Crescita personale

Perdona chi sei stato per poter diventare chi vuoi essere

Arriva un momento in cui devi imparare a perdonare te stessa.
Perdona chi sei stato per aver pensato che la vita che hai sempre condotto ti sarebbe bastata.

Che ti sarebbe bastato il lavoro che facevi per sopravvivere.
Che saresti sempre vissuta nello stesso luogo
senza mai osare andartene.

Ti devi perdonare per aver pensato che non avresti mai voluto sposarti o fare figli, solo perché pensavi che questo modo di parlare ti rendesse veramente libera e indipendente.

perdona chi sei stato

Perdona chi sei stato e chiediti di più

Arriva un momento in cui devi chiederti di più.
Vuoi di più ed è giusto che sia così.

Vuoi cambiare lavoro, vuoi cambiare città: vuoi passare il resto della vita con il tuo compagno, giurandolo a voce alta, magari.
Arriva un momento, quel momento in cui vuoi osare di più.

E vuoi perdonare te stessa per non aver mai avuto quel coraggio.
Quel coraggio di rischiare.
Così vuoi provarci. Vuoi buttarti.

E, in quel momento, può succedere che tu voglia tutto ciò che pensavi di non volere.

perdona chi sei stato

Perdona chi sei stato: dimenticati della persona che credevi di dover essere

A quel punto non sei più tu.
Non sei più quella persona che si diceva tutte quelle bugie.
Non sei più quella persona schiava di pregiudizi che aveva nei confronti di se stessa.

Non sei più la persona che credevi di dover essere.

Stai cambiando. Ti stai evolvendo verso la persona che sarai.
Perché un cambiamento, una volta che si manifesta, è già avvenuto dentro di noi tempo addietro.

Devi imparare a perdonare te stessa per fare in modo che ciò avvenga.

A quel punto, ti renderai conto di una cosa.

Perdona chi sei stato per diventare chi sei nel momento presente

Ti renderai conto che inizierai a ragionare in maniera diversa.
Ti renderai conto che tutte le critiche che ti avevano rivolto (e ferito) un tempo, ora non ti sfiorano più.
Ora non ti appartengono più.

Perché hai cambiato il tuo modo di vedere le cose, di vedere quelle persone.
Di sentire e percepire le loro parole.

Hai cambiato la tua natura.

“Un serpente cambia la pelle più volte l’anno.
Ci sono persone che passano un’intera vita senza riuscire mai a farlo.”


A quel punto non ragioni più per ostacoli.
Ragioni per opportunità.
Opportunità di essere una persona migliore di quella che sei stata e che non ti andava più di essere.

perdona chi sei stato


Così ti rendi conto di non aver mai ragionato in maniera così lucida in vita tua.

Ti rendi conto di aver indossato una maschera per tutta la tua vita.

Di averlo fatto perché avevi paura.
Hai sempre avuto paura del giudizio degli altri, delle loro critiche, della cattiveria di cui è pieno il mondo.

Solo che questa volta è diverso: ora hai gli occhi aperti e guardi il mondo come se lo vedessi per la prima volta.

Guardi le persone e capisci che c’è del buono in ognuno. E non c’è sempre quel bisogno costante di difendersi.
Da qui nasce l’opportunità.
L’opportunità di vedere la luce anziché il buio.

Perdona chi sei stato con tutti i tuoi sbagli: sei semplicemente un essere umano

Ad un certo punto, nella vita, ti devi perdonare.

Devi perdonarti per aver commesso quello sbaglio.
Per aver preso quella via che non portava da nessuna parte.
Devi perdonarti per essere umana in un mondo che ci vorrebbe tutti di ferro.
Ti devi perdonare.

Così arriva quel giorno e tu ti guardi allo specchio e non ti riconosci.
Ma è una bella sensazione.
Come se gli anni passati sbiadissero dalla tua mente.

perdona chi sei stato

Come se la persona che eri ti prendesse per mano per accompagnarti in quell’enorme prato verde.
Non avere paura” ti dice.
Sei tu. E sei a casa“.

Martina Vaggi

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Photo credit: Pixabay

Crescita personale

Lascia la persona che eri per diventare quella che sei

Arriva un momento in cui ti devi perdonare.
Devi perdonarti per aver pensato che la vita che hai sempre condotto ti sarebbe bastata.
Che ti sarebbe bastato il lavoro che facevi per sopravvivere. Che saresti sempre vissuta nello stesso luogo senza mai osare andartene.

Ti devi perdonare per aver pensato che non avresti mai voluto sposarti o fare figli, solo perché pensavi che questo modo di parlare ti rendesse veramente libera e indipendente.
Arriva un momento in cui vuoi di più. Vuoi cambiare lavoro, vuoi cambiare città: vuoi passare il resto della vita con il tuo compagno, giurandolo a voce alta, magari.
Arriva un momento, quel momento in cui vuoi osare di più.
Vuoi provarci. Vuoi buttarti.
E, in quel momento, può succedere che tu voglia tutto ciò che pensavi di non volere.
Così inizi a ragionare in maniera diversa.
E, a quel punto, ti rendi conto di non aver mai ragionato in maniera così lucida in vita tua.

Ti rendi conto di aver indossato una maschera per tutta la tua vita. Di averlo fatto perché avevi paura. Hai sempre avuto paura del giudizio degli altri, delle loro critiche, della cattiveria di cui è pieno il mondo.
Solo che questa volta è diverso: ora hai gli occhi aperti e guardi il mondo come se lo vedessi per la prima volta. Guardi le persone e capisci che c’è del buono in ognuno. E non c’è sempre quel bisogno costante di difendersi.

Ti guardi allo specchio e non ti riconosci.
Ma è una bella sensazione.
Come se gli anni passati sbiadissero dalla tua mente. Come se la persona che eri ti prendesse per mano per accompagnarti in quell’enorme prato verde.
Non avere paura” ti dice.
Sei tu. E sei a casa“.

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay

Pensieri sulla pandemia

Avere 30 anni in tempi di Covid

Cosa significa avere 30 anni in tempi di Covid?

Come ci si sente a vivere una realtà in cui non ci aspettavamo di essere catapultati, tutti?

Cosa si prova a vedere davanti a noi un futuro che sembra perdere il significato stesso della parola “futuro”?

Alcuni dicono che la vita inizi proprio a 30 anni.
Che questi siano gli anni migliori per scoprire se stessi.
Sarà anche vero, ma… per noi giovani oggi, forse sarà più dura.

perdona

Oppure, al contrario, avremo modo di dimostrare il nostro valore.
Avremo l’occasione di dimostrare che siamo resilienti.
Che sappiamo cogliere le sfide per migliorarci e non starcene con le mani in mano.

Avremo modo di dimostrare che la vita non inizia a 30 anni ma inizia in qualsiasi momento.
Che piangendoci addosso non risolveremo mai nulla.

Anche voi avete dubbi su quello che sto dicendo, o è una mia impressione?

Avere 30 anni oggi: le paure del futuro

Credo che il sentimento più naturale del mondo, in questo momento storico così drammatico sia la paura.
Non dovremmo sentirci sbagliati nel nutrire paura del futuro.

Anche perché, per quanto possiamo sforzare il collo a vederci più lungo di quanto i nostri occhi non riescano a fare… Non possiamo.
Semplicemente, non possiamo.

30 anni

Noi non possiamo guardare più in là.
Non abbiamo accesso al futuro.
Non possiamo semplicemente scegliere una porta che ci conduca ad uno spazio temporale e spingerla.
Non possiamo pensare di aprirla.

Ma se dovessimo immaginare, per un momento, che questo fosse possibile…
Se tu potessi farlo, poniamo.

Ecco: tu dove andresti?
Avanti o indietro?
Ti muoveresti nel passato o nel futuro?

A chi porresti le tue domande per avere le risposte che cerchi?

Se si potesse farlo, credo che io cercherei le risposte alle mie domande nel passato.
Se potessi parlare con i miei nonno, chiederei a loro com’è stato vivere una situazione traumatica come la guerra e uscirne vivi.

Quella porta non si può aprire.
E ognuno deve cavarsela da solo, come sempre.

Ma cosa direbbero i nostri nonni dei 30 anni or sono, loro che hanno vissuto la guerra sulle loro spalle e sono riusciti a superarla?

Cosa potrebbero dirci loro per farci stare meglio?

Io non sono cosa direbbe mio nonno. So cosa mi diceva quando era ancora vivo su questa terra.
E posso immaginare cosa potrebbe dirmi oggi, se gli rivelassi le mie paure.

Queste, che ora trascrivo qui.

30 anni

Avere 30 anni: il futuro e la ricerca di un lavoro

Vorrei svegliarmi domani e avere 70 anni.
Una vita già vissuta alle spalle, una pensione che mi basti a pagarmi un affitto e la spesa.
Niente di più.

Vivere della semplice quotidianità, senza avere grilli per la testa, senza troppe aspettative sulla vita.
Perché quello che dovevo imparare, già l’avrei appreso in tempi passati.
Avrei già costruito, quando ancora si poteva costruire.
Risparmiato qualcosa quando ancora era possibile risparmiare.

Ho 30 anni, invece, e un futuro da costruire, che faccio fatica a vedere.
A malapena si scorge, non importa quanto io guardi lontano.

30 anni

Ho 30 anni e vivo, costantemente, nella paura.
La vivo come altri di noi, sulla pelle.
È la paura di non avere più un lavoro domani, di non riuscire a trovarne altri negli anni a venire.

È la paura di desiderare un lavoro più adatto agli studi che ho fatto, a tutta la fatica e la speranza che ho investito.
Un desiderio che si accavalla con il costante senso di colpa che provo nel pensare questo, quando vedo quanti altri un lavoro lo hanno perso.

Ho 30 anni e mi chiedo se non sia già tardi.
Tardi per i sogni che volevo realizzare ieri e che domani… potrò? Domani… chissà?

Ho 30 anni e non so quando riuscirò a diventare completamente indipendente, non so se potrò mai mantenere una casa o un figlio, se mai lo avrò.

Convivo con questa continua ansia che mi fa pensare:

“Ma ho già 30 anni: è tardi.”

Avere 30 anni in pandemia: a ogni generazione la sua guerra

Poi mi soffermo a pensare al passato.
Se mio nonno fosse qui, oggi, mi racconterebbe della guerra, come faceva sempre. Di quando ha patito la fame, di quando è stato fatto prigioniero dai tedeschi. Lì la sua più grande fortuna fu quella di saper fare un mestiere: era sarto e cuciva le divise dei soldati.

Lui i suoi 30 anni li ha vissuti così.
Prigioniero di una guerra più grande di lui.

30 anni

Allora mi parlerebbe di quando è riuscito a scappare dal campo di prigionia e le bombe esplodevano tutte attorno a lui. Me lo racconterebbe con tutta la sua profonda umiltà e si metterebbe a piangere come un disperato, come succedeva ogni volta.

E io allora mi vergognerei un po’ di questi pensieri.
Di aver paura di dover lottare per avere un futuro.
Mi vergognerei di avere 30 anni e troppa paura.

Perché, forse, ogni generazione ha la propria guerra da combattere o da vivere, stringendo i denti, con forza.
Ogni generazione ha la propria corda da tirare.

E non è detto che sia per forza negativo passare attraverso eventi così nefasti.
Non è detto che non si possa imparare qualcosa da una realtà che non ci aspettavamo di vivere.
Noi non possiamo saperlo.
Non abbiamo questa possibilità.

Possiamo solo dire: forse si, forse no. Vedremo.

30 anni

Avere 30 anni nel presente: la lezione della Signora T.

Torno a pensare al presente.

Ai miei 30 anni che non sono sprecati.
Al mio desiderio di non arrendermi, di venire a capo di qualsiasi pensiero negativo ingarbugli la mia mente.

Torno con il pensiero a quella volta che mi rivolsi all’unica persona in grado di aiutarmi a sciogliere quei nodi.
A quella volta in cui la Signora T. (ne parlo nel mio libro) mi disse:

“Sai Martina, il punto non è vivere sperando e pregando di non avere mai problemi.
Sarebbe troppo semplice.
La vita non deve essere vissuta con la speranza di non vivere mai un problema.
Sarebbe irrealistico.
Il punto, piuttosto, è: cercare, nonostante i problemi, di trovare sempre la forza per affrontarli.”

30 anni

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay e Canva


Crescita personale

Avere trent’anni in tempi di Covid

Vorrei svegliarmi domani e avere settant’anni.
Una vita già vissuta alle spalle, una pensione che mi basti a pagarmi un affitto e la spesa. Niente di più.
Vivere della semplice quotidianità, senza avere grilli per la testa, senza troppe aspettative sulla vita.
Perché quello che dovevo imparare, già l’avrei appreso in tempi passati.
Avrei già costruito, quando ancora si poteva costruire.
Risparmiato qualcosa quando ancora era possibile risparmiare.

Ho trent’anni, invece, e un futuro da costruire, che faccio fatica a vedere.
A malapena si scorge, non importa quanto io guardi lontano.
Vorrei svegliarmi domani e smettere di avere paura.
E invece questa continua paura io la vivo, come altri di noi, sulla pelle. E’ la paura di non avere più un lavoro domani, di non riuscire a trovarne altri negli anni a venire.
E’ la paura di desiderare un lavoro più adatto agli studi che ho fatto, a tutta la fatica e la speranza che ho investito. Un desiderio che si accavalla con il costante senso di colpa che provo nel pensare questo, quando vedo quanti altri un lavoro lo hanno perso.
E’ la paura di non riuscire a diventare completamente indipendente, di non poter mantenere una casa o un figlio, se mai lo avrò.

Poi mi soffermo a pensare al passato.
Se mio nonno fosse qui, oggi, mi racconterebbe della guerra, come faceva sempre. Di quando ha patito la fame, di quando è stato fatto prigioniero dai tedeschi. Lì la sua più grande fortuna fu quella di saper fare un mestiere: era sarto e cuciva le divise dei soldati.
Mi parlerebbe di quando è riuscito a scappare dal campo di prigionia e le bombe esplodevano tutte attorno a lui. Me lo racconterebbe con tutta la sua profonda umiltà e si metterebbe a piangere come un disperato, come succedeva ogni volta.
E io allora mi vergognerei un po’ di questi pensieri.
Di aver paura di dover lottare per avere un futuro.
Mi vergognerei.
Perché, forse, ogni generazione ha la propria guerra da combattere o da vivere, stringendo i denti, con forza. Ogni generazione ha la propria corda da tirare.

Torno a pensare al presente.
A quella volta in cui la Signora T. mi disse: “Sai Martina, il punto non è vivere sperando e pregando di non avere mai problemi. Sarebbe troppo semplice. Il punto, piuttosto, è: cercare, nonostante i problemi, di trovare sempre la forza per affrontarli.”

Martina Vaggi

Photo credit: https://pixabay.com/photos/woman-virus-bacteria-window-5628976/


Pensieri sulla pandemia

1 gennaio 2021: fuori è sempre inverno

Guardo fuori dalla finestra. Il cielo è grigio, la neve scende copiosa. Mi è sempre piaciuto guardarla cadere.
E’ il primo gennaio del 2021. Sono le due di un pomeriggio come un altro e io sto per mettermi a scrivere.

Rivivo per un istante i ricordi di questo anno terribile che ci siamo lasciati alle spalle. Ricordo tutte le cose successe, le rivedo nella mia testa come se fosse un film. Credo che sia successo un po’ a tutti noi, quest’anno.
Abbiamo ricordato l’anno che è stato, tutto ciò che di negativo è successo.
Il 2020 ci ha toccati tutti con mano. E’ entrato nelle nostre vite con prepotenza e con una drammatica forza superiore ci ha travolti.
Forse è qui che qualcuno di noi ha preso consapevolezza, per la prima volta, che tutto ciò che ci succede, talvolta, è mosso da qualcosa di più grande di noi. Che abbiamo il controllo solo fino ad un certo punto, anche se ci ostiniamo ad esercitarlo su ogni cosa che ci circonda.
Che l’unico momento che conta davvero vivere è il nostro presente.

Ogni anno salutiamo l’ultimo giorno che lo accompagna e il primo dell’anno nuovo ma quest’anno è diverso.
La nostra vita non sarà mai più la stessa dopo il 2020.
Credo che per tutti noi sia così.
Forse tutti noi speriamo di dimenticare.
Forse un domani ritroveremo una mascherina stropicciata nella tasca del nostro giubbotto o sepolta nella nostra borsetta. Non ne avremo più bisogno e allora tutto questo potrà essere un ricordo, potrà essere definito “passato.”

Abbiamo aspettato che l’anno finisse per poterlo mandare al diavolo. Lo abbiamo condannato perché questo si fa con i momenti bui, con i periodi negativi, con le persone che ci fanno del male: le si manda a quel paese, senza volerci più avere a che fare.
Anche io vedevo il mondo in questa maniera. Poi, un giorno, la signora T. mi disse: “Non puoi scappare da una situazione negativa sperando di risolvere così il problema. Se te ne vai da un ambiente in cui stai male senza aver imparato i motivi per i quali stai male, un domani finirai di nuovo in una situazione simile e tutto ricomincerà da capo. Per poter dire addio a qualcosa, devi prima aver imparato perché quel qualcosa ha così tanta presa su di te. Solo così, puoi lasciarlo andare.”
Lasciar andare una situazione significa averla compresa, aver imparato a vedere il negativo e il buono.
“Il buono c’è in ogni cosa, se noi lo sappiamo cogliere” mi disse quel giorno, la signora T.

Sono le tre del pomeriggio ora.
Dalla mia scrivania, vedo la neve cadere fuori dalla finestra.
Ognuno di noi spera in cuor suo di dimenticare, ma io non voglio dimenticare.
C’è un mondo esterno che ci insegna che alcune cose non le possiamo cambiare. Non possiamo cambiare quello che è successo l’anno passato. Non possiamo impedire che alcune cose avvengano.
Non possiamo fermare la neve che cade.
Possiamo, però, evitare che dentro di noi geli sempre l’inverno.

Martina Vaggi