Crescita personale

5 cose che ho imparato da un lavoro operativo e che porterò sempre con me

Un lavoro operativo non è semplice come molti pensano.

C’è chi lo fa con passione ed è il suo mestiere di vita.

C’è chi lo fa per mantenersi agli studi, chi per farsi un’esperienza.
Per me è stato entrambe le due cose.

Ho molti ricordi di quel lavoro, perché per me è stato il primo in assoluto.

Ricordo il suono intermittente delle friggitrici.
Ricordo la sveglia alle 4.00 del mattino, le strade ancora buie, deserte. I primi clienti che ti davano il buongiorno mentre tu preparavi loro il primo caffè della giornata.
E poi, i turni di notte, le chiusure, dopo le quali non si riusciva mai a prendere sonno.

Ricordo le giornate passate a correre, quelle in cui non ci si ferma a mangiare: le pause sigaretta, i colleghi che un po’ non sopporti, un po’ diventano la tua famiglia perché ti danno quel senso di appartenenza.
L’appartenenza ad un gruppo, con il quale impari a convivere.

Ho passato gli ultimi tre anni a svolgere un lavoro operativo.
Queste sono le cose che ho imparato da questa esperienza.

Lavoro operativo

Post laurea: adattarsi ad un lavoro che non avevi previsto

Quando ho scelto di frequentare Lettere Moderne sapevo cosa pensavano tutti di quella facoltà. Non perché ero un’indovina, ma perché, semplicemente, tutti mi dicevano le stesse cose.

Ma hai scelto Lettere? Ma sei seria?

Ma che futuro pensi di avere dopo?

E così via.

Nel 2011, quando ho iniziato l’università, ricordo che a Lettere eravamo quasi in duecento.
Nel 2015, quando mi sono laureata io, solo in cinquanta eravamo arrivati al termine degli studi.

Gli esami prevedevano uno studio molto intenso: le pagine erano tante, sempre. I professori non prendevano i nullafacenti alla leggera.
Molti studenti si chiedevano: che lavoro ci sarà per noi, dopo?

A parte chi voleva insegnare, per tutti gli altri sarebbe stata un’incognita.

Io sapevo che, una volta terminato, mi sarei dovuta adattare ai lavori che avrei trovato. Un po’ forse era anche quello che volevo.
E, come spesso accade, quello che inconsciamente vuoi, si avvera.

Finita l’università, ho continuato a fare quello che facevo prima: scrivevo per vari giornali cartacei e digitali, senza guadagnare assolutamente nulla.

Quando ho iniziato a cercare lavoro, quattro anni fa, sembrava non esserci nulla.
Continuavo a mandare curriculum nel campo dell’editoria, senza mai ricevere risposta.
Mandavo fino a quaranta curriculum a settimana.

Ad un certo punto, ho iniziato a non dormire più.

Credo che ogni giovane, oggi, abbia provato almeno una volta quella sensazione: lo smarrimento. Il senso di vuoto, quella percezione di totale rifiuto da parte del mondo.
Come se non servissimo nulla a questa realtà. Come se la nostra presenza non fosse nemmeno gradita.

Ricordo che persino mandare curriculum era diventata una vergogna per me: mi sentivo quasi come se stessi chiedendo l’elemosina a qualcuno, tale era la non considerazione che ricevevo. E come me, tanti altri.

Come spesso accade, quando non riesci a trovare nulla, devi provare a cambiare la direzione nella quale stai guardando.

Io avevo bisogno di trovare un lavoro al più presto.
Un mio amico, che stava lavorando nella ristorazione, un giorno mi disse: “Guarda che qui stanno cercando: se vuoi…

Portai il curriculum al locale.
Feci un colloquio. Dopo una settimana mi fecero firmare il contratto.

Il giorno in cui iniziai, il mio amico mi fece l’occhiolino e mi disse: “Ora sono cazzi tuoi. Preparati.

Non avevo la più pallida idea di che cosa significasse quella frase.
Una settimana dopo, lo scoprii.

Lavoro operativo

Imparare un lavoro operativo: le difficoltà iniziali

Qui è una giungla.

Fu questo quello che pensai all’inizio.

Il mio primo giorno di lavoro fu un festivo, a Pasqua. In chiusura.
Me lo ricordo come se fosse ieri.

Non ero in grado di fare nulla. Ero una persona completamente incapace di rapportarsi con il pubblico: una ragazza molto timida e insicura che si vergognava anche solo a dire “Buonasera” ai clienti.

Non ero nemmeno in grado di tenere in mano una scopa.
Quel giorno ricordo che il manager di turno mi disse: “Dai, adesso spazza per terra, che dobbiamo chiudere.”

Non so come si fa” gli risposi. Ho sempre avuto il difetto di essere troppo sincera.
Lui si fermò un istante, la mano che reggeva la penna rimase sospesa per aria. Si voltò a guardarmi: “Ma sei seria?

Diciamo che non iniziai proprio bene.

Comunque, io e quel manager siamo rimasti amici. Oggi, le volte che ci incontriamo per bere una birra, mi dice ancora: “Ma ti ricordi che quando sei entrata lì dentro non sapevi nemmeno spazzare per terra?

All’inizio per me fu un incubo. Il lavoro era molto veloce, c’era tanto con cui avere a che fare.
Ricordo che alcune mie amiche mi dicevano: “Ma cosa ci fai tu, lì dentro? Perché stai lì a lavorare?

Tutti pensavano che quello fosse un lavoro da idioti.
Molti lo pensano ancora. Pensano che un lavoro operativo di quel tipo lo possa fare chiunque.
Sono gli stessi che non resisterebbero due settimane.

All’inizio fu molto dura.
Poi andò meglio.
Quell’estate in cui lavorai persi circa quindici chili.
Una bella alternativa alla dieta, in effetti.

Non esistevano più sabati o domeniche. Non esisteva più ferragosto, non avevi i giorni per andare in ferie perché il contratto era stagionale.
Ma a me non importava.
Ero entrata lì senza sapere fare niente ed ero curiosa di imparare.

Quell’estate imparai da quel lavoro più di qualsiasi esame io abbia mai dato all’università.

Lavoro operativo

Imparare da un lavoro operativo: il team working

Quando iniziai quel lavoro operativo, credevo che la cosa più difficile per me sarebbe stata il rapporto con i clienti.

In realtà, ben presto mi resi conto che la sfida più dura sarebbe stata quella di convivere con più di trenta persone, tutte nello stesso locale.
Tutte donne, oltretutto.

Trenta persone diverse: trenta personalità, attitudini, menti, diverse.

Forse non è mai veramente facile. Nemmeno se hai a che fare con un gruppo di colleghi più ristretto.
Ma la cosa che ho imparato è che in un ambiente nuovo, specialmente quando non conosci minimamente il lavoro, ci devi entrare a testa veramente molto molto bassa.

Una volta imparato il lavoro, poi, arriva un’altra difficoltà: reggere l’arroganza di chi non sopporta che tu abbia imparato.
A volte penso che certe persone non vorrebbero mai vederti crescere: a loro andrebbe bene vederti sempre lì, al solito stadio, senza mai ottenere risultati.

In questo modo, non sarebbero costretti ad ammettere a se stessi che sono loro a non essere in grado di fare una crescita.

Ad ogni modo, imparai che anche in un ambiente difficile puoi imparare a lavorare in team.
Anche in un ambiente duro, puoi imparare come vivere il team working senza spargimenti di sangue.

Tutto quello che bisogna fare, per imparare a lavorare in team, io lo racchiuderei in una parola: aiutare.
Aiutarsi a vicenda, essere disponibile per gli altri.
Disponibile per i cambi turno, perché magari c’è quella collega che ha i figli e ha bisogno di quel determinato giorno per portarli dal dentista.

Essere disponibile ad ascoltare. Ascoltarli quando nessun altro lo fa.

Ma, soprattutto: mettere il rispetto per se stessi sopra tutto e tutti.
Una cosa che io imparai forse troppo tardi.

Lavoro operativo

Capolinea lavorativo: ovvero, quando senti di dover mollare la presa

Non tutti sono fatti per un lavoro operativo.
Non tutti sono fatti per lavorare in team.
Non tutti sono in grado di rapportarsi con il pubblico o reggere dei ritmi di lavoro indubbiamente elevati.

Questo mi è stato chiaro fin da subito.
Ma soprattutto: non tutti possono fare un lavoro operativo per tutta la vita.

Io ero entrata in questo lavoro un po’ per scelta, un po’ perché non avevo scelta.
Sapevo che mi sarebbe servito moltissimo e così è stato.
Per il resto… diciamo che il mio ingresso in quel tipo di lavoro equivale all’ingresso che fece Alice nel Paese delle Meraviglie: ruzzolando goffamente attraverso la tana del Bianconiglio.

Con il tempo, quel tipo di lavoro ha iniziato a starmi stretto.
Incominciavo a non reggere più quei ritmi: la velocità, che era da sempre una cosa che mi aveva contraddistinta, iniziava a calare in me.

Iniziavo ad aver voglia di fare una vita più “normale”: i turni, che fino a quel momento mi erano sempre stati comodi, iniziavo a non tollerarli più.
Avrei voluto un lavoro che mi desse la possibilità di stare a casa il weekend, di poter condurre orari di vita “normali”.

Iniziai a pormi delle domande.

Perché io ero partita facendo quel tipo di lavoro?
Perché altri laureati invece erano partiti facendo il lavoro che volevano?
Perché non poteva succedere anche a me quello che era successo loro?

Me lo chiedevo spesso.
Vedevo giovani laureati fare percorsi di stage in aziende grandi, li vedevo entrare dalla porta di ingresso senza tante difficoltà e mi chiedevo: perché io devo passare dalla porta sul retro? Perché loro riescono a ottenere il lavoro che vogliono e io, invece, mi ritrovo a lavare i pavimenti? 

In una parola: autostima.
Io non credevo di meritare il lavoro che volevo.
Credevo di dover imparare a superare delle prove.

In qualche modo, sentivo che dovevo imparare a sfidare me stessa.
Affrontare prove diverse e lavori diversi da quello che mi ero prefissata.

Così, mentre io continuavo a fare un lavoro operativo e a dirmi che ero troppo debole per cercare di fare ciò che realmente volevo nella vita, era questo stesso lavoro operativo che mi rendeva sempre più forte.

Alla fine avrei ottenuto anche io il lavoro che volevo.
La differenza era che io avevo bisogno di partire lavando i pavimenti.

E non c’è mai stato un lavoro, fino ad ora, che mi abbia insegnato più di questo.

Lavoro operativo

Cosa insegna un lavoro operativo: 5 cose che ho imparato


La gente sottovaluta i vantaggi del buon vecchio lavoro manuale, dà un grande senso di libertà“.

Morgan Freeman – Una settimana da Dio

1) Le persone non sono solo numeri.

Sembrerà scontato e banale da dire.
In realtà non lo è mai. Specialmente per quanto riguarda un lavoro operativo.

Le persone non sono numeri, sono persone.
Ognuna di loro ha carattere, insicurezze, disagi interiori che neanche possiamo lontanamente immagina.

Ascoltarle non fa male, anzi. Apre molte porte alla convivenza, specie se fra colleghi.

2) L’empatia e l’altruismo nel team working.

Sono fondamentali per lavorare in team.
Se sei in grado di capire la persona che hai di fronte (in questo caso, il tuo collega), se sarai in grado di ascoltarlo e di stabilire una comunicazione attiva e positiva, allora riuscirai anche a stabilire un rapporto.

Perché l’empatia genera gentilezza: la gentilezza, genera tolleranza per i difetti altrui.
Tutto conduce al rispetto reciproco.
E, perché no, anche ad una possibile amicizia al di fuori.

Sì, tutto questo è possibile anche in un ambiente di lavoro difficile.

3) Spegnere il cervello e dimenticarsi dei problemi esterni.

Questa è una cosa che a me capitava sempre, tutte le volte che entravo in turno.
Mi capitava soprattutto quando ho iniziato a lavorare come barista.

Una volta che entravo al locale, indossavo la divisa e iniziavo il turno e non pensavo ad altro se non a lavorare.
Tutti i problemi che avevo al di fuori non è che svanivano: semplicemente, non avevo tempo per pensarci.
Ero troppo occupata a correre, a sbrigarmi a portare a termine i miei compiti, a servire i clienti, per pensare ad altro.

In pratica: un lavoro operativo aiuta a svuotare la mente perché te la tiene impegnata.

Almeno, questo succedeva a me.

Lavoro operativo

4) Superare timidezza e insicurezza grazie al contatto con il pubblico.

Sembra una cosa semplice.
Non lo è.
Per questo, non tutti sono portati a lavorare a contatto con i clienti.

Quando io ho iniziato a lavorare con la clientela, ero talmente timida e insicura che non ero nemmeno in grado di dire “Buongiorno” o “Buonasera“.

Il contatto con il pubblico mi ha aiutato, piano piano, a tirare fuori la mia personalità.
Certo, non è sempre semplice anche perché non tutte le persone sono uguali.
Ci sono veramente tanti maleducati in giro.

Però, ecco, a me è servito molto sotto questo punto di vista.

5) Sviluppare il controllo di se stessi e aprirsi al dialogo con le altre persone.

Quando ho iniziavo a lavorare come barista mi sono accorta che non solo il lavoro non mi dispiaceva, ma che c’era un qualcosa di bello in tutto questo che non avevo mai considerato appieno.

I clienti.
Ecco, magari non tutti.
Ma posso dire con sincerità che grazie a quel tipo di lavoro io ho scoperto le persone.

Ho scoperto che mi piace parlare con le persone.
Mi piace ascoltare le loro storie. Mi piace vedere il modo in cui si umanizzano quando dai loro attenzione.
Mi piace vedere come si aprono quando chiedi loro se hanno una famiglia.

La cosa incredibile che ho scoperto è che tutti noi siamo uguali.
Tutti noi abbiamo disagi, emozioni represse, rabbia, però, abbiamo un’altra cosa in comune: abbiamo bisogno di comunicare e di essere ascoltati.

E questa cosa io l’ho scoperta lavorando come barista.

E quelle persone sono diventate in qualche modo la mia ispirazione per scrivere di loro, per dare gentilezza, per regalare un sorriso in più.

Di questo ne abbiamo urgente bisogno tutti.

Martina Vaggi

Photo credit: Unsplah e Pexels

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