace di guadagnare ogni 15 minuti” o alle numerose proprietà/barche/grattaceli/case al mare sparse in America, Europa o Marte. Anche se tutto questo non sarebbe di certo un male.
Piuttosto parlo dell’intraprendenza. Dell’inseguire una donna che si vuole fino a quando non si riesce a conquistarla: del corteggiamento che prevede uscite, interesse, voglia di sorprendere sotto e fuori dalle lenzuola. E possiamo anche inserire la frase “Sei mia” nella top five delle più romantiche frasi da dire ad una donna, proprio perché dirla ogni tanto non guasterebbe.
E ora veniamo al punto saliente del film: il sesso. Adesso, sicuramente possiamo star qui e fare le finte puritane per il resto dei nostri giorni. Lo possiamo anche fare. Ma io credo che al mondo ci siano due tipi di donne: quelle che vorrebbero un uomo simil Christian Grey e quelle che mentono.
E non parlo di catene, frustini e tutte queste cose qui. Nel privato ognuno ha i suoi gusti e non spetta né a me né a voi giudicarli. Parlo piuttosto di un tipo d’uomo intraprendente che preferisce sorprenderti (ogni tanto) con qualcosa di nuovo piuttosto che affrontare la sessualità a mo’ di: “In che posizione vuoi che lo facciamo oggi?“, manco stesse ordinando al cameriere il suo piatto preferito dal menù.
Ma, a sentire le numerose lamentele femminili che corrono, forse quest’ultimo tipo d’uomo non è poi così raro da trovare oggi. E il fatto che molte donne siano interessate ad andare a vedere film di questo tipo ne è solo una conseguenza: se molte di noi vivessimo situazioni simili a casa nostra, non avremmo certo bisogno di affollare un cinema in un noioso lunedì sera. Ce ne staremmo semplicemente a casa a farle, ripeterle e poi farle ancora. E con “queste situazioni” parlo di appuntamenti, sesso, rapporti sentimentali e uomini degni di essere chiamati in questo modo. Qui non si sta certo chiedendo di avere il miliardario con l’elicottero, ma almeno uno che rispetti l’antica tradizione del maschio e abbia voglia di starti un pochino dietro, questo sì. Non si chiede certo che nella sua piccola abitazione tenga una stanza con fruste e catene, ma che sia un pochino più intraprendente questo sì.
In poche parole, si chiede solo che l’uomo faccia quello che ha sempre fatto nei secoli dei secoli: conquistare l’attenzione di una donna e saperla mantenere. Concetti che oggi forse sono un pochino passati di moda, da quando l’uomo ha preferito cose meno impegnative, come: ceretta, serate al bar con gli amici e videogiochi.
L’impressione che io ho maturato da questa esperienza è che la saga di 50 sfumature attrae e continua ad incuriosire un numeroso pubblico femminile da quando il maschio moderno ha deciso di sostituire le pinze per capezzoli con le pinze per le sopracciglia.
Questo è il mio pensiero. A voi i commenti.

Photo Credit: http://www.charismanews.com

Martina Vaggi

Riflessioni

Occidentali’s karma: la tradizione inciampa e si rialza

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Che il tempo in cui viviamo noi oggi rappresenti un’epoca in continuo mutamento, dove per novità intendiamo qualcosa che va on line alle 17:00 e alle 17:01 è già storia passata e superata, credo sia evidente a tutti. Che la nostra voglia di stare al passo con Internet e con il mondo digitale (attorno al quale ormai ruota tutta la nostra esistenza) ci porti a preferire spesso cose veloci, istantanee, che arrivino subito dritto al punto senza girarci tanto attorno è abbastanza evidente in tutti i campi della nostra quotidianità. E ciò è stato reso evidente anche ieri sera con la vittoria di Francesco Gabbani al Festival di Sanremo: o meglio, con la vittoria della sua Occidentali’s Karma, che già rappresenta un vero e proprio tormentone.
Non mi sto a dilungare sul significato della canzone. D’altronde, mi sembra di aver capito che, tra ieri e oggi, molti, con la scusa di difendere la sua vittoria al Festival della canzone italiana, si siano già affannati fin troppo a fare copia e incolla del suo significato più nascosto e recondito e a piazzarlo su Internet, sventolandolo sotto al naso dei non discepoli del Gabbani, a mo’ di: “Se ti piace Occidentali’s karma è solo perché sei un superficiale e non sei in grado di andare oltre alle parole della canzone“.
No, genio. Non è proprio così.
E rimango anche stupita di questo improvviso talento dimostrato da tutti nell’andare in profondità delle cose, soprattutto da parte di quelle persone che fino a ieri non erano in grado nemmeno di guardare oltre il proprio naso.
Eppure tra ieri sui Social il “mantra” (giusto per rimanere in tema) è questo. Ma tutto torna, in fondo, e questo Gabbani l’ha profondamente capito. Perché ieri sera, tra lo sdegno di coloro che hanno visto la tradizione sanremese sradicata in un attimo da un allegro ritornello con tanto di scimmia danzante al fianco, e l’esultanza della gran parte dei giovani che erano anche solo contenti di aver trovato il nuovo tormentone estivo da ballare, a Sanremo non ha vinto la canzone migliore, ma la modernità. O meglio, la contemporaneità, che alla fine siamo noi: è il nostro tempo, fatto di lezioni di Nirvana e di una folla che grida un mantra.
A Sanremo ha vinto la bravura e l’ingegno di un cantante che non ha (e forse non avrà mai) la professionalità e la carriera di un mostro sacro come Fiorella Mannoia, ma che ha saputo interpretare al meglio ciò di cui il pubblico ama così tanto sparlare: difetti, incoerenze e dubbi sulla nostra fragile e volubile epoca.
Occidentalis’ Karma rappresenta una feroce critica della nostra società. Una società che rifiuta lo splendido inno alla vita della Mannoia per far posto ad una canzone orecchiabile e ballabile, destinata a diventare il tormentone esitivo 2017. Che sia poi una canzone solo apparentemente superficiale, questo è vero: che sia piena di significati profondi abilmente mascherati, questo è vero.
Ma che a tutti piaccia per le metafore profonde che rispecchiano il nostro tempo, sinceramente stento a crederci. Forse perché mi pare abbastanza evidente che ad oggi tutto ciò che piace non venga valutato in termini di profondità e di significati, quanto in termini di semplicità. Deve colpire proprio lì dove tutti vogliono che colpisca, con un’abile e acuta ironia. Tutte caratteristiche che questa canzone ha, oltre al fatto di essere molto orecchiabile, il che rientra tra le caratteristiche apprezzate dalla società di oggi: qualcosa di allegro, da ballare per un po’ di tempo, e poi da accantonare per far spazio ad altre cose più allegre.
L’allegria come mezzo per affrontare le difficoltà, o, forse, per evitarle del tutto.
Ciò che secondo me stona in questa bella favoletta moderna è che tutto questo sia accaduto sul palco di Sanremo, sotto gli occhi di Fiorella Mannoia, la storia della musica italiana incarnata in uno splendido vestito rosso: una Mannoia che viene accantonata dal pubblico o, addirittura, trattata con sdegno, come ho purtroppo potuto leggere in alcuni commenti trovati sui Social. La sua canzone viene denigrata (sui Social) perché il testo da lei interpretato risulta troppo pesante per questo tempo. Poco importa il messaggio che rappresenta: sembra importare, piuttosto, come si presenta la canzone nella sua veste lenta e melodica, non immediata, e, quindi, ritenuta ormai una “canzone per vecchi”.
Giusto per renderci conto fino a che punto siamo arrivati.
E se c’è anche chi è contento del fatto che ieri sera a Sanremo abbia prevalso il detto “fuori il vecchio, dentro il nuovo“, su questo ci sarebbe altro da dire. Perché se parliamo di qualcosa di “nuovo” e di premiare il talento giovanile non possiamo proprio evitare di fare un nome: Ermal Meta, la cui canzone offriva parecchi spunti di riflessione. Forse non sarà ballabile sul tavolo di una discoteca con un costume da scimmia, però la sua straordinaria sensibilità forse poteva meritare qualcosa di più..
In sostanza, il mio pensiero è e rimane questo: se vogliamo affermare che la canzone di Gabbani sia stata una genialata, perché ha travestito di allegria e di ironia i peggiori difetti della società contemporanea, sono d’accordo. Se vogliamo affermare che, tra qualche mese, la si ballerà in tutti i luoghi e in tutti i laghi, mi trovate d’accordo: se volete dirmi che, a furia di ascoltarla, sarà sicuramente in grado di trascinare tutti a muovere qualche passo, fin qui sto con voi. Ma da lì a premiarla come miglior canzone italiana sul palco del Fesival della canzone italiana, di acqua sotto i ponti ce ne passa.
E ritorniamo, quindi, al punto di partenza: a Sanremo quest’anno ha vinto la modernità, che è stata in grado di scalzare la tradizione vestita di rosso con un inchino e un baciamano.
Tradizione. Un termine che spesso viene frainteso e paragonato a qualcosa di vecchio, di stantio e di superabile. Ma per quanto a volte possiamo odiarla, disprezzarla o accantonarla, la tradizione (che sia benedetta!) è quanto di più difficile si possa sradicare, forse perché si basa su qualcosa di “antico”, che ha resistito nel tempo e si è tramandato sotto varie forme. E le cose più antiche, spesso, sono quelle che, applicate ad ogni circostanza (o epoca), sono in grado di dare ancora dei magnifici esempi di vita. Funzionano ancora nel tempo perché sono le più durevoli.
Forse non saranno destinate a diventare dei tormentoni estivi, ma sono sicuramente in grado di accompagnarci per tutta la vita.

Photo Credit: http://www.agi.it

Martina Vaggi

Riflessioni

Leggiamo storie perché vogliamo scrivere la nostra

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Siamo una moltitudine di persone diverse ma così tutte uguali in fondo.
Una quantità smisurata di teste e cuori pulsanti con il desiderio di trovare un cuore che batta allo stesso ritmo del nostro.
Andiamo nel mondo alla disperata ricerca di qualcuno come noi, o simile a noi, oppure completamente diverso.
Cerchiamo la persona giusta in una miriade di persone sbagliate, ma la cerchiamo con modalità, finalità e tempi troppo diversi.
Questo, forse, è uno dei motivi per cui è così difficile trovarla.
In un mondo abitato da sconosciuti cercheremo sempre due occhi che ci guardino come se ci conoscessero da sempre.
E ci ostiniamo a cercare una luce da seguire e la troviamo in miriade di citazioni diverse, tutte prese da chi è “qualcuno” per il mondo: cantanti, scrittori, persone di successo. E così condividiamo una citazione e poi un’altra, e poi un’altra ancora, perché ci riconosciamo in quelle parole: ma com’è che, alla fine, finiamo sempre per fare tutto il contrario di ciò che quelle parole ci dicono di fare?
Forse perché al mondo non c’è nessuno che possa dirci come vivere la nostra vita. Forse ascoltiamo canzoni solo per poter trovare la giusta colonna sonora alla nostra vita e leggiamo storie solo per poter trovare la nostra.
Ma il vero traguardo lo raggiungiamo solo nel momento in cui la nostra storia ce la scriviamo noi.

Martina Vaggi