Riflessioni

La semplicità e la perfezione che la società richiede: due miti a confronto

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La perfezione è il male di una nazione” così scrisse l’attrice Julia Roberts, che un anno fa, all’alba dei suoi 48 anni, pubblicava una foto sul suo profilo Instagram dove si ritraeva senza trucco. Un gesto che mirava a contrastare l’ossessione che la società contemporanea nutre nei confronti dell’estetica, un’ossessione che oggi più che mai serpeggia nella vita quotidiana di ognuno di noi… e la infesta. Come un morbo.
Ciò che lei voleva denunciare con quel gesto è visibile ad occhio nudo nella vita di tutti i giorni.
Sempre più di frequente le persone rincorrono la perfezione a velocità incredibile, come se stessero rincorrendo la felicità, senza chiedersi se l’una porti davvero al raggiungimento dell’altra.
Allo stesso modo, uomini e donne sono sempre più portati a tenere un ritmo incessante, quasi disumano, sia nel lavoro come nella vita privata. Se nel lavoro non sei sveglio, veloce a muoverti, e un pizzico più furbo degli altri, rischi di arrivare ultimo o sentirti inferiore: se in amore non sei perfetto, o abile a nascondere le tue imperfezioni, rischi di essere scaricato. E c‘è poi tutto il lato estetico della faccenda da prendere in considerazione: nascondere qualunque imperfezione fisica sembra essere diventato il modo migliore per piacere. A se stessi, ma soprattutto, agli altri.
Al gesto “rivoluzionario” di Julia Roberts, pubblicato sul suo profilo Instagram, oggi si contrappongono maree di video postati sullo stesso social, con lo scopo di insegnare a schiere di donne come pitturarsi le sopracciglia, applicarsi lunghissime ciglia finte, gonfiarsi le labbra a dismisura, e cospargersi il petto con tonnellate di fondotinta (o era fard?) fino a mostrare un’incavatura di seno più pronunciata. Con il risultato di trasformare semplici “ragazze comuni” in “donne perfette”, che non mostrano nessuna imperfezione.
Cose che, se ci provassi io, probbilmente finirei per assomigliare alla caricatura di un cammello con le labbra rosso accese.
Eppure queste donne sono già di per sè carine, adorabili in ogni loro imperfezione,
e, per questo, uniche. Ma ecco che con qualche (centinaia) di pennellate in più di fondotinta, possono diventare delle piccole bambole umane, bellissime, certo, ma tutte simili tra loro. Così simili da non essere quasi più distinguibili.
E se truccarsi è bello, e cercare di far risaltare i propri lineamenti lo è ancora di più, esagerare fino a diventare chi non siamo anche solo per una sera è diventato parte di quella ricerca ossessiva della perfezione alla quale molte persone hanno finito per aderirvi.
E per quanto riguarda alcuni uomini: anche nel loro caso la ricerca dell’ossessione sfora
sempre nel “di più”: sempre più depilato, sempre con sopracciglia più curate, sempre con addominali più scolpiti.
Ma anche in questo caso, se curare il prorpio corpo e mangiare sano è una cosa stupenda, è esagerare con le dosi di narcisismo che ci spinge a piacere di più agli altri che non a noi stessi.

Spesso ci sentiamo ripetere che “Nessuno è perfetto”, perché è l’essere degli umani che fa di noi delle persone imperfette: persone piene di cicatrici per una vita che a volte fa troppo male e di sbagli che vorremmo poter cancellare. Ma a questo punto mi chiedo: è davvero giusto volerli cancellare? E’ davvero giusto pretendere di voler eliminare tutte quelle impurità che ci rendono quelli che siamo, solo perché è la società, o una moda, ad imporcelo?
Da quando avere delle smagliature in più è diventato qualcosa da nascondere? Da quando non avere degli addominali scolpiti è diventato sintomo di una persona “non bella”?
Ogni tanto dovremmo ricordarci che siamo solo degli esseri umani e non macchine sapientemente addestrate a rispondere ai comandi di una società e di persone fin troppo esigenti.
Eppure io nutro la convinzione che le persone siano diventate abili nel tentare di nascondere qualsiasi imperfezione fisica dietro a maschere perfette perché nutrono la speranza che in questo modo qualcuno le amerà di più.
E a volte nascondono tutti quegli incidenti di percorso che li hanno portati su nuove strade. Tutti quegli sbagli commessi, le strade giuste intraprese con passo malfermo e quelle sbagliate con passo deciso: e tutti quegli gli sguardi non dati e le frasi più belle mai dette. Come se fosse davvero giusto voler cancellare tutti gli sbagli che hanno reso noi persone migliori.
Come se avessero troppa paura che nessuno sappia guardare oltre una semplice facciata. E questa è una paura con la quale, purtroppo, dovremmo sempre fare i conti: perché sembra sempre più difficile trovare sul nostro cammino delle persone in grado di guardare la bellezza che giace in fondo al nostro animo. Persone straordinarie, capaci di guardare dall’alto l’abisso profondo e oscuro del nostro animo e avere ancora il coraggio di saltarci dentro.

Martina Vaggi

Photo Credit: https://ranmafan.wordpress.com

Riflessioni

L’Italia che c’è, l’Italia che conta

Terremoto Amatrice
Amatrice, 24 agosto 2016 (AP Photo/Alessandra Tarantino)

Al mondo esistono molte cose che non passeranno mai di moda e una di queste racchiude la categoria dei “luoghi comuni”. In Italia di luoghi comuni ce ne sono sempre stati molti, come quelli che riguardano le persone del Nord e le persone del Sud. Ma sotto una marea di luoghi comuni sul nostro popolo, ce n’è uno che racchiude l’intera popolazione italiana ed è, a mio avviso, il più bello: gli italiani sono persone di buon cuore.
Questo detto, che non sempre traspare, lo si vede ad occhio nudo in questi giorni: emerge dalle macerie di una città, si fa strada tra le spaccature e le crepe lasciate da una terra che ha tremato con violenza e che ora, stremata, lascia una scia di desolazione e di lacrime in paesini un tempo caratteristici della nostra terra. Questo terremoto apre uno squarcio di luce su un popolo unito, che si fa strada tra le macerie scavando, spostando le pietre, sguinzagliando fedeli amici pelosi, che accompagnano quei coraggiosi esseri umani nella disperata ricerca di un’altra vita da salvare, di un altro corpo da liberare, di un’altra occasione, che neanche una catastrofe naturale può fermare.
Dalle macerie riemergono persone, animali, ricordi di vite infrante, ma anche speranza, gratitudine, volontà di aiutare. Da ogni parte del paese arrivano i soccorsi, gli aiuti, il denaro, l’altruismo. L’altruismo racchiuso nei tantissimi donatori di sangue che si sono recati nei centri di raccolta e hanno permesso che la situazione rimanesse sotto controllo, in tutti i volontari che da ogni parte del paese si sono recati sul luogo per aiutare, salvare, accudire. L’altruismo che ho potuto vedere oggi, quando in Croce Rossa Comitato di Tortona c’era un via vai di persone cariche di alimenti, vestiti, e altri generi di prima necessità. L’altruismo di tutte quelle persone che in questi giorni hanno usato i Social nel solo modo in cui dovremmo ricordarci di usarli tutti i giorni: per far circolare informazioni utili, per incoraggiare le persone a fare del bene, ad agire.
L’altruismo è quella splendida parola che si riflette nei gesti di tutte quelle persone che si stanno muovendo con ogni loro piccolo gesto, per aiutare: una parola forte, potente, che abbatte ogni muro di disprezzo e di rabbia tirato su da chi anche in queste occasioni non si stanca mai di creare polemiche sterili e inutili. Ma dietro una moltitudine di persone che non agisono perchè preferiscono puntare il dito, ce ne sono altre che fanno buon uso della loro vita per aiutare quella altrui.
Dietro la rabbia, c’è un’Italia che conta e che sa essere presente nel momento del bisogno: un’Italia che cammina con determinazione tra quegli edifici distrutti e non ce la fa a restare ferma.

“C’è una crepa in ogni cosa. Ed è da lì che entra la luce.”
Leonard Cohen

Martina Vaggi

Photo Credit: http://www.ilpost.it (AP Photo/Alessandra Tarantino)
Riflessioni

La sconfitta secondo il popolo del web: l’abilità di sparare cattiverie dietro uno schermo

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Questa notte Federica Pellegrini ha mancato il bronzo ai giochi olimpici. La notizia ha lasciato di stucco tutti, me compresa: una cosa che invece non mi ha molto stupito sono stati i commenti del “popolo del web”, che sui Social, non appena è uscita la notizia, si è sentito chiamato in causa nel dare la propria opinione sull’argomento.
E tra il susseguirsi di commenti malevoli che poco c’entrano con lo sport, come “Si crede tanto bella, ma non lo è”, mi è parso di leggerne altri di ben peggiore invidia, come: “Invece di pensare a stare sotto i riflettori, che pensi ad allenarsi di più”.
Non si sa il come nè il perché, ma sembra che Facebook abbia dato l’illusione a tutti di poter dire qualunque scemenza senza dover incorrere in nessuna punizione. Il popolo del web si esprime e ama farlo. Perché così ha l’occasione di sparare cattiverie. Ha finalmente l’occasione di sfogare un po’ di rabbia frustrata e di infelicità per una vita che non lo appaga sul primo malcapitato che fa notizia.
Da un po’ di tempo a questa parte gli sportivi sembrano essere i bersagli più facili per questo popolo del cybergspazio. Fino a poco tempo fa sotto il mirino c’era il tennista Novak Djovokic, attaccato duramente dai fan di Roger Federer, che hanno iniziato a trarre il proprio orgasmo personale vedendo che anche lui (come tutti gli esseri umani) incominciava a perdere qualche colpo (e qualche partita). Da stamattina sotto il mirino pare esserci la nuotatrice azzurra. Federica, infatti, è stata accusata fin dalle prime luci dell’alba di “tirarsela troppo”: che cosa questo c’entri con la gara olimpica in sè, non ci è dato sapere. Ci è dato solo sapere che il popolo del web ha emesso il suo verdetto, con la solita dose di invidia, ignoranza e cattiveria.
Ma in tutto questo verrebbe da chiedersi: quanto vale la parola di un branco di persone, tra le quali molte di loro non avranno mai praticato uno sport neanche per sbaglio? Poco, in effetti. erché in questa vita le parole contano ben poco.
I sacrifici, quelli contano: i fatti, quelli contano. E i fatti sono che questa ragazza gareggia per le Olimpiadi da quando ha 16 anni, sacrificando sicuramente molto della sua vita e della sua persona. Ma il popolo di Facebook la sa lunga, e preferisce impartire lezioni di vita, piuttosto che imparare: preferisce fare la morale a tutti, piuttosto che prendere appunti di chi, in questa vita davvero ce l’ha fatta e ha qualcosa da raccontare.
Tornando ai due esempi che ho fatto prima: che cos’hanno in comune Djokovic e la Pellegrini? Che entrambi sono stati criticati nel momento in cui hanno perso.
A volte sembra che sia quasi una legge fisica: “Se vinci sei qualcuno, se perdi non sei nessuno“. E’ una frase che ho sentito spesso circolare nel mondo dello sport: io non l’ho mai ritenuta vera, ma il popolino di Facebook, quello così tanto abituato a criticare, a quanto pare sì.
Eppure è fin troppo facile prendersela con chi perde. Perché chi perde è vulnerabile, è fragile, ed facile buttarlo, nuovamente, a terra. Ma è anche risaputo che solo i vili se la prendono con chi è più debole. Soprattutto quei vili che sanno alzare la voce solo dietro un computer.
Ma nella marmaglia di parole che il popolino di Facebook ha pronunciato, ora una domanda la vorrei fare io: Federica Pellegrini avrà anche perso in bronzo ma quand’è che voi perderete la vostra cattiveria?

Martina Vaggi

Photo Credit: http://gds.it