Il rispetto è quel concetto autentico e prezioso, che ha mosso forse i primi passi assieme alla nascita dell’uomo e affonda le sue radici in tempi molto lontani, tramandato di generazione in generazione, e giunto fino all’epoca dei nostri nonni, che l’hanno adottato come vero e proprio stile di vita. E mi riferisco allo stile di vita dei miei nonni, che poi non credo sia molto diverso da quello dei vostri. Uno stile di vita che prevedeva al primo posto il lavoro e l’amore per il proprio lavoro, oltre che l’amore per la propria famiglia. Un amore che non vedeva il nonno alzare le mani verso la nonna, in un gesto istintivo di rabbia indirizzata verso qualunque forma di morbosa gelosia. Uno stile di vita che portava uomini e donne a dare un valore al concetto di insegnamento: la scuola serviva ad istruire giovani menti alla disciplina e questo portava i genitori a rispettare il ruolo dell’insegnante anche, e soprattutto, quando questo sferzava le mani degli studenti più indisciplinati con una rigida bacchetta. Perché quel gesto, benché fosse doloroso per gli alunni, insegnava loro un concetto che sarebbe venuto molto utile nella vita: quello del rispetto.
Non ricordo di aver mai sentito mio nonno raccontare di genitori che aspettavano l’insegnante fuori dalla scuola per riempirlo di botte con la scusa del “Ha rimproverato mio figlio e lui non se lo meritava”.
Non so poi cosa sia successo. Non so come mai le cose siano cambiate così tanto da allora. Non so perché la realtà che oggi i giornali raccontano sia completamente diversa da quella che mi raccontavano i miei nonni quando sedevo sul divano accanto a me.
Forse la violenza che oggi i notiziari ci piazzano davanti agli occhi c’era già allora ma in minor misura. O forse era maggiormente nascosta.
O forse il mondo, nella sua continua crescita e ricerca di nuove forme di comunicazione e di profitto, ha fatto il passo più lungo della gamba e ora tutti noi ne paghiamo il prezzo. Forse i genitori hanno smesso di seguire gli antichi valori e hanno iniziato a seguire i propri, insegnando ai figli che tutto è loro concesso, a partire da un I-Phone fino ad un insulto detto ad alta voce contro un professore.
So solo che le persone, nel tempo, hanno smesso di amare tutto ciò che le circondava: natura, lavoro e… altre persone. E hanno perso se stesse. I rapporti hanno iniziato a diventare meno stabili, e le persone sono diventate più insicure una volta appreso di non poter riuscire a gestire l’altra persona con la quale si frequentano.
E quando si inizia a capire di non riuscire a gestire un’altra persona si cerca di imporre la propria autorità con la forza e le proprie idee con la violenza.
Una violenza che travalica il rispetto che, forse, inizialmente c’era. Una violenza che non si manifesta solo con i calci e con il pugni, ma anche con gli ordini, le derisioni, gli insulti.
La frustrazione e la consapevolezza di essere una persona insignificante oggi si manifesta così: prendendosela con il più debole.
Con le donne, inermi di fronte alla forza fisica di un uomo.
Attraverso il bullismo, la cui culla risiede nei social, diventati oramai uno strumento di derisione delle idee altrui e di imposizioni delle nostre. Imposizioni che, purtroppo, a volte portano una giovane donna a strangolarsi con un foulard, schiacciata di fronte all’enorme potere della cattiveria virtuale.
Ma non c’è una colpa. Non c’è quasi mai una colpa che giustifichi atti di violenza simile.
Forse, l’unica colpa, se davvero c’è, è quella di non riuscire a rispettare se stessi.
Perché di fronte ad una persona che non è disposta ad ascoltarti, capirti, accettarti ed amarti, l’unica cosa da fare è andarsene via. Voltare le spalle a chi cerca di colpirti, a chi ti deride quando ti mostri debole, a chi non ha rispetto dei tuoi sentimenti, della tua diversità e la usa per ferirti.
Voltarti e poi, compatirli. Compatire chi non ama se stesso abbastanza da riuscire ad amare gli altri.
Oggi non è solo la violenza contro le donne a far paura. Ciò che più spaventa è la violenza in ogni sua manifestazione. Una violenza che si nasconde tra le mura domestiche ma anche tra le mura della nostra realtà: mura invisibili e minacciose, che separano il comportamento di tutti da quello dei “diversi”. Una violenza che si può nascondere tra le mura di una casa di riposo, dove un anziano viene pestato e umiliato da chi dovrebbe prendersi cura di lui. Una violenza che si cela dietro ad una moltitudine di schermi e che è generata una moltitudine di nomi e di cognomi.
Una violenza che non è solo fisica. Forse ricevere un pugno fa più male che ricevere un insulto, ma i lividi prima o poi scompaiono: il sangue smette di scorrere, la ferita si cicatrizza e il corpo guarisce.
Sono le ferite inferte all’anima quelle più difficili da curare.
“Credo in chi alla violenza risponde con le braccia alzate
e credo in chi nelle braccia alzate vede un abbraccio e non la resa”
Marco Mengoni
Martina Vaggi
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