Crescita personale

5 cose che ho imparato da un lavoro operativo e che porterò sempre con me

Un lavoro operativo non è semplice come molti pensano.

C’è chi lo fa con passione ed è il suo mestiere di vita.

C’è chi lo fa per mantenersi agli studi, chi per farsi un’esperienza.
Per me è stato entrambe le due cose.

Ho molti ricordi di quel lavoro, perché per me è stato il primo in assoluto.

Ricordo il suono intermittente delle friggitrici.
Ricordo la sveglia alle 4.00 del mattino, le strade ancora buie, deserte. I primi clienti che ti davano il buongiorno mentre tu preparavi loro il primo caffè della giornata.
E poi, i turni di notte, le chiusure, dopo le quali non si riusciva mai a prendere sonno.

Ricordo le giornate passate a correre, quelle in cui non ci si ferma a mangiare: le pause sigaretta, i colleghi che un po’ non sopporti, un po’ diventano la tua famiglia perché ti danno quel senso di appartenenza.
L’appartenenza ad un gruppo, con il quale impari a convivere.

Ho passato gli ultimi tre anni a svolgere un lavoro operativo.
Queste sono le cose che ho imparato da questa esperienza.

Lavoro operativo

Post laurea: adattarsi ad un lavoro che non avevi previsto

Quando ho scelto di frequentare Lettere Moderne sapevo cosa pensavano tutti di quella facoltà. Non perché ero un’indovina, ma perché, semplicemente, tutti mi dicevano le stesse cose.

Ma hai scelto Lettere? Ma sei seria?

Ma che futuro pensi di avere dopo?

E così via.

Nel 2011, quando ho iniziato l’università, ricordo che a Lettere eravamo quasi in duecento.
Nel 2015, quando mi sono laureata io, solo in cinquanta eravamo arrivati al termine degli studi.

Gli esami prevedevano uno studio molto intenso: le pagine erano tante, sempre. I professori non prendevano i nullafacenti alla leggera.
Molti studenti si chiedevano: che lavoro ci sarà per noi, dopo?

A parte chi voleva insegnare, per tutti gli altri sarebbe stata un’incognita.

Io sapevo che, una volta terminato, mi sarei dovuta adattare ai lavori che avrei trovato. Un po’ forse era anche quello che volevo.
E, come spesso accade, quello che inconsciamente vuoi, si avvera.

Finita l’università, ho continuato a fare quello che facevo prima: scrivevo per vari giornali cartacei e digitali, senza guadagnare assolutamente nulla.

Quando ho iniziato a cercare lavoro, quattro anni fa, sembrava non esserci nulla.
Continuavo a mandare curriculum nel campo dell’editoria, senza mai ricevere risposta.
Mandavo fino a quaranta curriculum a settimana.

Ad un certo punto, ho iniziato a non dormire più.

Credo che ogni giovane, oggi, abbia provato almeno una volta quella sensazione: lo smarrimento. Il senso di vuoto, quella percezione di totale rifiuto da parte del mondo.
Come se non servissimo nulla a questa realtà. Come se la nostra presenza non fosse nemmeno gradita.

Ricordo che persino mandare curriculum era diventata una vergogna per me: mi sentivo quasi come se stessi chiedendo l’elemosina a qualcuno, tale era la non considerazione che ricevevo. E come me, tanti altri.

Come spesso accade, quando non riesci a trovare nulla, devi provare a cambiare la direzione nella quale stai guardando.

Io avevo bisogno di trovare un lavoro al più presto.
Un mio amico, che stava lavorando nella ristorazione, un giorno mi disse: “Guarda che qui stanno cercando: se vuoi…

Portai il curriculum al locale.
Feci un colloquio. Dopo una settimana mi fecero firmare il contratto.

Il giorno in cui iniziai, il mio amico mi fece l’occhiolino e mi disse: “Ora sono cazzi tuoi. Preparati.

Non avevo la più pallida idea di che cosa significasse quella frase.
Una settimana dopo, lo scoprii.

Lavoro operativo

Imparare un lavoro operativo: le difficoltà iniziali

Qui è una giungla.

Fu questo quello che pensai all’inizio.

Il mio primo giorno di lavoro fu un festivo, a Pasqua. In chiusura.
Me lo ricordo come se fosse ieri.

Non ero in grado di fare nulla. Ero una persona completamente incapace di rapportarsi con il pubblico: una ragazza molto timida e insicura che si vergognava anche solo a dire “Buonasera” ai clienti.

Non ero nemmeno in grado di tenere in mano una scopa.
Quel giorno ricordo che il manager di turno mi disse: “Dai, adesso spazza per terra, che dobbiamo chiudere.”

Non so come si fa” gli risposi. Ho sempre avuto il difetto di essere troppo sincera.
Lui si fermò un istante, la mano che reggeva la penna rimase sospesa per aria. Si voltò a guardarmi: “Ma sei seria?

Diciamo che non iniziai proprio bene.

Comunque, io e quel manager siamo rimasti amici. Oggi, le volte che ci incontriamo per bere una birra, mi dice ancora: “Ma ti ricordi che quando sei entrata lì dentro non sapevi nemmeno spazzare per terra?

All’inizio per me fu un incubo. Il lavoro era molto veloce, c’era tanto con cui avere a che fare.
Ricordo che alcune mie amiche mi dicevano: “Ma cosa ci fai tu, lì dentro? Perché stai lì a lavorare?

Tutti pensavano che quello fosse un lavoro da idioti.
Molti lo pensano ancora. Pensano che un lavoro operativo di quel tipo lo possa fare chiunque.
Sono gli stessi che non resisterebbero due settimane.

All’inizio fu molto dura.
Poi andò meglio.
Quell’estate in cui lavorai persi circa quindici chili.
Una bella alternativa alla dieta, in effetti.

Non esistevano più sabati o domeniche. Non esisteva più ferragosto, non avevi i giorni per andare in ferie perché il contratto era stagionale.
Ma a me non importava.
Ero entrata lì senza sapere fare niente ed ero curiosa di imparare.

Quell’estate imparai da quel lavoro più di qualsiasi esame io abbia mai dato all’università.

Lavoro operativo

Imparare da un lavoro operativo: il team working

Quando iniziai quel lavoro operativo, credevo che la cosa più difficile per me sarebbe stata il rapporto con i clienti.

In realtà, ben presto mi resi conto che la sfida più dura sarebbe stata quella di convivere con più di trenta persone, tutte nello stesso locale.
Tutte donne, oltretutto.

Trenta persone diverse: trenta personalità, attitudini, menti, diverse.

Forse non è mai veramente facile. Nemmeno se hai a che fare con un gruppo di colleghi più ristretto.
Ma la cosa che ho imparato è che in un ambiente nuovo, specialmente quando non conosci minimamente il lavoro, ci devi entrare a testa veramente molto molto bassa.

Una volta imparato il lavoro, poi, arriva un’altra difficoltà: reggere l’arroganza di chi non sopporta che tu abbia imparato.
A volte penso che certe persone non vorrebbero mai vederti crescere: a loro andrebbe bene vederti sempre lì, al solito stadio, senza mai ottenere risultati.

In questo modo, non sarebbero costretti ad ammettere a se stessi che sono loro a non essere in grado di fare una crescita.

Ad ogni modo, imparai che anche in un ambiente difficile puoi imparare a lavorare in team.
Anche in un ambiente duro, puoi imparare come vivere il team working senza spargimenti di sangue.

Tutto quello che bisogna fare, per imparare a lavorare in team, io lo racchiuderei in una parola: aiutare.
Aiutarsi a vicenda, essere disponibile per gli altri.
Disponibile per i cambi turno, perché magari c’è quella collega che ha i figli e ha bisogno di quel determinato giorno per portarli dal dentista.

Essere disponibile ad ascoltare. Ascoltarli quando nessun altro lo fa.

Ma, soprattutto: mettere il rispetto per se stessi sopra tutto e tutti.
Una cosa che io imparai forse troppo tardi.

Lavoro operativo

Capolinea lavorativo: ovvero, quando senti di dover mollare la presa

Non tutti sono fatti per un lavoro operativo.
Non tutti sono fatti per lavorare in team.
Non tutti sono in grado di rapportarsi con il pubblico o reggere dei ritmi di lavoro indubbiamente elevati.

Questo mi è stato chiaro fin da subito.
Ma soprattutto: non tutti possono fare un lavoro operativo per tutta la vita.

Io ero entrata in questo lavoro un po’ per scelta, un po’ perché non avevo scelta.
Sapevo che mi sarebbe servito moltissimo e così è stato.
Per il resto… diciamo che il mio ingresso in quel tipo di lavoro equivale all’ingresso che fece Alice nel Paese delle Meraviglie: ruzzolando goffamente attraverso la tana del Bianconiglio.

Con il tempo, quel tipo di lavoro ha iniziato a starmi stretto.
Incominciavo a non reggere più quei ritmi: la velocità, che era da sempre una cosa che mi aveva contraddistinta, iniziava a calare in me.

Iniziavo ad aver voglia di fare una vita più “normale”: i turni, che fino a quel momento mi erano sempre stati comodi, iniziavo a non tollerarli più.
Avrei voluto un lavoro che mi desse la possibilità di stare a casa il weekend, di poter condurre orari di vita “normali”.

Iniziai a pormi delle domande.

Perché io ero partita facendo quel tipo di lavoro?
Perché altri laureati invece erano partiti facendo il lavoro che volevano?
Perché non poteva succedere anche a me quello che era successo loro?

Me lo chiedevo spesso.
Vedevo giovani laureati fare percorsi di stage in aziende grandi, li vedevo entrare dalla porta di ingresso senza tante difficoltà e mi chiedevo: perché io devo passare dalla porta sul retro? Perché loro riescono a ottenere il lavoro che vogliono e io, invece, mi ritrovo a lavare i pavimenti? 

In una parola: autostima.
Io non credevo di meritare il lavoro che volevo.
Credevo di dover imparare a superare delle prove.

In qualche modo, sentivo che dovevo imparare a sfidare me stessa.
Affrontare prove diverse e lavori diversi da quello che mi ero prefissata.

Così, mentre io continuavo a fare un lavoro operativo e a dirmi che ero troppo debole per cercare di fare ciò che realmente volevo nella vita, era questo stesso lavoro operativo che mi rendeva sempre più forte.

Alla fine avrei ottenuto anche io il lavoro che volevo.
La differenza era che io avevo bisogno di partire lavando i pavimenti.

E non c’è mai stato un lavoro, fino ad ora, che mi abbia insegnato più di questo.

Lavoro operativo

Cosa insegna un lavoro operativo: 5 cose che ho imparato


La gente sottovaluta i vantaggi del buon vecchio lavoro manuale, dà un grande senso di libertà“.

Morgan Freeman – Una settimana da Dio

1) Le persone non sono solo numeri.

Sembrerà scontato e banale da dire.
In realtà non lo è mai. Specialmente per quanto riguarda un lavoro operativo.

Le persone non sono numeri, sono persone.
Ognuna di loro ha carattere, insicurezze, disagi interiori che neanche possiamo lontanamente immagina.

Ascoltarle non fa male, anzi. Apre molte porte alla convivenza, specie se fra colleghi.

2) L’empatia e l’altruismo nel team working.

Sono fondamentali per lavorare in team.
Se sei in grado di capire la persona che hai di fronte (in questo caso, il tuo collega), se sarai in grado di ascoltarlo e di stabilire una comunicazione attiva e positiva, allora riuscirai anche a stabilire un rapporto.

Perché l’empatia genera gentilezza: la gentilezza, genera tolleranza per i difetti altrui.
Tutto conduce al rispetto reciproco.
E, perché no, anche ad una possibile amicizia al di fuori.

Sì, tutto questo è possibile anche in un ambiente di lavoro difficile.

3) Spegnere il cervello e dimenticarsi dei problemi esterni.

Questa è una cosa che a me capitava sempre, tutte le volte che entravo in turno.
Mi capitava soprattutto quando ho iniziato a lavorare come barista.

Una volta che entravo al locale, indossavo la divisa e iniziavo il turno e non pensavo ad altro se non a lavorare.
Tutti i problemi che avevo al di fuori non è che svanivano: semplicemente, non avevo tempo per pensarci.
Ero troppo occupata a correre, a sbrigarmi a portare a termine i miei compiti, a servire i clienti, per pensare ad altro.

In pratica: un lavoro operativo aiuta a svuotare la mente perché te la tiene impegnata.

Almeno, questo succedeva a me.

Lavoro operativo

4) Superare timidezza e insicurezza grazie al contatto con il pubblico.

Sembra una cosa semplice.
Non lo è.
Per questo, non tutti sono portati a lavorare a contatto con i clienti.

Quando io ho iniziato a lavorare con la clientela, ero talmente timida e insicura che non ero nemmeno in grado di dire “Buongiorno” o “Buonasera“.

Il contatto con il pubblico mi ha aiutato, piano piano, a tirare fuori la mia personalità.
Certo, non è sempre semplice anche perché non tutte le persone sono uguali.
Ci sono veramente tanti maleducati in giro.

Però, ecco, a me è servito molto sotto questo punto di vista.

5) Sviluppare il controllo di se stessi e aprirsi al dialogo con le altre persone.

Quando ho iniziavo a lavorare come barista mi sono accorta che non solo il lavoro non mi dispiaceva, ma che c’era un qualcosa di bello in tutto questo che non avevo mai considerato appieno.

I clienti.
Ecco, magari non tutti.
Ma posso dire con sincerità che grazie a quel tipo di lavoro io ho scoperto le persone.

Ho scoperto che mi piace parlare con le persone.
Mi piace ascoltare le loro storie. Mi piace vedere il modo in cui si umanizzano quando dai loro attenzione.
Mi piace vedere come si aprono quando chiedi loro se hanno una famiglia.

La cosa incredibile che ho scoperto è che tutti noi siamo uguali.
Tutti noi abbiamo disagi, emozioni represse, rabbia, però, abbiamo un’altra cosa in comune: abbiamo bisogno di comunicare e di essere ascoltati.

E questa cosa io l’ho scoperta lavorando come barista.

E quelle persone sono diventate in qualche modo la mia ispirazione per scrivere di loro, per dare gentilezza, per regalare un sorriso in più.

Di questo ne abbiamo urgente bisogno tutti.

Martina Vaggi

Photo credit: Unsplah e Pexels

Autori emergenti

‘Mabel’, l’inedito di Matteo Orlandi uscirà con BookaBook: video intervista

Si intitola “Mabel” ed è il primo libro inedito di Matteo Orlandi.

Presento il nuovo protagonista della rubrica “Autori emergenti“. Vogherese d’adozione, Matteo svolge per anni un lavoro operativo che, come lui stesso ci dice nell’intervista, rappresenta per lui una: “Fonte di ispirazione per i suoi protagonisti e i dialoghi.

Come spesso accade, è la passione per la scrittura che lo sprona a volere di più.
Per anni, infatti, Matteo coltiva un sogno: quello di poter, un giorno, finalmente, pubblicare un libro.

L’occasione arriva scrivendo “Mabel” e superando quell’enorme paura che lo attanaglia, come lui stesso ci racconterà nell’intervista: la paura di non essere abbastanza, di non riuscire.
La paura di cambiare.

Solo qualche mese fa, Matteo supera questa sua paura: propone il libro a BookaBook e l’idea piace.
Il libro, ancora inedito, in una settimana di crowdfunding raggiunge e supera brillantemente le 200 copie in pre-order, presso il sito di BookaBook.

La pubblicazione dell’inedito è prevista per febbraio 2022.

Ma ora vi porto conoscere meglio di che cosa parla “Mabel“.

Matteo Orlandi
Immagine promozionale scelta per la campagna BookaBook di “Mabel”

“Mabel”: di che cosa parla il primo inedito di Matteo Orlandi

Con una trama che oscilla tra il noir e il thriller psicologico (come sarà l’autore stesso a raccontarci), “Mabel” è quel romanzo profondo che non ti aspetti, che ti emoziona proprio perché nasce da sentimenti veri e genuini.

Proprio questi sentimenti emergono dalla carta, trasudano da ogni parola scritta e sentita.

L’autore stesso ci concede una prova di questo con la lettura di un passo molto importante del libro (per saperne di più, guarda la video intervista a fondo articolo).

Trattandosi di un inedito, in accordo con l’autore, ho deciso di non svelarvi di più.

Ma per farvi un’idea più precisa, vi lascio la sinossi di “Mabel“.

La sinossi dell’inedito

La sinossi dell’inedito, disponibile anche sul sito ufficiale di BookaBook, è questa:

<<A volte il mondo fa schifo…>>.
<<… E c’è da aggrapparsi a qualcosa in grado di renderlo migliore>>.

Mabel

Questo è ciò che ha spinto i detective Torres e O’Hara ad andare fino in fondo ad una serie di omicidi che hanno coinvolto una variegata girandola di persone al punto tale da intrecciarne le strade in modo che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato.

E’ il 1989 in California, più precisamente a Santa Barbara e attorno a questa spirale di morte si trovano costretti ad agire una serie di personaggi dalle vite completamente diverse ma con un obiettivo comune: trovare il responsabile di tutto l’orrore che si sta riversando città.


Non mancheranno le conseguenza di questa folle corsa contro il male e il presente vedrà l’incombenza di un passato mai del tutto dimenticato, pronto a cibarsi delle paure che il caso porterà nella sua scia.
Un giornalista, tre poliziotti, un bizzarro gruppo di amici e una ragazza che ricorda una dea caduta negli inferi.

Chi pagherà il prezzo dei propri errori?

Qualche estratto dal libro

Per incuriosirvi, l’autore ha reso disponibile qualche estratto.
Eccone tre:

  • L’uomo si avvicinò lentamente stringendo la pistola senza sollevarla.
    I due si guardarono negli occhi e le loro vite si intrecciarono così come il loro destino.
  • <<E di Magnum P.I. cosa ne pensi?>>.
    Disse Eric indicando con il pollice l’uomo che avevano appena interrogato.
    <<Un uomo qualunque in un posto qualunque. Solo che stavolta era il posto sbagliato>>.
  • <<Che cosa ci fa una ragazza carina come lei tutta sola in un locale come questo?>>. Chiese Charlie.
    <<Chiamami Mabel, per favore>>. Porse la mano.
Matteo Orlandi
Immagine scelta dall’autore a rappresentare la trama di “Mabel”.

Il crowdfunding su BookaBook: più di 200 copie pre-ordinate in una settimana

Ha impiegato una sola settimana, neanche, a mandare in pre-order più di 200 copie, tra eBook e cartaceo.
Mabel“, si è così subito aggiudicato un posto tra i libri che verranno pubblicati nell’anno 2022 dalla casa editrice BookaBook.

Per chi non lo sapesse, BookaBook è una casa editrice fondata nel 2014, attiva ora più che mai nell’obiettivo di trasformare il lettore da consumatore a parte attiva della vita del libro.

Questo viene messo in atto attraverso le campagne di crowdfunding: il libro viene posizionato sulla piattaforma con la trama, alcuni estratti e la biografia dell’autore.

C’è un limite di copie che è possibile prenotare, superate le quali l’autore ottiene l’ambito premio: la pubblicazione dell’inedito. Infatti, se il numero di copie pre-ordinate supera quel limite, il libro passa quell’obiettivo e verrà quindi pubblicato: nel frattempo, verrà sottoposto ad un editing e verrà realizzata la copertina.

Una volta raggiunto lo step che riguarda la pubblicazione, si passa a quello successivo, che garantirà una maggiore pubblicità al libro una volta pubblicato. E così via, obiettivo dopo obiettivo.

In questo modo, è il lettore a scegliere a quale libro dare maggiore visibilità (e, di conseguenza, la possibilità di essere pubblicato).

Nel caso di “Mabel“, più precisamente, si parla di febbraio dell’anno prossimo per la sua pubblicazione.

In questo momento, l’inedito è in corsa per arrivare al prossimo step: un ulteriore passo nell’ottenimento di maggiore pubblicità. Al momento, a “Mabel” mancano solo 26 copie al raggiungimento del prossimo obiettivo.

Se volete sostenere la campagna e acquistare la vostra copia in pre-order, potete farlo da qui.

La video intervista all’autore sul libro inedito “Mabel”

In questa intervista, l’autore ci racconta di com’è nata in lui l’idea di “Mabel“: ci parla del suo percorso di crescita personale che l’ha condotto alla scrittura e alla realizzazione del suo primo inedito, grazie anche alla casa editrice BookaBook.

Qui potete trovare l’intervista all’autore sul suo inedito “Mabel“.
Buon ascolto!

Biografia dell’autore

In un mondo in cui “i Simpson l’hanno già fatto” la mia biografia potrebbe essere questa: non ho scelto il liceo classico, anche se avrei dovuto.
Non mi sono iscritto all’università, anche se avrei dovuto.
Non ho dato sfogo alla mia passione per la scrittura per quasi trent’anni, anche se avrei decisamente dovuto.

Alla fine, eccomi qui, con l’opportunità di pubblicare il mio primo romanzo (spero di una lunga serie) con la consapevolezza che non si diventa scrittori solo perché si pubblica un libro. 
A tal proposito colgo l’occasione, parafrasando uno dei miei film preferiti, per esprimere ciò che vorrei fare da grande: “Ci sto provando, Ringo, ci sto provando con grande fatica a diventare scrittore”.

Matteo Orlandi
Immagine scelta dall’autore a rappresentare la trama di “Mabel”.

Contatti

Qui potere trovare i contatti social dell’autore.

Non dimenticatevi di seguirlo per rimanere aggiornati sulla pubblicazione del suo inedito “Mabel“.

Facebook: https://www.facebook.com/matteo.orlandi.14

Instagram: https://www.instagram.com/teo_o91/

Ricordo che se volete pre-ordinare “Mabel” potete farlo direttamente da qui.

Video intervista e articolo a cura di
Martina Vaggi

Photo credit: Matteo Orlandi e sito ufficiale di BookaBook

Autori emergenti

‘Cercala la notte’, il nuovo singolo di Marco Cignoli: video intervista

Si intitola Cercala la notte il nuovo singolo elettropop del cantante e conduttore pavese Marco Cignoli.

Il brano, scritto e cantato da Marco Cignoli e prodotto nei Saigood Studios dai fratelli milanesi Daniele e Francesco Saibene, è caratterizzato da un suono elettropop ispirato alle tracce più celebri dei Depeche Mode.

In radio dal 4 giugno 2021, Cercala la notte è un brano dedicato a tutti i “figli della notte”, ovvero coloro che amano la vita che si trasforma con l’arrivo dell’oscurità.

Una notte che è ricca di opportunità ed occasioni tanto quanto il giorno, ma sicuramente meno legata alle convenzioni sociali alle quali tutti siamo talvolta “obbligati” ad adattarci.

Cercala la notte

“Cercala la notte”: la nuova canzone di Marco Cignoli che invita alla libera espressione di se stessi

Proprio a partire da questa riflessione su un mondo notturno, contrapposto a quello diurno che, solitamente, tutti noi siamo portati a vivere, Marco Cignoli trova l’ispirazione per scrivere questo brano, Cercala la notte:

“Il testo di “Cercala la notte” nasce prima di tutto come reazione spontanea a una serie di persone che mi esortavano ad abbandonare l’abitudine di vivere la notte. La frase che sentivo spesso era che di notte bisogna dormire, di giorno bisogna vivere, ma non sono mai riuscito a farla mia.”

Marco Cignoli

Cercala la notte è, allo stesso tempo, un brano che invita alla ricerca e all’accettazione del proprio “io” più nascosto e represso.

Il testo, scritto da Marco Cignoli, riporta un’apertura totale alla libertà di essere sé stessi con orgoglio e coraggio: è un invito alla ricerca delle parti più “notturne” del proprio essere, che sono spesso anche le più autentiche.

Proprio quel coraggio necessario ad esporsi, a mettere se stessi in discussione, a rompere le convenzioni, in un mondo che ci vorrebbe tutti tranquilli e relegati nel nostro angolino pre-confezionato.

Questo concetto viene espresso molto bene nel video clip del brano Cercala la notte.

Cercala la notte

Il video clip della canzone

Il video clip di Cercala la notte vede come protagonisti non solo Marco Cignoli, ma anche Marco Stella (alias Marika Star) e Alex Giustizieri.

Il video clip della nuova canzone di Marco Cignoli è veramente molto bello e ricco di significati profondi e di metafore, che riguardano il cambiamento e la trasformazione di noi stessi, al fine di esternare veramente il nostro Io senza paura, abbattendo le convenzioni alle quali siamo soliti sottostare.

Cercala la notte infatti, come si può ben capire guardando il video, è anche un omaggio alla cultura Drag e, in generale, al mondo LGBTQ+, da sempre simbolo inossidabile di coraggio e perseveranza nel voler affermare e difendere la libertà di essere sé stessi.

Potete trovare il video clip della nuova canzone di Marco Cignoli, Cercala la notte, direttamente qui.

Vi consiglio veramente di vederlo.
Ne vale davvero la pena.

Cercala la notte

La video intervista a Marco Cignoli sul nuovo singolo “Cercala la notte”

Marco Cignoli è stato già ospite del mio blog in passato, quando ha presentato uno dei suoi brani precedenti, La mia Mercedes, il cui articolo potete trovarlo qui.

Sono stata molto felice di averlo potuto intervistare in occasione dell’uscita del suo nuovo singolo Cercala la notte.

In questa breve intervista Marco ci racconta com’è nata l’idea di scrivere il suo brano Cercala la notte: ci racconta curiosità e retroscena sul significato profondo di questa canzone e ci parla dell’importante percorso artistico che sta intraprendendo con i fratelli Saibene dei Saigood Studios.

Vi lascio la video intervista qui.
Successivamente, potete trovare anche il testo del brano Cercala la notte e la biografia di Marco Cignoli.

Buon ascolto!

Il testo della canzone

Se volete leggere per intero il testo della canzone di Marco CignoliCercala la notte“, lo potete trovare qui.

Credits della canzone

  • Marco Cignoli: testo, voce, cori;
  • Daniele Saibene: chitarre, basso, arrangiamento, produzione;
  • Francesco Saibene: batteria, synth, arrangiamento, produzione Arrangiato, prodotto, registrato e mixato presso Saigood Studios (Milano) Mix: Francesco Saibene presso Saigood Studios (Milano);
    Mastering: Giovanni Versari presso La Maestà Studio (Tredozio)
  • Etichetta: Jab Media;
  • Radiodate: 4 giugno 2021.
Cercala la notte

Biografia di Marco Cignoli

Marco Cignoli nasce a Voghera nel 1988.

L’esordio nella musica avviene nel 2010 grazie al singolo corale a scopo benefico “Noi Siamo Qui” scritto e prodotto da Michael Righini. Nel 2018 pubblica il primo singolo “Can You Love Me“, prodotto da Alessandro Porcella. Nel 2020 collabora con Dj Sheezah alla realizzazione di due singoli: “Figlio Imperfetto” e “La mia Mercedes“.

Come reporter televisivo, nel 2012 avvia una collaborazione con Tele Pavia Web e un lungo matrimonio con Occhio Pavese, principale web tv del territorio per la quale conduce, scrive e produce centinaia di programmi, eventi dal vivo e interviste.

Nel 2015 presenta l’evento esclusivo di Loredana Bertè al Caffè Letterario di Roma. Nel 2018 conduce la 21° edizione del VideoFestival Live con Consuelo Orsingher e Mara Maionchi. Dal 2018 frequenta con successo il corso di conduzione radiofonica presso l’Accademia 09 di Milano.

Nel 2019 è autore e conduttore per alcune emittenti radiofoniche.
L’anno successivo, dal teatro de La Triennale di Milano, presenta il prestigioso Premio Virtù Civica.

A febbraio 2020 pubblica l’opera letteraria “Francesco Cignoli: all’ombra della quercia“, basata su tre memoriali lasciati in eredità da nonno Francesco al nipote Marco.

Il libro entra nella top25 Amazon delle biografie più acquistate in Italia.

Da novembre dello stesso anno conduce il programma quotidiano “Happy Day” su Babayaga Tv, la rete televisiva musicale disponibile sul canale 601 del digitale terrestre.

Per la web tv Jab Media Tv realizza interviste e reportage.

Cercala la notte

Marco Cignoli: contatti e social

Articolo e video intervista a cura di
Martina Vaggi

Photo credit: Elena Bonini

Letture e recensioni

Dylan Dog: 5 motivi per cui i fumetti aiutano a superare il blocco del lettore

“C’è chi dice che la vita di tutti è soltanto un sogno”

Dylan Dog, albo 7.

Ti corichi sul letto. Accendi la luce.
Quella che hai preso apposta per leggere (sì, esatto: proprio quella che si pinza alle pagine del libro e ti illumina la stanza a giorno).

Guardi l’ora sul telefono: è passata da poco la mezzanotte.
Ci siamo: è l’ora giusta per leggere.

Prendi il tuo libro dal comodino, te lo porti in grembo, lo apri e inizi.
Leggi una riga. Poi la rileggi di nuovo.
Poi di nuovo.

Niente da fare.
La mente non ti ascolta. La mente vaga per i fatti suoi.

Di leggere proprio non se ne parla.

Questo è il cosiddetto “blocco del lettore“.

Succede anche a voi?

Blocco del lettore

Blocco del lettore: troppe distrazioni che… distraggono

Ricordo che quando avevo tredici anni un libro di duecento pagine lo facevo durare sì e no due giorni. A quell’età avevo la passione per i libri sui disturbi alimentari, ospedali psichiatrici e vampiri.

Argomenti molto vivaci e felici, insomma.
Però, almeno, leggevo. E anche tanto.

Un tempo leggevo ovunque.
Su una panchina in mezzo ad un parco, sul treno che mi portava all’università: in macchina, nelle sale di attesa prima di sottopormi ad una visita.
Ovunque.

Sono andata avanti così per un po’, fino a quando non ho iniziato a… perdermi.
A distrarmi.
Oggi faccio fatica a leggere sul letto, sul divano, all’aria aperta.
Un po’ come se fossi in un periodo di blocco del lettore perenne.

A sottolineare il fatto che non è tanto la location che stimola: come sempre, la spinta deve venire da dentro di noi.

Forse è stato con l’inizio dell’Università: avevo dei mattoni da più di mille pagine da studiare e intere collane di classici da leggere (ho studiato Lettere n.d.r.).

Forse è stata colpa dell’avvento dei Social Network, di questa vita frenetica, della nostra sempre più abituale abilità al multitasking.

Blocco del lettore

Forse sono questi mille pensieri che tengono un occhio sullo schermo del cellulare e uno sul film in prima serata, mentre le dita si muovono velocemente sulla tastiera del computer.

Il tutto, mentre in sottofondo, dagli auricolari passa la musica di Frank Sinatra.
Ok, forse tirare in ballo Frank è un po’ troppo, ora.

Comunque, questo fantomatico “blocco del lettore” esiste e io lo sto vivendo ad intermittenza da anni ormai.

Alcuni dicono che per combatterlo serva leggere gli eBook, altri sostengono che sia sufficiente spegnere la tv per non avere distrazioni dalla lettura, mentre altri ancora suggeriscono di leggere più libri alla volta.

Io non so quali di questi suggerimenti vada bene per voi.
Posso raccontarvi come ho fatto io a superare il blocco del lettore.
Posso dirvi cosa è successo a me.

Un giorno, ho conosciuto Dylan Dog.

Blocco del lettore

Il mio metodo di indagine è di scartare tutte le ipotesi possibili. […] Ciò che resta è molto più divertente, e guarda caso è il mio mestiere: l’incubo.

Dylan Dog, albo 1

Dylan Dog: l’incontro con questo magnifico fumetto

Due anni fa, a metà settembre, mi trovavo a bordo di una nave diretta verso la Sardegna.

Ero in viaggio con il mio fidanzato, nella nostra prima vacanza insieme.
Stavo girovagando per la nave, quando mi sono infilata per per caso in un negozietto che vendeva un po’ di tutto: c’erano gioielli, profumi, giornali…

E quelli?

Mi sono avvicinata furtivamente a quell’angolino di editoria che non avevo mai visto così da vicino.

Erano fumetti. Dylan Dog, per la precisione.
Fu lì che ne presi uno, giusto per provare.
Era uno dei primi numeri, uno di quelli che non riesci a trovare nemmeno se ti ci impegni.

(Su Amazon, però, ho trovato la ristampa dei n. 16 e 17. Lo trovate qui.)

Poco dopo ero tornata alla mia poltrona, completamente immersa in quella che per me all’epoca era una nuova e particolare lettura.

Ovviamente, già conoscevo Dylan Dog, o meglio: conoscevo il suo nome.
Lo avevo già sentito e risentito nominare.
Conoscevo molto bene l’argomento “Vampiri/zombie/morti viventi”, perché mi aveva sempre appassionato, fin dalla prima volta in cui lessi “Dracula” di Bram Stoker.

Il fumetto: pillole di storia sul medium

Il fumetto è un media che spazia fra diversi generi letterari, dedicato sia ai ragazzi sia agli adulti.
Il termine italiano si riferisce a questa “nuvoletta” (in inglese definita “balloon“), usata all’interno delle immagini per racchiudere i dialoghi tra i personaggi.

Blocco del lettore

Il fumetto, infatti, può essere definito come un testo costituito principalmente da immagini e parole, che ne costruiscono la narrazione.

In USA e Inghilterra i termini con cui è indicato sono “comics” o “comic books“: in Giappone è conosciuto sotto il nome di “manga” che significa “immagini in movimento“.

L’origine del genere

Diffusosi nel novecento, l’America vide la nascita del comic book a cavallo fra le due guerre mondiali: qui apparvero le prime storie a puntate con la comparsa di diversi personaggi.
Tra questi, quelli destinati a divenire i più noti (come Superman e Batman), comparvero per la prima volta su riviste contenitore (“Action comics“, ad esempio): era editorialmente ancora troppo rischioso pubblicare dei singoli albi.

In Europa il fumetto fece il suo esordio su periodici come il “Corriere dei piccoli“, dove ebbe molto successo. Nelle trincee veniva letto dai soldati, grazie alla circolazione di giornali dedicati proprio a loro.
Fu nel secondo dopoguerra che comparvero gli albi nel formato Bonelli, per il genere giallo, generando personaggi divenuti poi molto noti, come: Diabolik, Zagor e Tex.

Blocco del lettore

In Giappone il fumetto è principalmente concepito come un romanzo a puntate e ha un vasto pubblico di lettori sul quale può contare, a differenza dell’Italia, dove il genere è ritenuto forse di basso valore artistico.

Dylan Dog: storia e curiosità del cult del fumetto italiano

Come dicevo prima, Dylan Dog è stato il mio primo amore.
Ho adorato questo fumetto fin da subito, sia per il genere horror (vampiri, fantasmi, maledizioni, mostri) sia per il personaggio e per il modo in cui è strutturato.

Successivamente ho avuto modo di leggere anche Zagor, che ho trovato altrettanto interessante.

Ma torniamo a parlare di Dylan Dog, del quale vorrei ora indagare le sue origini.

Il personaggio

Ho una mezza idea di cambiare mestiere… 

Dylan Dog, albo 56

Il personaggio è stato creato da Tiziano Sclavi ed elaborato graficamente da Claudio Villa e ha dato il via all’omonima serie horror, edita per la prima volta nel 1986 dalla Daim Press, poi divenuta la Sergio Bonelli Editore.

L’incredibile successo della serie lo ha reso uno dei fumetti italiani più venduti, tradotto e pubblicato anche all’estero.
Nel 2010 è stato diretto anche un film omonimo, ispirato deliberatamente al personaggio.

Il nome Dylan Dog

Per il nome, Sclavi pensò a Dylan in onore di Dylan Thomas (poeta, scrittore e drammaturgo gallese): il cognome, invece, deriva dal titolo di un libro di Mickey Spillane (“Dog figlio di“) che l’autore vide un giorno in una libreria.

L’ambientazione

Inizialmente la serie avrebbe dovuto ambientarsi in America, con un Dylan Dog in veste di investigatore solitario, senza Groucho, la sua futura spalla comica.
Ma l’Inghilterra appariva già allora più adatta al genere horror per via delle sue antiche tradizioni: in più, in America c’era già Martin Mystère, serie di fumetti italiana edita anch’essa da Bonelli.

Così per l’ambientazione Sclavi scelse la città di Londra, dove un investigatore sarebbe in realtà divenuto un indagatore dell’incubo e avrebbe avuto il nome di Dylan Dog: le sue fattezze fisiche sarebbero state similari a quelle dell’attore Rupert Everett e il personaggio avrebbe avuto una trentina d’anni circa.

Non fumatore ma astemio: nessun vizio apparente, se non quello di avere un passato da alcolista.

Blocco del lettore

Groucho è il nome dell’assistente di Dylan Dog, sosia dell’attore Groucho Marx, personaggio alquanto particolare: perennemente al fianco di Dog, uomo dalla lealtà ferrea e dalla (pessima) battuta facile.

L’esordio in edicola

Dyla Dog uscì in edicola a fine settembre del 1986: l’esordio fu un totale fiasco.
Solo qualche settimana dopo arrivò la telefonata dal distributore:

“È un boom, praticamente esaurito, forse dovremo ristamparlo”

In pochi anni Dylan Dog diventò un best seller.
Nel 1990 Sclavi vinse il Premio Yellow Kid come migliore autore.

Nel 1991 Dylan Dog arrivò a superare Tex come numero di copie vendute con il n. 69 della serie, intitolato “Caccia alle streghe“.

Su Amazon questo numero di Dylan Dog lo trovate qui:

Dylan Dog: 5 motivi per cui i fumetti aiutano a superare il blocco del lettore

Ma veniamo ora al sodo.

Dopo questo spiegone sui fumetti e sul genere, sarebbe ora interessante vedere, in concreto, in che modo ci possono aiutare quando ci ritroviamo in quei periodi bui, senza avere la minima voglia di aprire un libro per leggerlo.

In che modo, quindi, i fumetti possono aiutare a superare il blocco del lettore?

Blocco del lettore

1. La formula “immagini – testo“.

Se l’unico momento della giornata che potete dedicare alla lettura è alla sera, o a tarda notte, quando la mente è sfinita dalla giornata appena trascorsa, diciamo che leggere un testo accompagnato da immagini aiuta molto.

Principalmente aiuta perché ciò che viene descritto nel testo tu lo vedi già rappresentato dalle immagini e non devi quindi fare l’ulteriore sforzo mentale di immaginartelo tu. In questo modo, ti sarà più facile andare avanti con la lettura e superare l’ostacolo del blocco del lettore.

2. La serialità.

Parliamo di un personaggio che alimenta la sua storia in una serie di numeri che, puntualmente, tutti i mesi potete trovare in edicola. In pratica, la sua storia è inesauribile (in questo momento, ad esempio, io sto leggendo il Dylan Dog n. 415).

Una storia inesauribile ma mai noiosa: si snoda attraverso varie vicende, peripezie del protagonista, relazioni (pericolose e non) e incontri con altri personaggi.

Così facendo, numero dogo numero, vi tiene perennemente attaccati alla storia, con il desiderio di sapere cosa succederà dopo.
Potremmo dire che questo è un altro modo per ingannare il blocco del lettore: la curiosità di voler a tutti i costi sapere cosa verrà dopo.

Blocco del lettore

3. La brevità del racconto.

Anche questo è un punto a favore per chi soffre di blocco del lettore o, come me, ha problemi di concentrazione quando legge.
Prendendo sempre ad esempio Dylan Dog, i suoi numeri, infatti, sono composti perlopiù da 100 pagine circa.

Per questo è una lettura “facile”, piacevole (ovviamente, se vi piace il genere) e non richiede l’impiego di moltissimo tempo e concentrazione.

Forse all’inizio vi sembrerà strano, soprattutto se non vi siete mai approcciati ad un fumetto: credo che questo succeda per via del fatto che molti lo considerano un genere di nicchia, solo per pochi.

Io non l’ho visto assolutamente così: quando mi si è trovata davanti l’occasione l’ho colta e ho scoperto un mondo nuovo e assolutamente interessante sotto molti punti di vista!

4. L’appuntamento in edicola.

Come ho già anticipato prima, ogni mese in edicola potete trovare il numero del fumetto che vi interessa. Questo in effetti stimola ancora di più alla lettura, perché presuppone che ci sia un seguito e quindi stimola una curiosità nel voler scoprire cosa accadrà in quel numero e in quello dopo ancora.

A me, personalmente, incuriosisce molto anche il sapere cos’è accaduto prima, nei primissimi numeri. Questo perché io ho iniziato a leggerlo dopo moltissimi anni che era già in circolazione.

5. Le storie inedite

Ma non tutti i mesi sono uguali.
In effetti, l’appuntamento, per quanto riguarda i fumetti, non comprende solo l’uscita del numero, ogni mese.

Comprende anche molte curiosità storie inedite, che spezzano la monotonia.
Ammesso che ci sia.

Per Dylan Dog, ad esempio, c’è l’appuntamento con il numero bimestrale, che comprende, di solito, due storie inedite.
Poi, il Dylan Dog Magazine, che esce ogni anno nel mese di marzo.
Poi c’è il Color Fest, ovvero il fumetto a colori, che è trimestrale.

Blocco del lettore

Insomma, ce n’è davvero di tutti i gusti per non annoiarsi mai.
E per non smettere mai di leggere.

I fumetti sono divenuti il mio modo personale per affrontare il blocco del lettore.
E il tuo qual è?

Martina Vaggi

Photo credit: Pexels e Pixabay.
Le foto dei fumetti di Dylan Dog e Zagor appartengono al blog.

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Autori emergenti

Luca Scopitteri: 10 domande all’autore della trilogia de “Il creatore di sogni”

Ben ritrovati all’appuntamento con la rubrica “10 domande all’autore emergente”, firmata Pensieri surreali di gente comune. 

Quest’oggi abbiamo come ospite Luca Scopitteri, autore della trilogia de “Il creatore di sogni”.
Luca è anche il vincitore del premio al “Concorso Letterario Internazionale Lago Gerundo” (2020) con il racconto horror “Gioca con me”.

Ciao Luca, ti do il benvenuto sul mio blog!
Iniziamo subito con la prima domanda.

Luca Scopitteri

Quando ti sei avvicinato per la prima volta alla scrittura?

Luca Scopitteri:

Ciao Martina.
Credo che lo spartiacque sia stato il passaggio dalle scuole superiori all’università. I libri che prima leggevo per obbligo sono diventati un piacere difficile da rinunciare, e la scrittura, i pensieri e la fantasia, hanno trovato sfogo sotto forma di racconti, diari e storie brevi.

E una di queste storie ti ha portato a scrivere il tuo primo libro “Il creatore di sogni”, pubblicato nel 2017. 

Che cosa ti ha spinto a intraprendere questa strada
Ci racconti brevemente la trama del libro?

Luca Scopitteri:

È stato il desiderio di mettermi in gioco. Negli anni ho sviluppato così tante idee, che alla fine ho deciso di darle sostanza in un progetto lungo e articolato, un romanzo appunto. 

Molte volte si scrive per necessità, per esprimere un’idea, un’opinione, a volte anche un disagio. Nel mio caso da una riflessione che scaturisce da un’attitudine a sognare quasi tutte le notti, sogni vividi che ricordo benissimo e che mi danno molti spunti.

Un giorno mi sono domandato:

“Cosa accadrebbe se i sogni si materializzassero? E se, per contro, lo stesso avvenisse anche per gli incubi?”

Partendo da questa considerazione, nasce la storia di Jay e de “Il creatore di sogni”.

Libro su Amazon:

“Questa realtà è una finzione, una fantasia, una prigione con le sembianze di un paradiso.” Questo è un estratto del tuo libro. 
Molto interessante il tema della realtà mischiata alla finzione: tutto sembra muoversi nell’ambito dell’apparenza eppure c’è della profondità in questo, mi sembra di capire. 

Come mai con questo libro hai deciso di sondare questo “mondo dell’apparenza”, che non sembra per niente facile da rappresentare?

Luca Scopitteri:

Sono sempre stato molto attratto da tutto ciò che non è solo apparenza.

La realtà nasconde spesso delle sfaccettature che ignoriamo, eppure ugualmente interessanti.

Luca Scopitteri

Si scontra la mia duplice natura: da un lato il tentativo di essere razionale nelle scelte e nelle conclusioni, dall’altro la consapevolezza di cercare nella fantasia una valvola di sfogo. 

Quando ci si abbandona a questa fantasia, succede che il mondo dei desideri, della paura e a volte della follia, prenda il sopravvento sulla realtà e diventi difficile comprendere entrambe.

A me piace immaginarmi nella terra di confine tra l’una e l’altra.

Il creatore di ombre” è il secondo libro della trilogia, pubblicato nel 2020 con Bookabook.

Ci racconti brevemente di cosa tratta?

Luca Scopitteri:

È il proseguo della storia di Jay, con l’inserimento di un’altra protagonista, Lana. Alternando i capitoli narrati in prima persona, ripercorro le vite di entrambi, difficili e segnate da profonde ferite, che li porterà a incontrarsi in un mondo onirico. 

Entrambi sono dotati di abilità uniche, che li rendono al tempo stesso potenti e minacciati. Ti lascio l’estratto di un capitolo di cui ho fatto creare un audio.

Per ascoltarlo, clicca qui.

Per acquistare il libro su Amazon, qui:

Anche in questo libro affronti tematiche non facili. E salta all’occhio anche questo: “Il creatore” sembra essere una definizione che ti piace usare molto nei titoli.

Come mai?
Chi è in realtà questo creatore, per te? 

Luca Scopitteri:

Sì, il creatore è la linea guida della trilogia de “Il creatore di sogni”.
In realtà, il creatore è in ognuno di noi

Tutti possono essere in grado di creare qualcosa, nel senso che tutti sono padroni delle proprie scelte e hanno i mezzi per realizzarli.

È pur sempre una generalizzazione, intendiamoci, ci sono situazioni che spesso inibiscono tale capacità. Ma, di massima, il discorso può essere valido per tutti.

Luca Scopitteri

C’è un elemento che accomuna i tuoi libri o i loro protagonisti?

Luca Scopitteri:

Sì, i protagonisti, così come tutti i personaggi dei miei romanzi e racconti, sono persone normali, seppur dotate di abilità uniche. Non si troverà mai un eroe senza macchia, o un antieroe che non abbia motivazioni almeno parzialmente condivisibili.

Non credo nel bianco e nel nero, ma più spesso nelle sfumature. 

La verità dev’essere conosciuta nella sua totalità per poter essere valutata.

Self publishing: tu hai autopubblicato il tuo primo libro, mentre per il secondo ti sei affidato a Bookabook. 
Cosa ne pensi del self? Lo consiglieresti?

Perché, secondo te, sempre più autori si rivolgono al self piuttosto che ad una casa editrice?

Luca Scopitteri:

Il self publishing è uno strumento molto valido, ma devi essere scrupoloso nel tuo lavoro. In veste di lettori, siamo i primi a sospettare di un lavoro autopubblicato a fronte di uno edito con casa editrice. 

Per superare questa diffidenza, bisogna presentare un lavoro quanto più professionale: quindi affidarci a un editor, a un grafico per la copertina e l’impaginazione, a qualcuno che ci aiuti nella pubblicità.

Luca Scopitteri

Sono tutti aspetti che ci fanno diventare imprenditori di noi stessi

Occorrono tempo e risorse da dedicare, e se si fa un buon lavoro il lettore non noterà alcuna differenza rispetto a un libro che trovi sul mercato.

D’altro canto, ci sono realtà come le fantomatiche case editrici a pagamento, che non si preoccupano minimamente del risultato; ecco, di quelle bisogna tenersi alla larga.

Alla luce di questo, mi sento di consigliare il self a chi ha voglia di dedicare impegno anche nel post scrittura; in caso contrario ci sono tante medie e piccole realtà molto valide e desiderose di crescere, che sapranno valorizzare un libro ben scritto.

“Gioca con me” è il racconto horror con il quale hai vinto il primo posto al “Concorso Letterario Internazionale Lago Gerundo” (2020). 

Ci parli di questo racconto? Come ti è venuta l’ispirazione di scriverlo?
Vuoi lasciarci un breve estratto?

Luca Scopitteri:

È la storia di una giovane coppia che, durante un picnic in montagna, incontra una misteriosa bambina che in breve svelerà la sua natura maligna. 

Luca Scopitteri

È una storia nella quale mi sono concentrato sull’aspetto ambientale, sulla paura primordiale che si ha verso l’oscurità, verso l’irrazionale. 

L’idea nasce da una provocazione (amichevole) con il mio docente di scrittura narrativa, un noto scrittore con cui siamo in ottimi rapporti. Direi una sfida, una rivalsa, ma è un piccolo segreto tra noi due.

Ti lascio il link del racconto. Anche in questo caso ho fatto produrre un audio di cui sono particolarmente contento del risultato.

Puoi ascoltare il racconto, qui.

Tu ti sei laureato in Scienze Politiche e successivamente hai intrapreso questo percorso da scrittore.

Questa tua propensione alla scrittura è arrivata dopo o è stato proprio il tuo percorso di studi ad alimentarla?

Luca Scopitteri:

In realtà credo che Scienze Politiche, specie considerato l’indirizzo storico che ho seguito, mi abbia aiutato a migliorare la scrittura. In quegli anni ho imparato i metodi di ricerca, lo studio delle fonti e l’analisi dei fatti, per poi metterle in pratica con tesine. 

È stato sempre in quegli anni che ho iniziato ad amare la lettura e a dare forma ai miei scritti. 

Luca Scopitteri

Uno degli sbocchi di quell’università è il giornalismo. A suo tempo ho preso in considerazione quella strada, ma la vita e le circostanze, a volte, ti “dirottano” altrove. 

Anni spesi bene tuttavia, perché ho accumulato un carico di esperienze che oggi mi tornano utili.

Che lavoro fai per vivere? Vedi nella scrittura, prima o poi, una possibilità concreta di futuro, da un punto di vista lavorativo?

Hai già in progetto un altro libro?

Luca Scopitteri:

Ho una piccola impresa nel campo del tessile. 

La scrittura, come sa bene chi conosce questo mondo, in pochi casi ti permette di vivere solo di quella. Questo non vuol dire che non accada.

Ma è più facile che ci riesca chi è capace di abbinare attività propedeutiche, come editor, correttore di bozze, collaborando con case editrici, e così via.

Vivere di sola vendita dei libri, è un privilegio per pochi.

Luca Scopitteri

Nel mio caso, sto andando per gradi, seguendo corsi di scrittura narrativa affermati, dedicando tempo alla lettura (fondamentale per chi vuole scrivere) e così via. Non si smette mai di imparare e questo può portare solo a migliorarsi.

Quello che verrà, sarà più che ben accetto.

Attualmente ho in lavorazione il mio terzo romanzo. Ho preso una pausa dalla trilogia de “Il creatore di sogni” perché è un lavoro che mi richiede molto tempo per chiudere tutti gli intrecci aperti nei primi due lavori, e il periodo in cui viviamo non aiuta.

Credo che il prossimo romanzo sarà ultimato per la fine della primavera, poi vedremo con la casa editrice quando farlo uscire.

Riprende il racconto “Gioca con me”, quello di cui ti parlavo sopra, una storia di ricerca, a tinte soprannaturali, con un passato oscuro da scoprire.

E io ti faccio un grosso in bocca al lupo per la stesura di questo nuovo inedito e per tutto quello che verrà nella tua vita.

Bene, Luca Scopitteri, queste erano le tue 10 domande.
Sono molto felice di averti avuto ospite per la mia rubrica.

Lascia pure i tuoi recapiti social qui sotto, affinché chiunque lo desideri, possa seguirti e conoscere meglio le tue opere.

Recapiti social di Luca Scopitteri:

Link di acquisto dei libri.

Sito web di Luca Scopitteri.

Pagina Instagram Luca Scopitteri.

Pagina Facebook Luca Scopitteri.

Martina Vaggi

Photo credit: Luca Scopitteri, Pixabay e Pexels.

Crescita personale

5 principi della Legge di attrazione che migliorano la tua vita

Quanto tempo ci vuole affinché la nostra mente trasformi un’azione in abitudine?
Quanto impegno ci vuole nel mantenerla?

La Legge di attrazione: cambiare le abitudini malsane, a partire dai nostri pensieri

Secondo una ricerca, condotta dalla University College di Londra, è stato scoperto che ci vogliono in media sessantasei giorni per trasformare un’azione in abitudine.

Dunque, se dovessimo pensare un attimo a quali siano le abitudini malsane per la nostra vita, quale sarebbe la prima che vi verrebbe in mente?

Legge di attrazione

Questa è la abitudine malsana prima che verrebbe in mente a me: il fumo, la sigaretta.

Se dovessi fare una lista delle abitudini malsane più comuni, nella mia ci sarebbero: fumare, mangiare male, non fare attività fisica, bere troppo…

Anche voi avete pensato alle stesse cose?

Non so se ci avete fatto caso, ma quando si parla di abitudini, ci riferiamo sempre ad abitudini che riguardano il fisico o comunque azioni che riguardano l’esterno.

Avete mai sentito qualcuno indicare come abitudine malsana il pensare troppo? O l'alimentare pensieri negativi?

Io no.

Probabilmente noi attribuiamo la soluzione ai nostri problemi o alle nostre abitudini malsane all’esterno di noi, perché sembra che la soluzione venga da li.
Per questo, se vogliamo smettere di fumare pensiamo: “Che ci vuole? Basta buttare via il pacchetto!” oppure “Basta non accendere la sigaretta e non fumarla.

Così, rispettiamo questo mantra per qualche settimana, per un mese, magari.
Poi, inevitabilmente, torna a farsi vivo nella nostra mente il desiderio di accenderne una.
(Purtroppo so di cosa parlo, ho smesso di fumare innumerevoli volte.)

Questo perché succede?

Probabilmente perché il problema non risiede all’esterno di noi, ma al nostro interno.

Legge di attrazione

Il problema risiede nella nostra mente, o meglio: quel disagio che ci porta a fumare risiede, con tutta probabilità, nella nostra parte inconscia.

E fino a quando non risolvi quello, fino a quando non capisci che tipo di disagio si è venuto a formare con il tempo, portandoti a trovare rifugio in una sigaretta, non potrai mai smettere di fumare per davvero.

Vale un po’ lo stesso discorso per quanto riguarda i nostri pensieri.

Come mai non sentiamo mai nessuno dire:

Forse dovresti cambiare modo di pensare“?

Perché è così difficile dare un consiglio simile?

Perché è così difficile pensare che sia possibile cambiare?
Perché vogliamo a tutti i costi vivere, magari anche nell’infelicità perenne, pensando di non poterci riuscire?

Legge di attrazione

Secondo la Legge di attrazione i pensieri che coltivi ogni giorno ti portano ad essere la persona che sei

Le abitudini sono delle brutte, bruttissime bestie.

Sradicare un’abitudine non è semplice, soprattutto se riguarda il modo in cui siamo stati abituati a pensare e, di conseguenza, agire.

Premessa: la nostra mente sembra nutrire un’attrattiva nei confronti del negativo.
Quanti servizi al telegiornale raccontano una realtà positiva? Ben pochi, come sappiamo.
E quante volte vi è capitato di fermarvi ad assistere ad una litigata per strada? O di tendere il collo per vedere cosa sia successo in quell’incidente d’auto?

Da quanta negatività siamo sempre stati, inevitabilmente, attratti ogni giorno?

Faccio riferimento anche a quelle persone che dicono:

Pensa negativo, così se va male almeno non ti illudi“.

Avete mai conosciuto persone che ragionano così?
Io si, parecchie.
E fino a un anno fa ero una di loro.

Ecco, secondo la Legge di attrazione, di cui parleremo dopo, questo tipo pensiero è nocivo non solo perché è negativo, ma anche perché attrae a te una realtà esattamente speculare ad esso: ossia, una realtà negativa.

Legge di attrazione

Facciamo un esempio pratico: pensare negativo è un po’ come entrare in campo per una partita di tennis con la convinzione che andrai a perdere.

Non vi sembra anche a voi una follia?
Oltre che uno spreco totale di energia e di tempo.

Parlando sinceramente: dopo aver maturato un pensiero simile, voi andreste a giocare la partita?
Non so voi, ma io se penso già di perdere una partita, neanche ci metto piede in campo.
Semplicemente, perché so già che pensando in questo modo perderò.

Avete fatto caso a quante persone sono costantemente focalizzate su pensieri negativi e, di conseguenza, su atteggiamenti negativi verso il mondo, la vita, le cose, le persone, il lavoro…
Il problema è che ognuna di queste persone vuole che anche tu viva male come vivono loro.

Per questo si dice che per stare bene è necessario allontanarsi dalle persone negative.
Perché ti privano di forze, di energia.
Le persone negative hanno un problema per ogni soluzione. 

Ma la soluzione per i loro disagi non puoi essere tu.
Per questo nessuno di noi deve farsi carico dei problemi altrui: ognuno ha i propri da risolvere e li può risolvere solo volendo trovare una soluzione.

Come faccio a saperlo?
Perché, un tempo, io ero esattamente la persona che vi ho descritto qui sopra.
E attraevo esattamente persone negative come me.

Solo che non mi ero ancora imbattuta nei principi della Legge di attrazione, quindi certe cose non potevo ancora saperle.

Legge di attrazione

Pensavo che pensare in maniera negativa mi avrebbe salvato da possibili delusioni.
Fino a quando non mi sono accorta che mi stava letteralmente rovinando sia il presente che il futuro.

E voglio precisare una cosa: quando parlo di “persone negative” non intendo brutte persone.
Nessuno di noi è brutto, bello, bravo o cattivo.
Siamo semplicemente persone.

Una persona può essere negativa per me ma positiva per un’altra.
Esattamente come ogni persona può rappresentare il più bel regalo che la vita possa farvi o il peggiore: dipende tutto da come voi interpretate quella suddetta persona nel vostro percorso.

Tutto dipende dai pensieri che coltiviamo ogni giorno e nutriamo con cura.

Sembra incredibile anche a voi?
All’inizio, per me lo è stato.

Vivere il “qui e ora”: lascia perdere il futuro, non è alla nostra portata

Un’altra interessante fetta di pensieri negativi riguarda quelle persone proiettate perennemente nel futuro.

Avete presente discorsi tipo: “Ma non pensi a quello che potrebbe succedere se…?“, oppure “Ma ti rendi conto di quello che poteva capitarti..?” e ancora: “Non fare questo, perché se lo fai, vedrai che succederà questo/quello/codesto…

Allora.
A parte il fatto che nessuno di noi prevede il futuro.
(Fino ad ora, almeno, non mi è ancora capitato di incontrare indovini certificati.)

Ma, razionalmente, tutto questo pensare e preoccuparsi costantemente per il futuro a che cosa pensate che sia utile?
Che cosa pensate che possa portare di positivo alla vostra vita o a quella di persone che avete attorno?

Ansia, depressione, insonnia.
Poi?
Esaurimento nervoso?

Tutte cose molto positive, insomma.

Legge di attrazione

Perché tutto questo affannarsi, se non sappiamo cosa succederà domani?
Se non sappiamo nemmeno dove saremo, domani?

Probabilmente la risposta risiede nel fatto che siamo dei maniaci del controllo.
Vorremmo avere tutto sotto i nostri comandi.

E non siamo disposti ad accettare una verità che un medico e un infermiere vede tutti i giorni nelle camere di ospedale: noi non abbiamo il controllo sulle cose. 

Non abbiamo il controllo sulla nostra vita.
Possiamo controllare solo i nostri pensieri.
E già è un’azione miracolosa questa.

La realtà che stiamo vivendo tutt’oggi e che abbiamo vissuto per un anno, chiusi in casa, avrebbe dovuto insegnarci esattamente questo: non possiamo vivere proiettati nel futuro.
Il “qui e ora” è l’unico tempo che veramente conta per noi.

Noi dovremmo pensare al nostro presente, è lì che risiede il potere che abbiamo.
Il potere di cambiare le cose.

Nel nostro presente risiede la capacità di modellare il futuro.

Non nel futuro. Il futuro non c’è, ora nella nostra vita e non sappiamo neanche se ci sarà.
E questo continuo e incessante tendere il collo verso un tempo lontano, non farà altro che farci smarrire il presente, questo “qui e ora” che ci riguarda.

Questo modo di vedere e vivere le cose non farà altro che farci annegare nella paura.

“La paura non è reale: l’unico posto in cui può esistere è nel nostro modo di pensare al futuro. È un prodotto della nostra immaginazione che ci fa temere cose che non ci sono nel presente e che forse neanche mai ci saranno. Si tratta quasi di una follia, Kitai; cioè non mi fraintendere: il pericolo è molto reale, ma la paura… la paura è una scelta.”

Dal film: “After Earth”, con Will Smith.

Vivere nella paura.
Annegare nella paura, come in sabbie mobili che ti paralizzano e ti rendono incapace di agire.

Il che è esattamente quello che è sempre accaduto nella mia vita.
Almeno, fino a quando non mi sono imbattuta in questo libro.
Così ho conosciuto la famosa Legge di attrazione.

Legge di attrazione

La Legge di attrazione secondo Mike Dooley

L’arte di far accadere le cose” è un libro che racchiude i principali dogmi della Legge di attrazione.

Questo libro è giunto a me un anno fa, in vista del mio compleanno.
Giunto, sì.

Fu una mia responsabile del lavoro a regalarmelo.
Mi disse: “A me sta aiutando molto a vivere più serenamente. Spero che aiuti anche te.
Assieme al libro c’era un biglietto, scritto da lei. Di questo biglietto ricordo le parole:

“Spero che realizzerai tutti i tuoi sogni”.

Sembra una cosa da prima elementare, direste voi?

Eppure, io ho letto quel libro. E l’ottobre dello stesso anno, in un momento di enorme cambiamento per tutti, ho scritto il mio primo libro.

Coincidenze?
Forse sì, forse no. Vedremo.

Eppure, dopo aver letto “L’arte di far accadere le cose” ed aver mosso i primi passi nel mondo che riguarda la Legge di attrazione, ho smesso di credere più alle coincidenze.

E ho iniziato a capire che tutto accade esattamente per una ragione.

Legge di attrazione
Mike Dooley e la Legge di attrazione, photo credit: Wikipedia

Ma scopriamo qualcosa di più sull’autore di questo meraviglioso libro.

Mike Dooley è uno scrittore statunitense appartenente al movimento filosofico “New Thought“, che persegue il pensiero che tutto ciò che si vuole conquistare sia possibile attrarlo a sé, continuando a credere nel risultato finale.

Dooley è anche uno dei maestri protagonisti di “The secret“, il documentario (poi divenuto libro) di Rhonda Byrne, che parla di questo “segreto”, ovvero racconta come la Legge di attrazione possa influenzare positivamente la nostra vita.

Ma di che cosa parla il libro di Dooley e che cos’è questa Legge di attrazione?

La legge di attrazione: i pensieri diventano cose

“L’abbondanza è un lavoro interiore. Per provocare un cambiamento dovete per prima cosa rivolgervi al vostro interno. Chiarite quello che volete e poi avventuratevi fuori semplicemente nella direzione generica delle vostre passioni. E al momento giusto si farà vivo l’Universo ad afferrare la bacchetta per dirigere l’orchestra.”

Mike Dooley – L’arte di far accadere le cose

La prima volta che ho letto questo libro, mi è stato difficile, da subito, poter credere a quella realtà che vi veniva descritta.

Mi ricordo che sfogliavo le pagine, leggevo sbigottita tutte quelle parole dense di significati profondi e non capivo. Non capivo come tutto questo potesse essere in qualche modo reale.

Nel libro “L’arte di far accadere le coseDooley descrive con una scrittura molto chiara quello che per lui rappresenta l’uomo al centro dell’Universo.
Spesso ripete questa frase:

“I pensieri diventano cose.”

Fa riferimento ad una realtà, la nostra realtà, che ci circonda.
Andando avanti nella lettura, risulta chiaro quanto segue:

Sono i pensieri a creare la nostra realtà.

Quello che Dooley sostiene, anche mediante l’utilizzo di esempi che spesso e volentieri usa affinché si capisca meglio il suo concetto, è molto semplice:

la realtà che ci circonda è generata da noi, o meglio, dal nostro interno. Dai nostri pensieri, dalle nostre emozioni.

Legge di attrazione

L’esterno è come una proiezione del nostro mondo interiore.

E non è stato Dooley il primo a dirlo e nemmeno io.

Una cosa simile l’ha detta anche Carl Gustav Jung, una delle figure più importanti del pensiero psicologico.

Jung si interessò ad un fenomeno già osservato e studiato in antichità, da Platone: la “Sincronicità”.
Secondo Jung la Sincronicità è ciò che lega due eventi che non hanno un rapporto evidente di causa ed effetto.

Avviene, per esempio, quando pensiamo intensamente ad una persona e quella, poco dopo ci chiama al telefono.
Oppure quando abbiamo un impegno di lavoro molto importante e la macchina decide di non voler partire proprio quel giorno.

Quelle che noi chiamiamo "coincidenze", indicandole in senso negativo (sfortuna) o positivo (fortuna) sono, in realtà, eventi che il nostro inconscio evidentemente hanno un significato molto profondo e, di conseguenza... Accadono nella nostra vita. 

Non a caso, ovviamente.

Questo ci riporta all’argomento: i pensieri diventano cose.

Questo significa che se noi, tutti i giorni, nutriamo pensieri negativi, la realtà (e le altre persone) saranno esattamente lo specchio di quei pensieri.
Se, al contrario, ci abituiamo a nutrire pensieri positivi, la realtà non potrà che essere positiva.

Pensate che sia uno scherzo?
Allora soffermiamoci un attimo su questo: vi è mai capitato di avere a che fare con persone che si lamentano sempre della loro realtà, sostenendo che tutte le sfortune del mondo capitano solo a loro?

Credete che sia un caso che persone che si lamentano ricevono sempre motivi per lamentarsi?

Ecco… prendiamo invece ad esempio le persone positive.
Avete mai fatto caso che spesso una persona che vive serenamente e in pace con gli altri viene indicata come “Una persona fortunata, che ha tutto quello che vuole dalla vita”?

Credete che sia un caso che a quella persona vada sempre tutto per il verso giusto?
Pensate che non abbia mai problemi?
O forse… è il modo in cui sceglie di affrontarli che fa la differenza?

Forse, semplicemente, sa scegliere con cura i propri pensieri.
Forse, semplicemente, scegliere di vedere il bicchiere mezzo pieno invece che mezzo vuoto.

Legge di attrazione

Alimentare credenze positive.
E iniziare a credere
Tu attrai esattamente ciò che sei.

Non è semplice accettare questo.
Non è semplice perché significa prendersi un’enorme responsabilità, forse la più grande: quella di capire che la nostra realtà la creiamo noi.

Tu vivi esattamente la realtà che vuoi vivere.
Attrai esattamente le situazioni che vuoi oppure di cui hai bisogno per evolverti.

Il fatto che ci lamentiamo tutti i giorni dicendo a noi stessi che odiamo questa realtà, è semplicemente indice del fatto che non siamo capaci o disposti ad ammettere a noi stessi che questo è ciò che vogliamo davvero: lamentarci.

Per quanto possa sembrare assurdo, ci sono davvero persone che vogliono essere infelici.
Ci sono davvero persone che vogliono vivere male.
Ci sono davvero persone che non sanno apprezzare ed essere grati per quello che hanno.

Ci sono passata anche io, come tanti, credo.

Accettare quanto scritto in questo libro di Dooley, significa accettare di non poter dare più la colpa ad altri dei nostri fallimenti.

Perché non esiste la fortuna o la sfortuna. Non esiste il caso.
Esistiamo noi con la nostra mentalità.
Noi che vogliamo cambiare senza però mai volerlo davvero fare.

Legge di attrazione

Ecco, è questa la sfida che lancia Dooley: cambia il tuo modo di pensare e cambierai la tua realtà!

Io ho accettato la sfida.
Una volta capito che potevo lavorare sui miei pensieri, scartando quelli negativi e alimentando quelli positivi, ci ho provato.

Ho pensato “Che cos’ho da perdere?“.

E posso dire che questo libro mi ha davvero cambiato la vita, in positivo.

Se volete, il libro su Amazon lo potete trovare direttamente da qui.

Qui e ora: 5 principi della Legge di attrazione che migliorano la tua vita

Ma che cosa ci insegna la Legge di attrazione?
Quali sono i dogmi principali e in che modo possono aiutarci a vivere più serenamente con noi stessi?

Legge di attrazione

Vivere il “qui e ora“.

Come avevo già sottolineato all’inizio di questo articolo, la Legge di attrazione teorizza l’importanza di rimanere ancorati al presente, per riuscire a viverlo davvero.

Ed anche molto utile per scrollarsi di dosso paure e credenze limitanti su un futuro che non possiamo conoscere.

I pensieri diventano cose.

Il secondo concetto, uno dei più importanti della Legge di attrazione, a mio avviso, è anche il più liberatorio.

Se accetto il fatto che basta controllare i miei pensieri e imparare a pensare in maniera differente per riuscire a vivere in maniera migliore, allora ho già raggiunto un importante traguardo evolutivo.
Ovviamente, cambiare i propri pensieri da un giorno all’altro non è facile: ci vuole tempo e allenamento.

Attrai quello che sei e sii grato di quello che hai

Noi siamo come calamite per i pensieri, le percezioni e le sensazioni che proviamo.
Questo è il motivo per cui se pensi costantemente cose negative, otterrai una realtà negativa.
Non c’è nessuna magia, nessun incantesimo: è un fatto che possiamo verificare tranquillamente nella vita di tutti i giorni.

Per questo motivo è utile rendersi conto che c’è sempre qualcosa per cui essere grati.
Ed essere grati per qualcosa, anche per il fatto di essere vivi e in salute, può dare un senso alla nostra intera esistenza.

In più, il tuo mondo esterno ti indica quello che tu realmente vuoi.
Anche questo concetto della Legge di attrazione non è così facile da digerire. In pratica, il suo significato è il seguente: sicuramente è possibile che tu razionalmente voglia una suddetta cosa: ma se la realtà ti restituisce un’altra immagine, evidentemente il tuo inconscio non la pensa così.

Chiedi e ti sarà dato.

Questo concetto della Legge di attrazione così semplice e pulito ci consente di interrogarci nel profondo. Di guardarci dentro (che male non fa) e di capire. Prima di tutto, capire cosa veramente vogliamo dalla vita, o da noi stessi, o dagli altri.
Una volta che lo hai capito, chiedi. E poi…

Compi delle azioni quotidiane che ti avvicinino all’obbiettivo.
E credi.

Devi credere in questo meccanismo, devi credere che funzioni.
Alcuni pensano che la Legge di attrazione teorizzi semplicemente un concetto basato sul: pensa a quello che vuoi ottenere, siediti con le mani in mano e aspetta che la magia si compia. Alcuni pensano questo e per questo motivo criticano la Legge di attrazione duramente.

In realtà, la Legge di attrazione non predica incantesimi alla Mago Merlino. Ci insegna semplicemente questo:

pensa a ciò che vuoi, agisci per ottenerlo e, allo stesso tempo, mettici un po’ di fede.

Legge di attrazione

Seguiamo la Legge di attrazione: non esistono tempi migliori o peggiori, esiste solo il tempo che ti dai tu

Non è questione di aspettare che arrivi il tuo momento.
Non si tratta nemmeno di vivere nell’attesa che vengano tempi migliori.

Come abbiamo appena visto, la Legge di attrazione non dice questo.

Io ho vissuto anni proiettandomi nel futuro, in attesa di quel “momento di grande cambiamento” che speravo mi sarebbe piombato direttamente dal cielo.

Ovviamente, non è successo. Non succede mai.

Nessun cambiamento ti piomba tra capo e collo. Sei tu che ti muovi verso il cambiamento.

Perché, come ci suggerisce la Legge di attrazione, tra la realtà che vuoi e quella che hai c’è un ponte: è il ponte delle azioni quotidiane.

Per questo io non credo più che sia questione di “tempo” ma di mentalità. 

In questo momento ci lamentiamo tutti di più.
Abbiamo meno risorse a cui attingere (denaro) e meno valori su cui basarci (onestà, gentilezza, altruismo).

Ci lamentiamo, in continuazione, alimentando in negativo una realtà che è già estremamente negativa.

E giustifichiamo la cosa dicendo “È il momento storico“. 

Ma ci siamo sempre lamentati di non avere nulla anche quando avevamo troppo. 
Sempre alla ricerca di ciò che non avevamo perché incapaci di guardare a tutto il bello che c’era.
Incapaci di essere grati di ogni cosa bella che abbiamo nella nostra vita.

Ognuno di noi ha qualcosa per cui essere grato.

Ci siamo sempre lamentati della realtà che avevamo attorno. 
Ma la realtà non è altro che una proiezione esterna di quello che avviene dentro di noi. 

La nostra realtà, in pratica, siamo noi.

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay e Pexels.
Mondadori store

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Autori emergenti

Roberto Ferraresi: 10 domande all’autore di ‘Io sono ricco, ma non lo sapevo’

Ben ritrovati ai miei lettori con questa rubrica “10 domande all’autore emergente” firmata Pensieri surreali di gente comune
Quest’oggi abbiamo come ospite Roberto Ferraresi.

Autore, scrittore e formatore, Roberto Ferraresi ci farà compagnia oggi parlandoci del suo percorso di vita e delle opere fino ad ora scritte da lui. 

Dunque, Roberto, innanzitutto ti saluto e ti do il benvenuto sul mio blog!
 Inizierei subito chiedendoti di te. 

Roberto Ferraresi

Che mestiere fa Roberto Ferraresi per vivere?
La scrittura può considerarsi un “lavoro” per te?

Roberto Ferraresi:

Buongiorno Martina e un caloroso saluto ai lettori del tuo blog.
Voglio innanzi tutto ringraziarti per l’interesse mostrato per il mio lavoro.

La tua iniziativa è lodevole, in quanto è certamente uno strumento utile per conoscere più a fondo chi si cela dietro le pagine di un libro, per questo motivo ho aderito con piacere.

Partiamo da cosa faccio per vivere. 

Da molti anni lavoro nel settore della bellezza e del commercio. Questa attività negli anni mi ha dato modo di vagliare ogni aspetto del suo mondo, da quello meramente pratico della sua esecuzione, alla vendita e alla consulenza. Per poi passare, all’aspetto legato alla comunicazione ed alla crescita personale, e quindi alla formazione.

Ciò premesso, dopo molti anni è diventato solamente il mezzo che mi permette di raggiungere un fine. La mia passione e i miei obbiettivi sono volti inderogabilmente in un’altra direzione.

Per quanto riguarda la scrittura, il mio obbiettivo è farne ciò che mi permetta di vivere.

Ciò che ho sognato e quindi ho deciso di realizzare, è un nuovo stile di vita.

Roberto Ferraresi

Oggi purtroppo non è ancora sufficiente, ma sono ottimista ed è per questo che persevero con determinazione. La convinzione che mi ha sempre guidato nella vita è: 

“Se lo possono fare gli altri, lo posso fare anch’io”

La scrittura è dedizione, applicazione e studio, ma soprattutto leggere, leggere, leggere.

Ciò premesso, non credo potrò ne vorrò mai considerare lo scrivere un vero lavoro.
Credo che se dovessi farlo, dal mio punto di vista, la scrittura perderebbe buona parte di quel fascino di cui una vera passione necessita.

Per esperienza personale, maturata in molti anni di lavoro di cui spesso ne ho fatto una passione, credo di poter asserire questo:

Qualsiasi lavoro fatto con dedizione e passione non lo si può considerare un vero lavoro, in quanto è tempo che dedichiamo a ciò che amiamo fare.

È tempo che dedichiamo a noi stessi ed è fantastico, perché questo approccio può rendere la nostra vita straordinaria.

Il denaro che ne deriva è solo una mera conseguenza.

Roberto Ferraresi

Questo concetto è molto interessante e ti devo dire con sincerità che lo condivido profondamente.
Ora inizierei a parlare del tuo percorso come scrittore. Nel 2019 tu hai pubblicato il tuo primo libro.

La Guerra della galassia Oscura/ Il Ritorno del Maestro di Luce”. 
Di che cosa si tratta? Ci parli della trama?

Roberto Ferraresi:

La Guerra della galassia Oscura” è un romanzo di fantascienza, ambientato in un’ipotetica galassia rimasta isolata nell’universo.

Il titolo potrebbe trarre in inganno letto da solo, anche se ha una sua naturale conseguenza. In realtà la storia si accentra maggiormente sul sottotitolo che è “Il Ritorno del Maestro di Luce” 

Non volevo fosse solo una classica storia fantascientifica fatta di guerre intergalattiche, e astronavi ipertecnologiche.

Per me era fondamentale che al suo interno fosse presente un messaggio, un motivo che spingesse il lettore a riflettere: quel motivo che spinge tutti noi quotidianamente a compiere delle scelte, anche quando non ci sentiamo pronti a compierle.

Roberto Ferraresi
Foto di Roberto Ferraresi

“Cosa fareste se foste chiamati a compiere un destino che non credevate tracciato per voi? Secondo i Maestri di Luce Eterna esistono soltanto due modi per risolvere un tale enigma: rimanere spettatori degli eventi, evitando di rischiare in prima persona, o cambiare le proprie credenze per affrontare impavidi ciò che ci attende. In altre parole, seguire il cammino della Luce o lasciarsi fagocitare dal potere oscuro dell’Assenza?”

Questo breve scorcio tratto dalla sinossi è ciò che maggiormente rappresenta questa storia.

La storia rispetta davvero tutti i canoni classici di un racconto di fantascienza anche spinta al mondo fantasy, ma ciò che non doveva mancare era un messaggio di crescita e di riflessione su ciò che sono i valori della famiglia dell’amicizia e dell’amore.

L’oscurità per esistere necessita della Luce e viceversa.

Roberto Ferraresi

Trasmettere valori attraverso le storie che costruiamo è sempre molto importante.
Ma il tuo non sembra un argomento molto facile da trattare. Immagino che abbia richiesto molta preparazione.

Che cosa ti ha ispirato nella stesura di questo primo libro? 

Roberto Ferraresi:

L’ispirazione di questo romanzo nasce da una passione viscerale che ho sin da bambino per la fantascienza e per tutto quel mondo che possiamo definire come fantastico.

A dire il vero, il perché, e il come è nato questo racconto, è un aneddoto che affronto, entrando in profondità nel mio ultimo libro. “Io sono ricco, ma non lo sapevo“.

Credo sia una storia che può essere molto utile a chi scrive.  Ci tengo a precisare che questo non è un romanzo ovviamente, ma non voglio farmi uno spoiler (ride, ndr).

In effetti come hai anticipato, scrivere un racconto di fantascienza richiede una certa preparazione. Esistono molti termini di carattere scientifico che vanno utilizzati con una certa coerenza.

Però è anche vero che chi ama questo mondo, oltre che trovare spunti nella propria fantasia, cosa fondamentale, può avvalersi di un mondo di informazioni, sia nella scrittura che nella filmografia, che ci hanno donato tutte quelle persone straordinarie e visionarie, che nel tempo hanno immaginato un mondo che ancora deve palesarsi.

Foto di Roberto Ferraresi

Questa tua passione per la fantascienza ti ha portato ad un seguito.
Nel 2020 hai infatti pubblicato “La Guerra della Galassia Oscura/Il segreto della Luce Nera”.

Come mai hai deciso di proseguire con questa serie? 
Hai riscontrato un buon interesse da parte del pubblico? 

Roberto Ferraresi:

La necessità di dare un seguito al “Ritorno del Maestro di Luce” con “Il segreto della Luce Nera”, era inevitabile: ne presi coscienza già quando stavo volgendo al termine della stesura del primo romanzo.

Lo stesso pensiero si è palesato al termine del secondo. Non potevo che farne una trilogia: credo che questo sia il suo dovuto epilogo. 
Non posso ancora dire quando lo pubblicherò, ma è una certezza.

A volte accade che quando volgi al termine di un racconto, prendi coscienza che quella storia non può concludersi così: è articolata e piena di risvolti che andrebbero approfonditi.
Concluderla lascerebbe nel lettore troppe domande inevase.

Devo ammettere che a quasi due anni dalla pubblicazione del primo romanzo l’interesse dei lettori è andato solo in crescendo.

La pubblicazione del secondo volume ha aumentato, e non di poco, l’interesse di chi si era approcciato al primo libro.

Questo non può che inorgoglirmi. 

Del resto, una trilogia riesce sempre a raccogliere aspetti utili della storia di ogni personaggio importante del racconto, affinché si comprenda meglio il suo ruolo.

Roberto Ferraresi

Credo sia davvero interessante per chi si appassiona a quella storia, conoscere le scelte e la vita che i propri eroi compiranno in un arco temporale più completo.

Per me scrivere questa storia è stato davvero un momento fantastico in cui la mia fantasia e la mia creatività mi hanno dato l’opportunità di vivere vite inimmaginabili

Può sembrare incredibile, ma non vi nego di essermi meravigliato da solo durante la stesura, di quanto sia stato emozionale vivere ogni istante di ogni singolo personaggio: le loro gioie, le loro scelte, le loro difficoltà, le loro vittorie e le loro sconfitte.

Ogni loro momento è stato per me vita vissuta.

Sapere che altre persone leggendolo, possano anch’esse identificarsi in uno o più personaggi vivendone l’esperienza, mi riempie il cuore di gioia. 

Niente appaga di più di aver permesso a qualcuno, anche se non so chi sia, di aver sognato ed essersi emozionato anche solo per un istante, leggendo una storia nata da una mia fantasia che ho reso reale.

A dirti la verità, darei qualsiasi cosa perché un giorno un regista vedesse in quella storia la possibilità di portarla sul grande schermo e farne un film.

Poter vedere le espressioni dei miei personaggi e vivere la loro storia fantastica… sarebbe il massimo! 

Non so se questa è l’ambizione di ogni scrittore, ma credo che sicuramente siamo in molti a sognare che questo sia il giusto epilogo della nostra storia.

Roberto Ferraresi
Foto di Roberto Ferraresi


Io sono ricco – Ma non lo sapevo” è il tuo terzo libro.

Lo hai pubblicato al finire del 2020, proprio a pandemia inoltrata: è stato un caso?
Ce ne vuoi parlare?

Roberto Ferraresi:

Direi che con la tua domanda hai colto nel segno…

Io sono ricco, ma non lo sapevo” nasce proprio in un momento in cui il mondo come noi lo conoscevamo aveva ormai perso molti punti che potevamo considerare di riferimento.

In quel momento sentivo la ferma necessità di dare un mio contributo e di riportare all’attenzione delle persone quell’opportunità di poter guardare il mondo e la loro vita, con una diversa prospettiva.

Io per primo ho vissuto un momento di chiaro sconforto e ciò che è accaduto che ancora accade, ha inevitabilmente cambiato l’approccio a molte certezze che solo sino ad un anno addietro davamo per scontate.

La verità però è sempre molto diversa da ciò che spesso osserviamo: la nostra vita è sicuramente costernata di momenti difficili ma è anche vero che è solo grazie a quei momenti che troviamo la forza e la capacità di evolvere, di migliorarci.

La storia insegna che l’umanità ha dato il meglio di sé proprio quando tutto sembrava essersi smarrito. E così possiamo fare anche noi, singolarmente.

Il mondo e la nostra vita possono essere ciò che noi vogliamo che sia: dipende da come la osserviamo e da come la viviamo. La vita è fatta di scelte e di conseguenze.
Roberto Ferraresi

La ricerca della felicità è un cammino che va affrontato a piccoli passi e in sicurezza, ciò che può renderci esseri speciali non è realmente un qualcosa di cui dovremo dotarci, è già tutto insito in noi, ma spesso non ne siamo consapevoli.”

Questa è una delle citazioni del tuo libro “Io sono ricco – Ma non lo sapevo”. Una riflessione sicuramente molto interessante e spirituale, che invita ad una profonda presa di consapevolezza. 

Il libro su Amazon lo trovate direttamente da qui:

Questo libro può lenire le ferite che questo periodo storico molto difficile ha causato in tutti noi e darci qualche risposta?

Roberto Ferraresi:

La felicità non è un qualcosa di tangibile, ma è sicuramente un qualcosa che percepiamo come reale. 

Proprio per questo motivo credo sia utile dotarsi dei giusti strumenti necessari e conoscere il metodo che ci consenta di riscoprire ciò di cui già disponiamo. 

Quando affermo che questi strumenti sono già presenti in noi, ne sono certo. La verità è che il come utilizzarli spesso non ci è stato trasmesso: noi seguiamo semplicemente un istinto e viaggiammo a vista. 

Quando con un po’ d’ironia affermo che “non lo sapevo”, mi riferisco proprio a questo:

Nella nostra vita, se davvero lo vogliamo, possiamo sempre trovare il tempo per apprendere cose nuove: come riscoprirle dipende solo da noi e anche da questo dipendono scelte e conseguenze.

Roberto Ferraresi

Ci sono persone che con una perseveranza incredibile, impiegano buona parte del loro tempo e delle loro energie per promuovere una vita fatta di mancanze e di difficoltà.

Se questo tempo e queste energie le utilizzassero per godere dell’abbondanza e della gioia nell’affrontare quelle difficoltà, sapendo che sono opportunità per essere migliori e vivere a pieno l’esistenza, questo farebbe già la differenza.

Questo come altri spunti come già ho anticipato, nascono da una necessità di dare un contributo personale a tutto ciò.

Non è stato semplice mettersi a nudo, ma era necessario.

In questo viaggio in parte autobiografico ed introspettivo, ho avuto modo di evidenziare, proprio partendo dalla mia personale esperienza, come nella vita ci sia sempre tempo e modo di ritrovare un nuovo percorso verso quella gioia che tutti meritiamo. 

Per rispondere alla tua domanda seguente, non so dirti se davvero un libro possa lenire le ferite che la vita ci infligge, o che noi ci infliggiamo: questo è sempre molto soggettivo.

Posso affermare che nella mia di vita spesso un libro giusto ha saputo aprire la mia mente a nuove opportunità, per guardare alle cose dell’esistenza sotto una diversa prospettiva. 

Il resto come sempre è tutto riposto sotto la nostra responsabilità.

Se davvero vogliamo cambiare passo nella nostra vita e compiere scelte audaci, è necessario prepararsi, studiare, approfondire, alimentare quei dubbi che ci permettano di porci le giuste domande e, successivamente, di darci le giuste dovute risposte.
Roberto Ferraresi

Secondo te dove può essere trovata la vera felicità?

Roberto Ferraresi:

Per come la vedo io la felicità è già presente in noi dalla nascita.

La verità è che crescendo, la società e le persone di cui ci contorniamo, volontariamente o inconsapevolmente, creano condizionamenti e dubbi ai quali non sappiamo rispondere.

Questo spesso accade perché non ci facciamo le giuste domande.

Dirò di più, la felicità non è fatta di momenti: siamo noi a dare maggior peso alle difficoltà rendendo più grandi i momenti di sconforto che quelli di gioia.

Roberto Ferraresi

Fino ad ora tu ti sei sempre autopubblicato.

Come ti sei trovato a pubblicare in self publishing e cosa ne pensi, invece, di chi preferisce rivolgersi ad una casa editrice per una pubblicazione?

Roberto Ferraresi:

Scrivere in self publishing non è stata una scelta, ma un’opportunità. Credo che ogni autore abbia nel cassetto il sogno che un grande editore apponga il suo brand sotto il proprio nome.

Lavorare con un editore che crede davvero nel tuo lavoro, sicuramente potrebbe darti una maggiore visibilità. Ti permetterebbe di essere presente nelle librerie, dando l’opportunità ai lettori di entrare in contatto con la carta e l’odore dell’inchiostro della tua stampa, prenderne possesso emotivamente, magari sfogliandolo per capire se è ciò di cui necessita. 
Cosa che purtroppo nel vendere on-line viene a mancare.

Ma da dire al fare c’è di mezzo il mare…
Chi scrive come me sa di cosa parlo: quest’anno con mia grande gioia i dati delle vendite, soprattutto in Italia sono schizzati verso l’alto, anche se buona parte del lavoro l’ha fatto il mondo on-line.

Ho fatto qualche tentativo di rivolgermi ad alcuni editori, c’è da dire che da neofita non è così semplice avere credito, ma soprattutto mi sono scontrato con delle realtà a dir poco assurde, su cui ho dovuto soffermarmi e riflettere.

Ho fatto l’imprenditore tutta la vita e quando un progetto che mi veniva sottoposto lo ritenevo fattibile, investivo del mio, rischiavo in prima persona.

Quando un presunto editore ti chiede soldi per pubblicarti, obbligandoti ad assumerti tu l’onere, e tenendosi così per sé l’onore, questo stride con la parola imprendere.

Un po’ come dire: “Ti faccio lavorare con me se mi paghi“.

Roberto Ferraresi

Ecco perché alla fine ho compreso che avrei dovuto investire io in me stesso mettendomi in gioco in prima persona.
Ma devo ammettere che, così facendo, qualche bella soddisfazione è arrivata.

Non è stato sicuramente facile: ho investito oltre al denaro, molte energie nello studiare e sperimentare cosa fosse meglio fare, sbagliando e correggendo tutto ciò che necessitava.

Oggi al terzo libro, posso dire di essere molto più ferrato, anche se c’è ancora molto da fare. 

Il self publishing è un’opportunità per pubblicarsi subito, senza attendere i tempi biblici di alcuni editori.

Soprattutto all’inizio può anche essere maggiormente remunerativo, ma spesso, se le cose non si fanno come dovrebbero essere fatte, si rischia di uscire con prodotti scadenti.

Dipende da noi, quanto siamo pronti a rischiare nel metterci in gioco.

Premesso questo, aggiungo quanto segue: se domani un editore serio si proponesse, lo ascolterei sicuramente e valuterei con attenzione le sue proposte.

Roberto Ferraresi

Sul tuo sito ufficiale leggo che, oltre ad essere uno scrittore e un autore, tu sei anche un formatore. 

Di quali corsi di formazione ti sei occupato, fino ad ora?

Roberto Ferraresi:

Come ho già anticipato, lavorando nel mondo della bellezza ho iniziato a lavorare sulla formazione delle persone con cui collaboravo.

Prima in termini teorico e pratico, poi sulle potenzialità che ogni persona racchiude, non solo in ambito motivazionale, che è senz’altro utile, ma anche incentivando la crescita personale e la percezione del mondo con cui ognuno di noi interagisce.

Negli anni a seguire ho migliorato le mie skills frequentando e poi mettendo in pratica alcuni corsi di coaching. Cosa che mi è tornata utile, prima di tutto a livello personale, ma mi ha anche permesso di dare supporto alle persone che hanno frequentato i miei corsi.

Al momento sono molto preso con scrittura, ma ho in progetto a breve di creare un percorso dedicato proprio a chi decide di approcciarsi a questo mondo.

Roberto Ferraresi

Quali altri progetti vedi nel tuo futuro?

Quali altri libri ti piacerebbe scrivere, di quali argomenti vorresti occuparti?

Roberto Ferraresi:

Ti ringrazio per quest’ultima domanda, perché mi fornisce un assist importante.

Al momento sto lavorando anima e cuore ad un bellissimo progetto

Sono intento nella stesura di un nuovo romanzo di fantascienza, in cui racconterò una possibile realtà a cui potrebbe andare incontro l’umanità, perseguendo le scelte che in pochi fanno continuativamente, a scapito dei molti.

Il mio non vuole essere un racconto di quella fantascienza catastrofica di cui non sono certo appassionato, ma che rispetto comunque come arte creativa.

Diversamente voglio aprire una finestra di denuncia sui rischi che un’umanità imbrigliata e incapace di fare scelte condivise potrebbe affrontare, in un futuro neanche così prossimo.

Non mancherà l’azione ed il divertimento, ma sarà comunque incentrato sulle opportunità che una nuova consapevolezza nel genere umano possa risvegliare le anime perse, ridestando la centralità della vita. 

Roberto Ferraresi

Bene, Roberto, questa era la mia ultima domanda.
Io ti ringrazio molto di essere stato ospite sul mio blog, oggi e ti faccio un grande in bocca al lupo per i tuoi progetti presenti e futuri!

Roberto Ferraresi:

Ottimo Martina, ti ringrazio ancora per l’opportunità e l’ospitalità!

Ringrazio i lettori del tuo blog per il tempo dedicatomi, nella speranza che l’aver raccontato qualcosa in più del mio lavoro possa renderlo sempre più condiviso e apprezzato.

Ma, prima di andare, non dimenticarti di lasciare i tuoi recapiti social.

Recapiti social Roberto Ferraresi:

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay, Pexels e Roberto Ferraresi.

Autori emergenti

Alessandro Bolzani: 10 domande all’autore de ‘I guardiani dei parchi’

Ben ritrovati ai miei lettori con questa rubrica “10 domande all’autore emergente” firmata Pensieri surreali di gente comune
Quest’oggi abbiamo come ospite un autore emergente, Alessandro Bolzani.

Giornalista e autore del romanzo, Alessandro Bolzani ci farà compagnia oggi parlandoci del suo percorso come autore e del suo libro “I guardiani dei parchi”.

Dunque, Alessandro, innanzitutto ti saluto e ti do il benvenuto sul mio blog!
 Iniziamo con le 10 domande.

Alessandro Bolzani

Quando hai sentito in te questa preponderante passione per la scrittura e quando hai iniziato a svilupparla?

Alessandro Bolzani: Ciao Martina e grazie mille per questa intervista!

Scrivere mi è sempre piaciuto e ricordo che già alle elementari mi divertivo tantissimo a fare i temi. In un paio di occasioni è pure capitato che la maestra ne leggesse uno davanti a tutta la classe.

Nel periodo delle medie mi sono appassionato molto al genere fantasy, grazie soprattutto a due saghe: “Harry Potter” e “Le Cronache del Mondo Emerso“.

È stata proprio quest’ultima a far nascere in me il desiderio di dare vita a una storia tutta mia, in grado di trasmettere ai lettori le stesse belle sensazioni che quei libri mi avevano fatto provare.

Il mio sogno si è concretizzato nel 2019, quando ho pubblicato il romanzo urban fantasy “I Guardiani dei parchi” assieme alla casa editrice Genesis Publishing.
Da allora ho un nuovo obiettivo: continuare a scrivere altri libri e impegnarmi per migliorare sempre di più.

Alessandro Bolzani

Parlando proprio del tuo primo libro “I guardiani dei parchi”: ci racconti qualcosa in più?

Alessandro Bolzani: Certamente! “I Guardiani dei Parchi” è la storia di Giacomo, un sedicenne che sta attraversando una fase alquanto burrascosa della sua vita.

I genitori hanno divorziato da poco e a causa della loro separazione è stato costretto a lasciare Milano, dove vivono i suoi pochi amici, per trasferirsi a Quercia Alta, una cittadina (immaginaria) del nord Italia.

Quello che potrebbe sembrare un passo indietro sotto ogni punto di vista nasconde però dei vantaggi inaspettati. Visitando il parco di Quercia Alta, Giacomo scopre di essere in possesso di un’abilità fuori dal comune.

Lui è in grado di vedere delle creature
provenienti da mondi diversi dalla Terra. 

Alessandro Bolzani

Questi esseri fantastici sono normalmente invisibili all’interno dei parchi, a causa della magia presente in questi luoghi, ma possono essere viste da chiunque nel momento in cui abbandonano l’area. Per evitare che ciò accada è stato istituito l’Ordine dei Guardiani dei Parchi, un’organizzazione segreta che gestisce i rapporti con gli altri mondi ed elimina ogni possibile minaccia.

La capacità di Giacomo di vedere le creature provenienti dagli altri mondi all’interno dei parchi lo rende un candidato ideale per unirsi all’Ordine. Per il giovane si tratta di una prospettiva allettante, anche se non priva di insidie.

Dopotutto chi entra a far parte dell’associazione segreta non può tirarsi indietro in un secondo momento ed è chiamato ad affrontare vari pericoli, tra cui le creature oscure, delle entità irrazionali il cui unico scopo è soddisfare il proprio appetito.

Inoltre, negli altri mondi si stanno verificando evasioni, rapimenti e omicidi. Tutto induce a pensare che esista un legame tra questi macabri avvenimenti e che qualcuno potrebbe essere intento a tramare nell’ombra per vendicarsi di un antichissimo torto.

Ma questo Giacomo non lo sa…

Alessandro Bolzani

Creature oscure, magia, esseri fantastici.. c’è questo e anche di più, racchiuso nel tuo libro!

(Lo potete trovare su Amazon direttamente da qui):

Che cosa ti ha ispirato nella stesura della trama?

Alessandro Bolzani: L’ispirazione è arrivata perlopiù dal mondo reale.

A pochi chilometri da casa mia c’è un parco molto simile a quello descritto nel romanzo ed esplorandolo mi è capitato spesso di fantasticare su possibili storie ambientate in un luogo simile.

L’idea dei portali mi è venuta osservando un cromlech, un insieme di pietre disposte a circolo. Il suo aspetto suggestivo mi ha spinto a immaginarlo con un punto di collegamento tra la terra e varie altre realtà. 

Da lì a buttare già una prima bozza della trama, il passo è stato molto breve. 

Foto di: Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo

Per quanto riguarda il protagonista, Giacomo: ti sei ispirato a qualcuno nel creare questo personaggio?

Alessandro Bolzani: Giacomo è un misto tra il me stesso adolescente e vari eroi dei romanzi di formazione, come “Harry Potter” o, con le dovute proporzioni, “David Copperfield” (anche se credo che Giacomo sia un po’ meno sfortunato di lui!).

Devo dirti che mi piace molto la copertina del libro: soprattutto questo colore verde, è molto d’effetto!

Sei stato tu a scegliere la grafica della copertina?

Alessandro Bolzani: La copertina è stata realizzata dalla bravissima Ester Kokunja, una grafica che ha curato varie cover dei romanzi editi da Genesis Publishing.

Le ho lasciato massima libertà, sia sullo stile da usare che sulla scena da rappresentare, ma incredibilmente è riuscita a dare vita a un’illustrazione molto simile a quella che avevo sempre immaginato.

Sono molto contento che al posto di puntare su una copertina realistica (non ne sono un grande amante, devo essere sincero), abbia optato per un risultato più “astratto”. 

Alessandro Bolzani

Parlando invece di case editrici: molti autori lamentano la difficoltà nel trovare una casa editrice che pubblichi il loro libro.

Hai riscontrato anche tu delle difficoltà nel trovare una casa editrice?

Alessandro Bolzani: In realtà no, ma credo di essere stato fortunato.

Pochi mesi dopo aver concluso il romanzo ho selezionato una decina di case editrici a cui inviarlo, sperando che almeno una si dimostrasse interessata.

Dopo poche settimane è arrivata la proposta della Genesis Publishing, che ho accettato senza esitazioni. In seguito, quando avevo già firmato il contratto, altre due case editrici hanno espresso il loro interesse nei confronti del romanzo.

Devo ammettere che è stata una bella iniezione di autostima (ride, ndr).

Cosa ne pensi del self publishing? Come mai non hai optato per questa scelta?

Alessandro Bolzani: Il self publishing è un ottimo modo per mettere in vendita le proprie opere senza dover affrontare l’iter classico (spesso un po’ lento e difficoltoso). Tuttavia richiede una grande quantità di tempo ed energie da investire nell’autopromozione, dunque non deve essere preso sottogamba. 

Personalmente ho scelto il percorso “tradizionale” perché sentivo il bisogno di un “filtro” tra me e lo scaffale della libreria, di qualcuno che mi dicesse:

“Sì, sono pronto a scommettere sul suo libro”.

Alessandro Bolzani

Non sono troppo bravo a giudicare la qualità dei miei racconti, quindi sapere che c’è qualcuno che crede nel loro potenziale mi aiuta a capire di aver fatto un buon lavoro.

È per questo che sono fermamente contrario alle case editrici a pagamento, che spesso accettano di tutto (purché l’autore paghi).

Il self publishing comunque mi incuriosisce molto e prima o poi mi piacerebbe provare a sondarne le potenzialità.

Parlando di lettura, invece.
Ti potresti definire un lettore molto forte?

Hai degli autori di riferimento?

Alessandro Bolzani: Cerco di leggere due o tre libri al mese, anche se non sempre ci riesco (dipende molto dagli impegni e anche dalla lunghezza dei volumi in questione).

Ho tanti altri hobby, come i videogiochi e l’animazione giapponese, ma cerco sempre di ritagliare uno spazio ai libri.

Ritengo la lettura un “allenamento” fondamentale per uno scrittore.

Ci sono molti autori che apprezzo, ma quelli che, per un motivo o per l’altro, mi hanno colpito di più sono: Stephen King, Haruki Murakami, H. P. Lovecraft e J.K. Rowling.

Alessandro Bolzani

Tu sei laureato in Comunicazione, Innovazione e Multimedialità e lavori come giornalista presso AlaNews.

In che modo il tuo percorso di studi e il tuo lavoro ha ispirato la tua voglia di scrivere un libro?

Che cosa hai imparato nella “teoria” da mettere in atto nella “pratica”?

Alessandro Bolzani: Alcuni corsi che ho seguito all’università mi hanno aiutato ad ampliare i miei orizzonti e a ottenere una visione più vasta del mondo.

Per esempio ho approfondito alcuni aspetti del mondo dell’editoria che conoscevo solo marginalmente, come gli audiolibri e la “stampa su richiesta” (print on demand): ho capito un po’ meglio i torbidi meccanismi della politica e mi sono avvicinato all’affascinante mondo della scrittura SEO oriented. 
Alessandro Bolzani

Sia l’università che il lavoro come giornalista hanno in parte influito sulla mia passione per la scrittura, ma in realtà li vedo più come binari separati che si incrociano solo di tanto in tanto.

Vorresti pubblicare altri libri in futuro?

Credi che sia questa la tua strada?

Alessandro Bolzani: Sì, ho molte storie in mente e voglio provare a raccontarne la maggior parte. In questo periodo sto lavorando a un nuovo progetto, ma è ancora presto per scendere nei dettagli.

Spero, però, di poterne parlare apertamente già tra qualche mese.

Bene, Alessandro, questa era la mia ultima domanda. Grazie per essere stato qui con me, oggi, sul mio blog.
Io ti faccio un grande in bocca al lupo per il futuro e… complimenti ancora per il tuo libro!

Alessandro Bolzani: Grazie mille!

… Ma, prima di andare, non dimenticarti di lasciare qui sotto i tuoi recapiti social.

Recapiti social di Alessandro Bolzani:

  • Link di acquisto del libro: Potete trovarlo su Amazon (anche in edizione cartacea)  e su altri store (trovate l’elenco completo qui).

Martina Vaggi

Photo credit: Pixabay e Pexels.
Gabriele Glinni e Emanuela Notarangelo.

Autori emergenti

Paolo Arigotti: 10 domande all’autore del libro “Il collegio dei segreti”

Ben ritrovati con la rubrica “10 domande all’autore” firmata Pensieri surreali di gente comune!
Quest’oggi abbiamo ospite Paolo Arigotti, autore emergente di tre libri: “Un triangolo rosa”, “Sorelle molto speciali” e “Il Collegio dei segreti”.

Ci racconterà la sua esperienza come scrittore.
Ben trovato Paolo Arigotti, sono felice di averti qui sul mio blog.
Ecco la prima domanda:

Quando è nata in te la passione per la scrittura?

In un certo senso credo che sia nata con me: basta pensa che, qualche settimana, fa riordinando vecchie carte ho ritrovato alcuni racconti o incipit di romanzi scritti durante il periodo della scuola superiore. 

Il tuo primo libro, “Un triangolo rosa” risale al 2015 ed è appena stato ripubblicato con CTL Editore. 

Che cosa ti ha spronato a pensare: “Devo farlo, devo scrivere un libro”?

Il romanzo è stato scritto tra il 2013 e 2014 e fu il frutto di un viaggio in Polonia, durante il quale visitai il memoriale di Auschwitz. Furono i racconti delle guide ad ispirarmi la vicenda dei tre protagonisti, che ho trasformato nel mio primo libro.

Paolo Arigotti

Parlando proprio del tuo primo libro, “Un triangolo rosa”: vuoi descriverci la trama?

Di che cosa tratta?

Si tratta di una storia d’amore gay che coinvolge tre uomini, due italiani e un tedesco, sullo sfondo dei drammatici eventi degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. La trama si snoda attraverso quei fatti, con una serie di colpi di scena che condurranno i protagonisti nell’inferno di Auschwitz.

(Libro su Amazon):

In questo libro tu affronti un tema molto forte: quello di un amore omosessuale durante il periodo nazista, momento storico in cui, come sappiamo tutti, purtroppo gli omosessuali erano brutalmente perseguitati. 
Come ti è venuta l’ispirazione di affrontare proprio questo argomento e perché?

Il titolo si riferisce all’amore tra i tre uomini?

Anche se il termine “rosa” mi mette un dubbio…

Il titolo si collega con le vicende dei tre protagonisti, però ha pure un altro significato, visto che il triangolo rosa cucito sulle divise individuava i gay internati nei lager ed avviati allo sterminio.

La mia grande passione per la storia del Novecento mi ha assieme aiutato ed ispirato nelle ricerche, che hanno dato vita a questo romanzo.

Parlerei ora di “Sorelle molto speciali”, il tuo secondo romanzo, pubblicato nel 2018 con Link Edizioni. Libro del quale mi piace moltissimo la copertina, ti devo dire la verità.

Qual è la trama di “Sorelle molto speciali“?

Si tratta anche in questo caso di una storia d’amore, di un altro tipo però, precisamente quello di una madre per le sue figlie gemelle, una delle quali nata con la sindrome di Down. Parliamo sempre degli anni Trenta del secolo scorso, una condizione oltremodo difficile per l’epoca e sullo sfondo di un’altra tragedia: il folle progetto nazista dell’eliminazione dei disabili mentali, a cominciare proprio dai bambini.

In questo libro affronti anche il tema della disabilità, in quanto una delle protagoniste è affetta dalla sindrome di Down.

Paolo Arigotti

Quali valori volevi trasmettere ai tuoi lettori affrontando questa tematica?

Il coraggio di sfidare i pregiudizi e di non arrendersi,
specie quando la vita ti mette di fronte sfide apparentemente impossibili.

Siamo arrivati al tuo ultimo libro: “Il collegio dei segreti”, pubblicato nel 2020 con Onda d’Urto Edizioni. 
Quest’ultimo libro, più che narrare una storia, ripercorre un fatto storico realmente accaduto, è corretto?

“Il collegio dei segreti” si basa su fatti realmente accaduti?

I protagonisti sono personaggi di fantasia, ma i fatti storici – la resistenza tedesca giovanile contro il nazismo – sono reali ed ho voluto provare a riportare alla luce la storia dimenticata di tanti eroi condannati all’oblio per tante ragioni, storiche e politiche.

Paolo Arigotti

Fai un frequente ricorso alla storia nei tuoi libri, specialmente al periodo del Nazismo: che cosa ti ha spinto ad occuparti proprio di quel periodo storico cosi drammatico e nefasto?

Che valori volevi trasmettere occupandoti del periodo nazista?

Io sono un appassionato di storia del Novecento da sempre, il che mi ha spinto a conseguire una seconda laurea in questa materia lo scorso anno.

Il valore più importante è quello della memoria, intesa non come semplice ricordo, ma soprattutto per comprendere come certi fatti sono potuti accadere e scongiurare il pericolo che possano ripetersi.

Su Amazon trovate anche “Il collegio dei segreti“, qui:

I tuoi libri sono stati tutt’e tre pubblicati con un editore: cosa ne pensi di chi oggi preferisce rivolgersi al self-publishing?

Tu hai mai considerato questa opzione?

Io sono più incline alla pubblicazione tramite l’editoria tradizionale, purché non si tratti di editoria a pagamento, scelta che con tutto il rispetto non condivido. Il self publishing in Italia non è decollato come in altre realtà (penso a quella americana ad esempio), ma non ho nulla da eccepire nei confronti di chi fa questa scelta.

Tu gestisci anche una pagina YouTube intitolata “Il salotto culturale di Paolo Arigotti Scrittore”, dove intervisti autori ed editori.

Vuoi raccontarci qualcosa di questa bella iniziativa? 

Si tratta di una piccola rubrica che gestisco da oltre un anno sul mio canale YouTube, dove intervisto autori ed autrici di tutta Italia (e non solo), dedicandoci non soltanto alle opere letterarie, ma a tanti argomenti storici, culturali e di attualità.

L’ho creata per via delle restrizioni imposte dai vari lockdown, stante l’impossibilità di realizzare eventi dal vivo; non credo che il web debba sostituire questi ultimi, ma certamente può affiancarsi come importante strumento di promozione della cultura.

E noi non possiamo che essere d’accordo con te…
Bene, Paolo Arigotti, questa era la mia ultima domanda… Sono molto contenta di averti avuto ospite oggi sul mio blog.
Io ti saluto e ti faccio un grosso in bocca al lupo per i tuoi libri… e per quelli che verranno! 

Tante grazie Martina, piacere mio.

Ma, prima di andare…

Recapiti social Paolo Arigotti:

Paolo Arigotti, Paolo Arigotti, Paolo Arigotti

Martina Vaggi

Photo credit: le foto presenti in articolo sono tutte di Paolo Arigotti, che me le ha concesse solo ai fini della pubblicazione dell’articolo.

Autori emergenti

Gabriele Glinni: 10 domande all’autore dell’inedito “Ascend-ent”

Ben ritrovati con la nuova rubrica “10 domande all’autore” di Pensieri surreali di gente comune!
Quest’oggi ho il piacere di avere come ospite sul mio blog Gabriele Glinni, mediatore linguistico, blogger e scrittore di un libro inedito che vedrà presto la luce. 

Allora, Gabriele Glinni, bentrovato!
Sono molto contenta di averti qui, sul mio blog.

Gabriele Glinni: Ciao a te, Martina. Il piacere è tutto mio! Devo dire che non mi aspettavo per niente questa occasione, nel senso che di solito sono io che sguinzaglio interviste alla gente, ma quando sono pour moi mi sento sempre in soggezione (ride, n.d.r.).

No scherzo. Sul serio, grazie! Se non altro quantomeno di aver speso tempo a pensare e a scrivere alle domande, non è cosa da poco.

Premetto le mie risposte potrebbero suonare o molto personali o sarcastiche, questo perché non mi piace scrivere wall of text noiosi e prolissi. Inoltre mi ritengo e vengo considerato una persona estremamente trasparente e onesta (sia in senso positivo che negativo).
Dirò esattamente cosa penso.

E io sono estremamente felice di questo!
Inizio subito parlando del tuo romanzo inedito, che si intitola “Ascend-ent”: ha un titolo davvero curioso.

Gabriele Glinni

Come hai scelto il titolo e di che cosa tratta il tuo libro?

Puoi illustrarci la trama?

Gabriele Glinni: Allora allora, iniziamo dicendo che Ascend-ent è una crasi. Ovvero include sia il verbo “to ascend” (ascendere) che “ascendent” (l’ascendente di qualcuno su qualcun altro). 

Ascendere è inteso come il percorso e l’impegno del protagonista, Wade, per migliorarsi.
Ascendente è inteso come l’influenza dei vari personaggi (includendo anche varie figure) l’una con l’altra, finendo con il rivoluzionarsi la vita a vicenda, senza notarlo.

Ora la trama
Allora l’idea di base è questa.

C’è stato un virus chiamato Encevirus, scopiazzato ovviamente dal Covid, nel senso che è stato privo di sintomi particolari.
Tuttavia, post Encevirus, la realtà è cambiata radicalmente. Anche persone che non ne sono risultate positive hanno sviluppato la capacità di esercitare un controllo su determinati oggetti. Queste persone vengono chiamate “gli specialisti”.
Per esempio, Wade Cameron, il protagonista, è diventato in grado di controllare gli scontrini. Non carta, non papiri, specificamente scontrini, scelta intenzionalmente ridicola.

Wade è infatti un neolaureato in Marketing senza alcuna passione per il proprio percorso di studi.
Si ritrova in questo tedioso limbo di non sapere che fare della propria vita, in un mondo lavorativo che, lo sappiamo, diventa sempre più spietato ed esigente.
Wade non ha alcun talento se non quello per il disegno e la capacità di manovrare dei piccoli, buffi scontrini.

Un noioso pomeriggio estivo riceve una chiamata da un’associazione, la NeolGen, (prima dell’editing del libro la chiamata avveniva da parte del fondatore, Paul Auberon: adesso le cose sono un po’ cambiate). Comunque… questa chiamata gli offre la possibilità di entrare a far parte della NeolGen durante un evento di apertura agli inizi di settembre.

Wade, pieno di dubbi ed interrogativi, accetta.

𝑇𝑢𝑡𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑖𝑒𝑠𝑐𝑜 𝑎 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎𝑟𝑒 𝑒̀, 𝑑𝑜𝑝𝑜 𝑙’𝑒𝑛𝑐𝑒𝑣𝑖𝑟𝑢𝑠, 
𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑡𝑎̀ 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑒𝑚𝑏𝑟𝑎 𝑝𝑖𝑢̀ 𝑙𝑎 𝑠𝑡𝑒𝑠𝑠𝑎.
𝐿𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑛 𝑚𝑒𝑡𝑟𝑜, 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑞𝑢𝑖𝑒𝑡𝑒, 𝑔𝑢𝑎𝑟𝑑𝑎𝑛𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑒𝑙𝑙u𝑙𝑎𝑟𝑒, 
𝑝𝑎𝑟𝑙𝑎𝑛𝑜 𝑡𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜, 𝑟𝑖𝑑𝑜𝑛𝑜, 𝑝𝑒𝑛𝑠𝑎𝑛𝑜 𝑎𝑖 𝑓𝑎𝑡𝑡𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑝𝑟𝑖. 
𝑀𝑎 𝑐’𝑒̀ 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑛𝑒𝑖 𝑙𝑜𝑟𝑜 𝑚𝑜𝑑𝑖 𝑑𝑖 𝑓𝑎𝑟𝑒, 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑐𝑜𝑠𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑐’𝑒𝑟𝑎. 
𝐿’𝑖𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑒𝑧𝑧𝑎, 𝑙a 𝑝𝑎𝑢𝑟𝑎, 𝑑𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑠𝑜𝑐𝑖𝑒𝑡𝑎̀ 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑎 𝑓𝑟𝑎𝑡𝑡𝑢𝑟𝑎𝑡𝑎. 

Gabriele Glinni

Queste parole arrivano direttamente dal tuo libro e, devo dire con sincerità, che incuriosiscono molto. Curiosi sono i riferimenti ad una società, come dici tu “fratturata”: viene quasi da fare un parallelismo con la realtà che stiamo vivendo ora. 

Questo paragone ha un senso?

C’è un nesso con la realtà odierna?
Da quant’è che stai lavorando a questo inedito?

Gabriele Glinni: Assolutamente sì.

Come avrete capito, Ascend-ent è una sorta di parodia/take sulla società moderna, in chiave action/sovrannaturale.

Nel senso, c’è un clima di incertezza, c’è sospetto verso tutto ciò che è diverso, c’è la disoccupazione, c’è una situazione di, cito espressamente Wade:

“I ricchi si arricchiscono e i poveri si impoveriscono” 

(nel senso che la NeolGen favorisce direttamente figure come ingegneri linguisti anche un po’ programmatori contro neolaureati in non si sa bene cosa).

La tematica principale è la ricerca di se stessi: scoprire chi si è veramente, cosa si vuole, chi è il vero “sé”. Quindi, nonostante le premesse “supereroistiche”, non ha assolutamente niente del genere. Tant’è che i nemici principali stringono molto l’occhio al genere horror, al posto di essere specialisti cattivi o qualcosa del genere. 

Gabriele Glinni

Ma, per ora, mi fermo 😉 

Da quanto ci sto lavorando? Mi sembra suppergiù da aprile, credo, dell’anno scorso.

Anticipo che scrivo da quando avevo quindici anni, e l’anno scorso, per una serie di motivi (per riassumere molto: relazione di 9 anni volta al termine), volevo fermarmi definitivamente. Ma dei cari amici mi hanno motivato a riprendere.
Quindi vorrei ringraziare in particolare Orlando Palone per essermi stato sempre vicino, Erica Secondini per avermi spinto a proseguire con la scrittura e il balzante Alessandro Bolzani per aver creduto nelle mie capacità.

Ps.: mi piace fare nomi di persone in queste occasioni. In realtà ce n’è stata solo un’altra, ma dettagli.

Beh, che dire Gabriele… da questo inizio, direi che hai fatto bene a non fermarti e a continuare a scrivere!

Restando in tema di un argomento molto dibattuto oggigiorno, vorrei chiederti qualcosa in più su un argomento in particolare.

L’ Encevirus”: cosa puoi rivelarci, senza rivelare troppo?

Gabriele Glinni: In realtà non molto, Martina.

Inteso che l’Encevirus in sé e per sé è secondario e quasi solo un espediente narrativo che fa avvenire le cose. Resta molto misterioso e indefinito su come abbia alterato la realtà (tant’è che, ripeto, anche gente non positiva è stata condizionata).

Il vero problema sono le conseguenze che ha generato. Oltre gli specialisti c’è un altro lato della medaglia di cui non ho proprio parlato.

Ascend-ent studia com’è cambiata la società DOPO il virus, non IL virus in sé.

Beh, è sicuramente interessante anche questo.
Dal momento che oggi viviamo in una realtà dove non si parla di nient’altro che di un virus, tu hai preferito incentrare il libro sulla società e sul suo cambiamento.

Ma veniamo ora ai personaggi. Ti faccio una domanda un po’ off topic: tu hai presentato i tre personaggi principali della tua opera (Wade, Darius e Lea).

Gabriele Glinni

A quali dei personaggi protagonisti pensi di assomigliare di più? 

In quale di loro ti ci ritrovi?

Gabriele Glinni: Tutti e tre per vari motivi.

Wade è un tipo approssimativo, negativo e pessimista al suo peggio; coraggioso, intraprendente e tutto d’un pezzo al suo meglio.

Darius è l’ingegnere linguista anche un po’ programmatore che ti dicevo, lungi da quel che sono, ma è parecchio goffo sia come gestualità sia come abilità sociali, e in questo mi ci rispecchio al 100%. Inoltre ha una sorta di blocco mentale che qui non svelo, che si rifà al mio vissuto.

Lea è quella che mi somiglia di meno, ma è una malata di social media e talvolta nemmeno io scherzo.

Bene, Gabriele… torniamo invece ora a parlare del libro e delle sue fasi editoriali. 

Dunque, il libro è un inedito, quindi non è stato ancora pubblicato. 
A che punto sei arrivato con le varie fasi che precedono la pubblicazione di un testo?

Hai già trovato una casa editrice o pensi di pubblicarlo in self-publishing?

Gabriele Glinni: Allora, premetto subito che il libro è stato concluso a dicembre 2020. O almeno, la prima stesura.

Avrei potuto tranquillamente pubblicarlo così com’era, ma mi sono rifiutato e ho cercato in lungo e largo un editor che mi convincesse.

Ho spulciato su Writer’s Dream e LinkedIn, e alla fine ho trovato un’agenzia e una professionista che rispecchiassero perfettamente il mio modo di lavorare e pensare: Progetto Scrittura (https://www.progettoscrittura.it/) e Sara Coradduzza.

Il preventivo era altino, ma ho accettato senza esitare.

Gabriele Glinni

Gabriele Glinni: Con Progetto Scrittura e Sara, nonostante ci vorrà tantissimo altro tempo per completare Ascend-ent, sto perfezionando il prodotto finale. Ovvero stiamo lavorando su refusi, resa grammaticale e struttura narrativa, modificando, rimuovendo e aggiungendo interi pezzi di storia. Un lavoraccio.

Devo dire, in totale onestà, se da una parte vedo il potenziale del lavoro, dall’altra è difficile accettare alcune “rivoluzioni” sul mio testo (ride, n.d.r).

Non è mai stato mio interesse il guadagno – tanto più il fornire un’opera finale che sia al massimo livello possibile. Che poi la leggeranno quattro gatti, amen. Voglio solo essere consapevole di aver pubblicato un ottimo libro.
Ciò detto, al momento di questa intervista stiamo revisionando il terzo capitolo (di circa 7-8).

L’obiettivo è pubblicare in self tramite Amazon. Un po’ perché non mi interessa stare a combattere appresso a case editrici, un po’ perché Ascend-ent come formato lo vedo di più come eBook. Non ce lo vedo troppo come romanzo classico.

Insomma, il punto è questo, voglio fare di testa mia senza troppe rotture di scatole, cercando di completare un romanzo divertente da leggere e che possa lasciare qualcosa. Niente più, niente meno.

Beh, mi sembri sicuramente deciso nei tuoi intenti… Ma, dimmi, invece, per quanto riguarda la copertina.

Gabriele Glinni

La foto che vediamo qui sarà la copertina definitiva del libro? 

Gabriele Glinni: No. L’immagine è un tentativo di copertina minimal da parte mia, editando e giocherellando, con Canva e Photoshop, con un disegno che ho commissionato. È un po’ come immaginavo la copertina definitiva e come vorrei fosse.

Preferisco un aspetto minimal che salti all’occhio, piuttosto di qualcosa di particolarmente elaborato.

Tu gestisci anche un blog, che si chiama Pillole di Folklore e Scrittura: com’è nato?

In quanti siete a gestirlo?

Gabriele Glinni: Pillole di Folklore e Scrittura (https://pilloledifolklore.org) è nato dalla mente del balzante che voleva riportare in auge un suo vecchio progetto, chiamato Pillole di Mitologia, poi fatto a pezzi da hacker malvagi.

Casualmente, nello stesso periodo in cui voleva aprire il blog, io stavo riscoprendo vecchie amicizie, tra cui quella di Alessandro, e mi sono imbarcato all’avventura con lui.
Inizialmente era un progettino che trattava unicamente di scrittura e folklore (per l’appunto), con un massimo di 2-3 articoli a settimana, e visitatori per mese che se raggiungevano il centinaio era un miracolo.

Poi piano piano ci sono stati alcuni cambiamenti, tra di questi:

  1. ho fatto unire la mia amica Ilenia, che si occupa di recensioni di libri
  2. per il motivo più bislacco ho iniziato a intervistare gente su hobby, studi, ecc., e quest’idea ha avuto molto successo
  3. abbiamo incrementato la quota degli articoli pubblicati per settimana
  4. abbiamo incrementato le piattaforme dove fare pubblicità, e in generale la pubblicità al blog stesso
  5. abbiamo fatto unire Martina Di Carlo (conosciuta da me su LinkedIn) che si occupa di articoli di traduzione, ed Elisa, una mia ex collega che si occupa di recensioni di videogiochi. 

Insomma, il blog si è evoluto moltissimo e ad oggi abbiamo un numero incredibile di visite!

Gli admin siamo Alessandro ed io, e i collaboratori sono: Ilenia, Elisa e Martina.

Ho avuto il piacere di essere anche io intervistata da te per il blog Pillole di Folklore e Scrittura, a proposito del mio libro.

Quand’è che hai deciso di riservare uno spazio del blog a interviste/recensioni di autori emergenti? 

Gabriele Glinni: Preparati a ridere.

Una delle prime interviste era una subdola strategia per attaccare bottone. L’esigenza era trovare una ragazza. Niente più, niente meno.

Poi comunque mi divertii, mi intrigava fare articoli dedicati ad amici e conoscenti, e così ho iniziato a chiedere in giro. Hanno accettato con piacere.

L’idea ha avuto trazione e, ad oggi, vengo contattato per scrivere interviste! Chi l’avrebbe mai detto?
In particolare, sono piaciute moltissimo quella a Orlando, a Yuri e a Vanessa.

Beh, sicuramente è stata un’idea interessante, la tua… Non ti nego che io stessa ne sto prendendo spunto per fare interviste, qui sul blog.

Parliamo adesso di te e del tuo percorso di vita.

Tu sei un mediatore linguistico. Che percorso di studi hai svolto?
Come mai hai deciso di intraprendere questa strada?

Gabriele Glinni: Allora, “mediatore linguistico” è un titolo di cui mi fregio perché, in realtà, sono molto più specializzato in traduzione che interpretariato.

Il mio percorso di laurea è infatti Traduzione e Interpretariato, con un master in Traduzione Cinetelevisiva e Sottotitolaggio, e tutto nasce dalla mia abilità con l’inglese.

L’inglese è sempre stato parte di me perché… non volevo aspettare le versioni italiane dei videogiochi (specie Pokémon), e quindi, versione americana dopo versione americana, mi sono fatto una cultura non indifferente. Aggiungiamoci telefilm, ore perse a litigare su reddit e forum online con stranieri, il tutto il lingua inglese, e ho imparato la lingua così.

I miei genitori mi hanno sempre molto spinto a studiare altre lingue. Conosco infatti bene il francese e il portoghese. So qualcosina di spagnolo e di russo.
Tornando al discorso principale, ecco, il problema è questo. 

Il lavoro di traduttore oggigiorno è non solo sottopagato, ma difficile da avere.
Devi vincere la lotteria per lavorare in-house e trovare tanti clienti come freelance è tutt’ora una leggenda urbana per me.

Girando su LinkedIn, la realtà che osservo è che TANTI laureati in lingua vacillano nel triste stato del coso verde “open to work”, con esperienze di lavoro che includono “traduttore freelance” dell’aria.

E vi dico la verità.

Purtroppo per conoscere le lingue non è necessaria una laurea. Nel senso che ho colleghi e amici ingegneri che le lingue le sanno bene, e pure meglio di un laureato in lingua. Perché essere laureati in lingua NON vuol dire automaticamente avere un C2 in tutte le lingue studiate.

Allora, chi sarei io? Il “tizio che sa più lingue di tutti” e che è capace di usarle a livello lavorativo, per la comunicazione interpersonale e la traduzione. Da qui il titolo di “Mediatore Linguistico”. 

A essere completamente sincero, col senno di poi avrei voluto studiare programmazione. Sapere usare Javascript e programmare funzionalità di siti internet. Ma sono cose che si capiscono tardi e non rimpiango nulla del mio percorso. Anche perché l’abilità linguistica è, COMUNQUE, sempre apprezzata e utile, e mai dire mai. Pubblicato Ascend-ent vorrei dedicare tempo alla programmazione.

Sapere le lingue è un qualcosa caduto in secondo piano.

Infatti, nell’azienda dove lavoro, mi è stato richiesto di lavorare a una traduzione ma come cosa secondaria rispetto al lavoro principale. Mi ha reso molto felice, ma, ecco, vi fa capire.

Gabriele Glinni

Parlando di lavoro, appunto…Nella situazione di enorme difficoltà che stiamo vivendo oggi nella ricerca di un lavoro, tu sei riuscito nell’impresa?

Hai trovato il lavoro per il quale hai dedicato anni di studio?

Gabriele Glinni: Nì.

No nel senso che non lavoro nell’ambito della traduzione, o comunque della scrittura creativa.
Sì nel senso che lavoro nell’ambito della comunicazione interpersonale, cosa che amo, e nell’ufficio si usa molto l’inglese.

Ma credo che, prima di tutto, bisogna essere in grado di adattarsi e accettare di imparare cose nuove (fino a un mese fa manco sapevo cosa fosse una cessione del quinto), anche perché il lavoro DIPENDE dal mercato e NON dalle nostre esigenze, ahimè. Poi… un’azienda intelligente saprà utilizzare TUTTE le capacità di un proprio dipendente.

La vedo così.

Bene, Gabriele Glinni, questa era l’ultima domanda!

Io ti ringrazio di essere stato qui, sul mio blog.

Hai dato spunti molto molto interessanti, su cui riflettere.
Ti faccio un grosso in bocca al lupo per la futura pubblicazione del tuo inedito “Ascend-ent” e… per tutto!

Grazie ancora! 

Gabriele Glinni: Grazie a te e in bocca al lupo a te, Martina.

È stato un piacere e senz’altro un onore.

Gabriele Glinni lo potete trovare anche qui.

Profilo social Gabriele Glinni: https://linktr.ee/Gabrieleglinni

Martina Vaggi

Photo Credit: foto di Gabriele Glinni, https://pixabay.com e https://www.canva.com